domenica 23 ottobre 2016

Lisa Giorè - Le Vie dell'Insonnia (Volume Records/Boxtune, 2016)

Volume Records si presenta come una società di servizi, un'etichetta moderna che guarda al futuro, e lo fa - per il disco di Lisa Giorè e molti altri artisti - in simbiosi con la startup italiana di recente creazione, Boxtune. "Le Vie dell'Insonnia" della giovane cantante senese (e bassista "per ripiego", dice lei) prende più importanza anche analizzando il suo contesto promozionale, poiché si tratta di un lavoro di stampo tradizionale e per certi versi rischioso, e di questi tempi molta parte del successo di un disco lo decide come viene lanciato e da chi viene sostenuto.
Entrando nel merito, si tratta di canzone d'autore all'italiana, condita solamente da qualche pizzico di modernità sotto forma di striature elettroniche appena accennate, e trae la sua forza sicuramente da elementi altri rispetto alla musica strettamente intesa. Nonostante i validi musicisti e i tratti folk, swing, jazz, con vere e proprie divagazioni a cavallo tra Bob Dylan e Duke Ellington, stupiscono più le parole delle note, con testi scritti in maniera eccezionale, con una capacità comunicativa, una profondità e al contempo una leggerezza di rare fattezze. In alcuni momenti più eterei può ricordare certi lavori della prima Carmen Consoli, La penna di Lisa svolge in continuazione la tensione come un gomitolo, ricomponendola poi in un'atmosfera trasognante e in sospensione (i due concetti, agli antipodi, sono sintetizzati alla perfezione dal primo e dall'ultimo brano, "Lo Stato Attuale delle Cose" e la ballad psichedelica "L'Effetto del Vento"). Colpisce con foga il testo di "Parlo Di Te", dove le persone diventano "attori tremendi", mentre manca parzialmente di mordente rispetto al tema trattato la cantilena "Aria di Tempesta".

Raccogliamo e diamo un ordine sistematico a quanto detto. Liricamente, Lisa Giorè vince a mani basse sul resto delle componenti del disco. Musicalmente, non spicca nessuno ma gli arrangiamenti brillano comunque di luce propria, seppur mai troppo abbagliante. Nessuno dei dieci brani risulta più debole di altri, in un equilibrio complessivo che non può che impreziosire il prodotto. 
Servirà tempo per racimolare ulteriori energie e fare l'opera "definitiva", ma la cantante toscana ha di sicuro, alla prima mano, delle ottime carte. 

domenica 16 ottobre 2016

Niggaradio - FolkBluesTechno'n'roll...e Altre Musiche Primitive per Domani (Dcave Records, 2016)

E' piuttosto inconsueto, seppur non inedito, che la titolatura di una pubblicazione discografica manifesti così pienamente il contenuto e le intenzioni della medesima. Oltre alle pure e semplici denominazioni di genere, che richiamano l'oggetto della materia trattata (folk, blues e rock'n'roll principalmente, mentre per la techno occorrerebbe rimpiazzare il termine con drum'n'bass e ambient, un connubio più adeguato a ciò che abbiamo sentito nel disco), è tanto interessante quanto spiazzante la dicitura successiva: "Altre Musiche Primitive per Domani", ovvero ciò che contemporaneamente notiamo essere una confessione delle fonti e un auspicio per il proprio futuro. Le ibridazioni sono di fatto l'avvenire della musica contemporanea, e i siciliani Niggaradio prendono da questa lezione la linfa vitale per un processo di sintesi realizzato con precisione chimica e moltissimo gusto. "FolkBluesTechno'n'roll...e Altre Musiche Primitive per Domani", pubblicato da DCave Records (al lavoro, tra gli altri, con i Campo Avvelenato e i Saint Lips) snocciola coraggiosamente undici brani, quasi completamente dominati dal dialetto siciliano, perfettamente incastonato anche negli episodi più ritmici sebbene metricamente molto ostico da padroneggiare anche per un nativo. Blues e folk come nei ritmi più hip-hop di Moby e del primo Tricky, accessi d'ira viscerale che possono richiamare i beat degli Assalti Frontali, il tutto riconfezionato in una salsa elettronica moderna ed esterofila. A ricondurre alle proprie origini un disco dalla forte vocazione globale, oltre che la scelta linguistica, intervengono le collaborazioni (Cesare Basile, gonfaloniere di una tradizione folk catanese ormai divenuta di tutta l'Italia) e i temi trattati, politici come nei 99 Posse e nei Sud Sound System più impegnati, ma anche più giocosi e a sfondo ironico-caricaturale, à la Caparezza per intenderci, appannaggio sempre più sovente e ragionevolmente di artisti di origine meridionale. 
Quello che può, a tratti, far storcere il naso è la compresenza forzata di troppi elementi, sferzate acide e gigantesche costruzioni melodiche, cantati orecchiabili resi pesanti dalle strutture dei brani, in un'operazione che senz'altro si può ascrivere anche ad una consapevolezza nel songwriting maturata da anni di esperienza, perdendo in realtà un po' di vista l'ascoltatore medio. Tuttavia, il vero artista comunica ciò che sente, e non ciò che altri vogliono sentire. I Niggaradio, arricchiti da quel terreno culturalmente fertile che è sempre stata la zona circumetnea, svolgono la loro funzione di catalizzatori di arte e di personali rielaboratori di musiche antidiluviane "per domani", senza cedere a tentazioni radiofoniche. 

lunedì 10 ottobre 2016

Elefanti - Noi Siamo Elefanti (Autoproduzione, 2016)

Francesco Arciprete e Matteo Belloli (pseudonimi "Shamble" e "Teo") debuttano con questo "Noi Siamo Elefanti" sulla scena nazionale la loro visione del rock italiano, filtrata da quel particolare microcosmo musicale che è sempre stata la provincia bergamasca, prolifica e feconda come poche altre zone del Nord Italia. 
Il power duo Elefanti sembra non temere paragoni e confronti, tanto che i vari numi tutelari vengono posizionati sullo scacchiere composto dai sette brani senza celare nulla, rendendo inutile ripeterli in questa recensione. La cifra stilistica degli Elefanti appare subito la distorsione artificiale applicata alla voce, non proprio robotica ma sicuramente metallica. Un espediente che proviene dagli schemi tipici del garage rock, di fatto, né originale né essenziale alla musica proposta, per quanto non risulti noioso nel ripetersi degli ascolti, sinonimo questo di una funzionalità rispetto ai brani che va rilevata fuori dal recinto dei gusti personali. Coerentemente a ciò, i suoni sono tutti sparatissimi, in un corto circuito di veemenza quasi viscerale che in un certo senso investe come un pachiderma in piena corsa. Questa ultima frase può portare fuori strada il lettore, perché è anche vero che si tratta di power pop, con più di qualche soluzione melodica che svela un'innaturale ricerca dell'orecchiabilità. "Un Po' Conta (Se Vuoi)", dal titolo ammiccante ai comprovinciali Verdena, è in realtà un twist che assieme a "Me Lo Dici Sempre" rappresenta il cuore rock'n'roll del disco nella sua espressione più alta e positiva. 
In generale, le sette tracce tratteggiano un esordio più che dignitoso, che necessiterebbe solo di maggiore maturità. Per capirci, meno soluzioni post-adolescenziali e più elaborazione strutturale. Ma in Italia, bisogna dirlo, siamo abituati a vederci propinare i migliori lavori dopo il primo quindi osserveremo con attenzione la parabola - sicuramente crescente - di questi due ragazzi. 

venerdì 7 ottobre 2016

Custodie Cautelari - Notte delle Chitarre (ed altri incidenti) (Aereostella, 2016)

Ettore Diliberto ha cominciato montando i palchi per Edoardo Bennato, lavorato nel mondo del cabaret e iniziato a imporsi come nome fondamentale della scena musicale già negli anni '80. Negli anni ha collaborato, sul palco e in studio, con nomi di ogni genere e calibro, e citiamo tra i più popolari Elio e Le Storie Tese (su disco nella celeberrima "Tapparella"), Eugenio Finardi, Gianluca Grignani, Max Gazzé e Franco Battiato, ma è una sintesi ingenerosa rispetto alla lunghezza del reale elenco che andrebbe fatto. Da vent'anni cavalca l'onda di un discreto successo con la sua band, le Custodie Cautelari, che hanno fatto della collaborazione attiva con molti dei personaggi chiave del nostro panorama artistico una cifra stilistica. Per "Notte Delle Chitarre (e altri incidenti)" le personalità toccano principalmente la scena rock italiana, ma anche quella del cantautorato e del progressive (per l'elenco completo vedere la copertina). 

Cesareo degli EELST svolge un prezioso lavoro ritmico insieme al validissimo Alex Polifrone alle pelli per un pezzo d'apertura al fulmicotone, "Tic Tac (la vita che passa), dove la magnifica voce di Clara Moroni - nota ai più per i tour con Vasco Rossi - si sposa perfettamente con quella di Diliberto. In "Parte della Musica" le atmosfere ricordano un po' il Lucio Dalla degli anni '80, e l'ospitata ripesca proprio da quel periodo, con Marco Ferradini che nonostante il suo timbro riconoscibile e un brano cucito su misura per lui non contribuisce al punto dal renderlo il pezzo più memorabile. Discorso ben diverso invece per il momento più rock del disco, "Aria", con un ritmo incalzante e snervante che con altri suoni potremmo accostare al metal, e un entusiasmante lavoro di riff di Stef Burns, che riescono a dare ulteriore colore ad una canzone già di per sé eccezionale grazie alla grinta del frontman. "Chiudi gli Occhi e Senti" sembra un omaggio al rock più moderno. Riecheggiano qui chitarre à la Edge, i cambi energici dei primi Muse e una costruzione del pezzo molto R.E.M., pur senza fare risultare in alcun modo derivativo il tutto. E' strano ma gradevole l'apporto di Alberto Radius nel frangente più melodico e radiofonico del disco, "Se Poi Dio C'è", forte di momenti soul e gospel che regalano al disco l'ennesima impennata qualitativa a fronte di una moltitudine di generi per cui Ettore Diliberto ha rischiato di pagare il caro scotto dell'eterogeneità. 

Questo lavoro delle Custodie Cautelari trova la sua forza nell'estrema professionalità degli innumerevoli pezzi da novanta che ne sono complici, unica garanzia per evitare che si trasformasse in una sfilata di celebrità e veterani senza capo né coda. E' invece la sintesi perfetta di quarant'anni di musica italiana, con passaggi di straordinaria qualità, nuotate nel mare calmo dell'orecchiabilità ma anche scelte di fatto molto particolari di chi evidentemente ama il rischio di sbagliare ma sa di poterlo affrontare a testa alta. 

mercoledì 5 ottobre 2016

Geddo - Alieni (Autoproduzione, 2016)

Sarà l'aria di mare, la particolare conformazione di un territorio chiacchierato ma in parte isolato, o più banalmente la storia culturale ed artistica della regione, ma l'area ligure dimostra da sempre, anche quando si slancia verso ovest abbandonando il suo capoluogo, una tradizione di musica d'autore che innerva anche chi è orientato ad altri generi musicali. Da Albenga, provincia di Savona, Davide Geddo porta a casa un risultato più che dignitoso tendendo l'ennesimo filo tra Duluth e Roma - dunque tra Bob Dylan e Francesco de Gregori - senza risultare ripetitivo né un clone dell'autore de "La Leva Calcistica del '68". Lo fa con sporadiche incursioni nel folk vero e proprio, ma rimanendo legato ad un suo linguaggio, imparagonabile ad altri nomi, che come già visto nei due precedenti lavori pesca da stili distanti ma consonanti ispirazioni che possano rendere il tutto originale: country (quasi western), blues, jazz, classic rock, synth-pop anni '90 e l'elenco potrebbe continuare per almeno qualche paragrafo. Cosa rende il tutto omogeneo e quindi coeso, compatto, ben amalgamato? La voce di Davide, i testi, la scelta di scrivere in una lingua semplice e d'impatto, ma senza ricercare citazioni politiche banalotte e i classici tuffi nella storia che tanti cantautori italiani ci hanno cacciato in gola facendoci sognare ma poi stancare (De André, Guccini, ecc.). Il contenuto lirico è infatti moderno, e ciò traduce un'opera musicalmente non così contemporanea (che dire dei flauti à la Ian Anderson di "Lampi di Settembre"?) in un organismo sintetico e che vive di luce propria, trovando un equilibrio difficile che chiaramente può non piacere a tutti. Lontano dunque dall'essere pop da classifica, forzato e spietato verso le orecchie dell'ascoltatore disabituato all'analisi musicale e a contesti armonici più elaborati. Si concede anche leggeri virtuosismi, senza eccessi, parlando di social network e dell'influsso negativo che stanno avendo su questa società sempre più neghittosa ("Non Dirmelo"), e momenti di tiepida quanto pungente ironia. 

Un lavoro ben ponderato, che non scade mai nel triviale e nemmeno nel pomposo. Il giusto metro di misura che mancava nella scena cantautorale italiana degli ultimi anni.