I Twisters, talentuosa formazione del Sud del Veneto, hanno avuto il loro debutto discografico nel 2007, con l'album "Blowin' The Blues Everywhere" e, nel 2010, comincia il loro sodalizio con la cantante Alice Violato, con la quale incidono"No Ordinary Blues". Questo "MusicOdyssey" di cui parliamo ora è il loro terzo lavoro e, attualmente, il gruppo è composto, oltre che da Alice, da Paolo Bacco alla chitarra, Claudio Lupo alle tastiere, Nick Muneratti al basso, Matteo Coassin alla batteria.
Sicuramente il migliore della discografia, "MusicOdyssey" ha la caratteristica di essere un disco particolarmente eterogeneo ma allo stesso tempo coerente e non una semplice accozzaglia di vari stili musicali non relazionati tra di loro. "No ordinary blues" potrebbe, a questo punto, essere la descrizione perfetta della direzione artistica che The Twisters with Alice Violato hanno deciso di percorrere. In effetti, ciò che rende compatto il disco è comunque la matrice blues presente in tutti i brani anche se ogni composizione ha comunque una sua forte personalità. I 10 brani qui proposti sono accreditati a Bacco e/o a Violato, ma, ascoltando l'album, è impossibile non notare quanta minuzia è stata posta nell'arrangiamento di ogni singolo pezzo, sicuramente un lavoro di gruppo al 100%. Come esempio, possiamo prendere "I Want it Funky" che, nelle mani sbagliate, sarebbe potuta diventare un brano irritante e banale; il gruppo, invece, sceglie di arricchire il pezzo con una scelta di strumentazione ben studiata e azzeccata (il clavinet, lo slap sul basso, la chitarra col wah-wah, una batteria potente e precisa e una voce potentissima) e con un'esecuzione così carica ed energica che finisce per essere una delle cose migliori del CD.
"Down That Road" è un altro brano eccellente: di relativa breve durata, ma con diverse sezioni musicali apparentemente incompatibili tra di loro ma che, invece, si fondono in un amalgama perfetto e la quasi title-track "Ulysses and the Siren" è un pezzo originalissimo impreziosito dalla splendida tromba di Giuseppe Puliano. "Sand", "The Streets of Heaven" e "Dream of Me" ci ricordano che il gruppo è comunque pur sempre principalmente blues, ma sono tre visioni diverse dello stesso genere; la prima più movimentata e possibile veicolo di jam, mentre le altre due più vicine ad una matrice soul/gospel. Molto toccante "Hi Dad", autoesplicativa dedica di Paolo Bacco al padre, e musicalmente vicina ad alcune delle ultime cose scritte da Hendrix al termine della sua vita, mentre le divertenti "Ride On Ride On" e "Manhole's Mud" (il cui testo tragicomico è ispirato ad un fatto realmente accaduto), ci ricordano di quanto ripaghi comporre e suonare divertendosi e senza prendersi troppo sul serio. L'album, ovviamente, non è esente da difetti: "Say What You Want From Me" e "Dream of Me" sono due episodi che, dopo qualche ascolto, tendono a diventare un po' troppo stucchevoli e forse, l'introduzione di "Ulysses and The Siren" tende a tirare un po' troppo per le lunghe, ma si tratta di cose minime che possono essere tollerate, più che di vere e proprie macchie.
Per quanto riguarda la perizia tecnica dei singoli membri, il gruppo eccelle specialmente, riuscendo a dare una personalità ed uno spazio proprio a ciascuno dei musicisti pur rendendoli indubbiamente parte di un unico insieme. La voce di Alice Violato è molto caratteristica e potente, ma allo stesso tempo femminile e sensuale, una voce che non stonerebbe paragonata ad alcune cantanti soul degli anni '60, Paolo Bacco è un ottimo chitarrista in grado di fare assolo estremamente musicali e non semplici saggi di virtuosismo (le sue migliori prove si possono ascoltare su "Manhole's Mud" e "Sand"), le tastiere di Claudio Lupo sono tra i punti di forza più alti di molti dei brani e senza il suo apporto, brani come "Hi Dad" risulterebbero senza dubbio più scarni, Nick Muneratti fa un uso molto particolare del basso, rendendo ben chiara la sua funzione di collante ritmico, ma, allo stesso tempo, senza dimenticarsi comunque delle possibilità melodiche che gli vengono offerte dai brani e rivendicando la grande e sottovalutata versatilità del suo strumento e fa una grande coppia con Matteo Coassin, batterista eccellente, solido ed estremamente preparato che sostiene in maniera presente, ma non intrusiva, le varie composizioni con un drumming mai banale e scontato.
Il prodotto in sé è ben confezionato, con una grafica professionale e un libretto molto esauriente contenente anche tutti i testi. Un disco consigliato a coloro che amano la musica complessa e ben costruita, senza che sia ampollosa e auto-indulgente e, soprattutto, un disco che mette a tacere coloro convinti che nel 2014 non esista più musica in grado di dire qualcosa di nuovo. Nuove proposte in grado di offrire musica di alto livello e di grande originalità esistono ancora, sono solo diventate più difficili da trovare rispetto al passato perché oggi, quando si produce un artista, si tende a rischiare di meno, ma questo è un discorso più complesso e che affronteremo un'altra volta. Per quanto riguarda "MusicOdyssey" di The Twisters with Alice Violato: procuratevelo e sicuramente non avrete nessun rimpianto.
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venerdì 27 giugno 2014
domenica 1 giugno 2014
Caparezza - Museica (Universal Music, 2014)
Michele Salvemini, alias Caparezza, è presente da circa il 1998 sulla scena Italiana portando quella sana dose di umorismo, intelligenza e cultura di cui tanto abbiamo bisogno. Caparezza, nel suo panorama musicale, è senza dubbio un artista un po' atipico. E' uno dei pochi che presta attenzione ai contenuti musicali, oltre che quelli lirici, ed è praticamente l'unico che non si prende troppo sul serio, rendendo la sua musica una delle poche e vere e proprie ventate di aria fresca nel panorama musicale Italiano attuale. "Museica" è il suo sesto album in studio, uscito tre anni dopo "Il Sogno Eretico", intelligentissimo concept album basato sull'imposizione della credenza comune rispetto alla realtà e i suoi relativi danni.
Questo "Museica", come al solito, si occupa di pesanti (e, in molti casi, giustissime) critiche alla società. Il filo conduttore dell'album è la storia dell'arte (comprendendo anche la musica) e, dal punto di vista concettuale, l'album regge al 100%. Anzi, a dire il vero, da un punto di vista obbiettivo, il nuovo album di Caparezza, non può certo essere considerato brutto di per sé (a parte un paio di episodi molto poco ispirati, per usare un eufemismo; nello specifico "Comunque Dada" e "Giotto Beat"). Il problema principale è che, questo disco, purtroppo, sembra seguire uno schema ormai prefissato: la canzone d'entrata (letteralmente) che ha il compito di far entrare l'ascoltatore nello scenario del disco, vari testi umoristici con ampio uso di metafore ("Capa io canto le mie canzoni fiero! Si, mi ricordano un'opera di Manzoni, credo, e non parlo di Alessandro, ma Manzoni Piero", "Vivo solo a metà come quel disco di Brian Wilson, la sua grandezza: l'incompiutezza, non avrebbero dovuto pubblicarlo mai. Non avrebbero dovuto pubblicare Smile"), qualche intermezzo umoristico per poter introdurre meglio i brani (all'inizio di "Compro Horror", ad esempio) e la solita, inconfondibile, voce nasale che ci ha accompagnato fino ad ora. Sia chiaro: chi scrive non si aspettava certo che Caparezza facesse una svolta di 180°, ma, perlomeno, che il disco avesse qualche elemento che lo contraddistinguesse, cosa che, purtroppo, non avviene. Un altro difetto del disco è probabilmente la sequenza dei brani, troppo sbilanciata: gli episodi meno interessanti stanno prevalentemente all'inizio del disco (tra questi va incluso il singolo "Non me lo posso permettere", brano trascinante, ma che non sarà ricordato come uno dei migliori singoli di Caparezza), dando l'impressione di un disco un po' comatoso, mentre le cose migliori e più trascinanti sono verso la fine, tanto per lasciare un sapore migliore in bocca. Un ordine diverso, probabilmente, avrebbe giovato molto di più. Ci sono, comunque, degli episodi notevoli che valgono certamente l'acquisto del disco: "China Town", l'unico pezzo veramente atipico dell'album, la carica "Mica Van Gogh", "Troppo Politico", il cui messaggio è uno dei più azzeccati e condivisibili dell'intera carriera di Salvemini, "Kitaro", la personalissima versione di Caparezza della sigla dell'anime "Kitaro dei cimiteri", e soprattutto l'esaltante "Argenti Vive", violentissimo brano che, sicuramente, darà i suoi frutti migliori dal vivo.
A conti fatti è un disco che vale certamente la pena ascoltare, pur senza troppe aspettative, perlomeno da un punto di vista relativo. Il prodotto, infatti, offre ben poco di nuovo; qualche episodio pregevole, ma niente che devii troppo dalla carriera del rapper di Molfetta. Sicuramente è un album che potrà piacere molto a chi si avvicina per la prima volta al personaggio e ha compatibilità con lui: gli ingredienti, come già menzionato, ci sono tutti. Certo è che a noi che l'abbiamo scoperto con i suoi lavori precedenti ("Verità Supposte" nel caso di chi scrive), è andata molto meglio!
Questo "Museica", come al solito, si occupa di pesanti (e, in molti casi, giustissime) critiche alla società. Il filo conduttore dell'album è la storia dell'arte (comprendendo anche la musica) e, dal punto di vista concettuale, l'album regge al 100%. Anzi, a dire il vero, da un punto di vista obbiettivo, il nuovo album di Caparezza, non può certo essere considerato brutto di per sé (a parte un paio di episodi molto poco ispirati, per usare un eufemismo; nello specifico "Comunque Dada" e "Giotto Beat"). Il problema principale è che, questo disco, purtroppo, sembra seguire uno schema ormai prefissato: la canzone d'entrata (letteralmente) che ha il compito di far entrare l'ascoltatore nello scenario del disco, vari testi umoristici con ampio uso di metafore ("Capa io canto le mie canzoni fiero! Si, mi ricordano un'opera di Manzoni, credo, e non parlo di Alessandro, ma Manzoni Piero", "Vivo solo a metà come quel disco di Brian Wilson, la sua grandezza: l'incompiutezza, non avrebbero dovuto pubblicarlo mai. Non avrebbero dovuto pubblicare Smile"), qualche intermezzo umoristico per poter introdurre meglio i brani (all'inizio di "Compro Horror", ad esempio) e la solita, inconfondibile, voce nasale che ci ha accompagnato fino ad ora. Sia chiaro: chi scrive non si aspettava certo che Caparezza facesse una svolta di 180°, ma, perlomeno, che il disco avesse qualche elemento che lo contraddistinguesse, cosa che, purtroppo, non avviene. Un altro difetto del disco è probabilmente la sequenza dei brani, troppo sbilanciata: gli episodi meno interessanti stanno prevalentemente all'inizio del disco (tra questi va incluso il singolo "Non me lo posso permettere", brano trascinante, ma che non sarà ricordato come uno dei migliori singoli di Caparezza), dando l'impressione di un disco un po' comatoso, mentre le cose migliori e più trascinanti sono verso la fine, tanto per lasciare un sapore migliore in bocca. Un ordine diverso, probabilmente, avrebbe giovato molto di più. Ci sono, comunque, degli episodi notevoli che valgono certamente l'acquisto del disco: "China Town", l'unico pezzo veramente atipico dell'album, la carica "Mica Van Gogh", "Troppo Politico", il cui messaggio è uno dei più azzeccati e condivisibili dell'intera carriera di Salvemini, "Kitaro", la personalissima versione di Caparezza della sigla dell'anime "Kitaro dei cimiteri", e soprattutto l'esaltante "Argenti Vive", violentissimo brano che, sicuramente, darà i suoi frutti migliori dal vivo.
A conti fatti è un disco che vale certamente la pena ascoltare, pur senza troppe aspettative, perlomeno da un punto di vista relativo. Il prodotto, infatti, offre ben poco di nuovo; qualche episodio pregevole, ma niente che devii troppo dalla carriera del rapper di Molfetta. Sicuramente è un album che potrà piacere molto a chi si avvicina per la prima volta al personaggio e ha compatibilità con lui: gli ingredienti, come già menzionato, ci sono tutti. Certo è che a noi che l'abbiamo scoperto con i suoi lavori precedenti ("Verità Supposte" nel caso di chi scrive), è andata molto meglio!