lunedì 6 ottobre 2008

Metallica - Death Magnetic (Universal, 2008)

Parlare di un album come questo è molto difficile; fiumi di parole sono stati spesi da ogni media prima e dopo l'uscita di questa nuova "fatica" della band di Los Angeles, e probabilmente tra le centinaia di recensioni già fatte ne troverete qualcuna di simile a questa, perchè ho visto le opinioni più diverse riguardo questo disco, alcune molto motivate, altre più generiche e discutibili.

Innanzitutto l'album è stato preceduto da una pubblicità pazzesca per dimensioni e per puntigliosità, che non ha fatto altro che creare un'esposizione esagerata con il rischio di sopravvalutare il risultato prima ancora di averne una più remota idea (come già successe con il precedente scempio, St. Anger). La produzione di Rick Rubin, il quale lavora da anni con artisti del calibro di Slayer, Rage Against The Machine, System Of A Down, Linkin Park (e la lista continuerebbe...), è stavolta (per lui), ancora una volta (per i quattro), discutibile. Il mix dei suoni non regge il confronto con tutti gli album dei Metallica precedenti St. Anger, in quanto troppo pregno di alti, con un'esaltazione esasperata del rullante e della grancassa di Lars, l'affossamento in alcuni punti delle chitarre, troppo poco grezze per suonare aggressive come dovrebbero (e vorrebbero) e una sensazione di "sovraproduzione" che emerge un po' dappertutto, soprattutto dalla voce (che raggiunge note che il vecchio James si sogna da anni) e dalla batteria. In sintesi, un album estremamente "prodotto" (nel senso negativo del termine) e con un mix di suoni che più che potenziare il risultato, tende a deviarlo dal suo percorso originario, quello che i 'Tallica avevano chiamato "un ritorno alle origini". Come ben si può immaginare, dell'aggressività e del furore degli anni '80 non c'è traccia.

Parliamo ora delle canzoni. Troviamo quindi alcune sorprese e alcuni buchi nell'acqua; le 10 canzoni contenute in Death Magnetic hanno tutte due cose in comune: la mancanza di originalità e l'orecchiabilità. Nonostante questo è evidente uno sforzo piuttosto possente di produrre qualcosa di diverso rispetto a tutto ciò che i quattro hanno partorito dal Black Album in poi, salvo poi finire nella più bassa e vistosa scopiazzatura di alcuni dei pezzi che li hanno resi celebri. Le due canzoni più veloci, che come da copione aprono e chiudono l'album ("That Was Just Your Life" e "My Apocalypse") devono quasi tutto alle vecchie e sempreverdi "Battery" e "Damage Inc"., dalle quali in alcuni frangenti prendono liberamente anche alcuni riff. I due pezzi sono entrambi molto trascinanti, anche se il primo batte di gran lunga il secondo per originalità e struttura. Il pezzo, nonostante la lunghezza, è travolgente, e non annoia, risultando, tra l'altro, la canzone più interessante dell'intero disco. My Apocalypse è invece una semplice macchietta-sfogo alla fine del CD per fingere di essere ancora "quelli che pestano", salvo poi presentare alcune evidenti pecche come una ripetitività al limite dell'assurdo e un Lars che si distrugge le articolazioni pur di eseguire un tempo che non sa più fare. Rimane comunque un pezzo passabile. Le altre canzoni risentono tutte della troppa lunghezza (la più corta dura 5:01 ed è proprio My Apocalypse) anche se i 6 minuti e 26 di Broken, Beat And Scarred, pezzo molto buono anche se sembra uscito da una raccolta di pezzi scartati da St. Anger, scorrono via piacevolmente. La durata è un artificio che i Metallica non sanno più gestire, producendo infatti canzoni che scadono nel ripetitivo e molto più frequentemente nell'ambiguo, con continui cambi e passaggi che non portano da nessuna parte. E' proprio questo a rendere insufficienti canzoni potenzialmente belle come All Nightmare Long, Cyanide e The Judas Kiss, distrutte da una sovrabbondanza di riff e di durata che distraggono dall'unica cosa veramente "azzeccata" di questi pezzi: i rispettivi ritornelli, tutti molto orecchiabili e originali. I due pezzi melodici, primo singolo e probabile secondo, sono molto interessanti, anche se più che mai banali: The Day That Never Comes, primo estratto (condito da un video assolutamente incolore), è una canzone puramente commerciale, ma tutto sommato godibile, che spiazza con il suo finale frenetico e con la cantabilità del ritornello. Peccato per l'arpeggio quasi identico a quello della storica "Fade To Black". The Unforgiven III, criticatissima ancora prima di uscire, è un brano piuttosto insapore, sia per la struttura che per le melodie, anche se all'orecchio di molti risulterà la canzone più bella dell'album (parlo degli innumerevoli "fans" di Nothing Else Matters et similia). Lascio volutamente alla fine il pezzo strumentale che sinceramente non mi ha convinto, Suicide And Redemption: molti attribuiscono la scarnezza del brano all'assenza di Burton, che ha forgiato grandi pezzi come "Orion" e "The Call Of Ktulu" (indimenticabili cavalcate epiche del periodo migliore dei Metallica), ma parlerei più di un'assenza di innovazione e di creatività. Il pezzo è scorrevole per i primi 4 minuti dopodiché perde di drammaticità ed epicità, risultando una semplice canzone strumentale che sarebbe salvata solo da un cantato azzeccato che difficilmente potremo sentire dall'Hetfield quarantacinquenne di Death Magnetic.

Il difetto principale della parte "suonata" di questo album è sicuramente la batteria. Lars Ulrich ha perso smalto, lucidità, capacità, fantasia, groove, stile. Tutto ciò di cui un batterista ha bisogno; non troviamo nessuno spunto creativo nelle linee di batteria (e per fortuna che doveva essere la prosecuzione del fastoso "...And Justice For All"), e soprattutto avvertiamo esplicitamente la mancanza della doppia cassa proprio lì dove sarebbe più azzeccata, salvo poi udirla in piccoli siparietti clamorosamente evitabili. In 3 parole: il nuovo Lars. Per il resto, troviamo un Hetfield "voce bianca" che ha avuto bisogno di tonnellate di effetti per sembrare intonato, sempre più tamarro ma abbastanza originale, buono anche alla chitarra; un Trujillo incredibilmente sottovalutato, e un Hammett rinverdito, graffiante e, come sempre, dipendente dal wah-wah. Laddove i riff risultano taglienti e potenti al punto giusto, gli assoli sembrano scarichi e mal calati nel contesto delle canzoni. A poco serve l'arrangiamento di archi e piano all'inizio di The Unforgiven III, salvo citarne gli usi migliori che abbiamo sentito nel bellissimo live S&M del 1998.

Cosa possiamo dire alla fine: questo disco mette ancora il quartetto losangelino sotto i riflettori, e ancora una volta sono le luci della controversia ad abbagliarli. Bello per alcune cose, pessimo per altre. Potente per alcuni aspetti, scarno per altri. Il mio voto è un sei di fiducia ad un album che risulta comunque ascoltabile, sebbene molto difficile da metabolizzare. In sintesi, pesante ma salvabile. La carica magnetica dei Metallica è proprio morta...

Voto: 6-

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