domenica 6 dicembre 2009

Vowels - The Pattern Prism (Loaf, 2009)


Follia elettronica e caleidoscopiche creazioni di musica di qualità. Il “prisma” dei Vowels è un conglomerato plastico, infinitamente malleabile, di suoni e colori; costruito con un ambizioso tentativo di sfidare le leggi e le convenzioni non scritte della musica elettronica già composta, questo disco è infatti la riprova, dove già ci hanno provato con ottimo successo gente come Squarepusher ed Aphex Twin, che questo genere è ancora aperto a sperimentazioni di ogni sorta, grazie anche ai synth e alla sempre più musicalmente accomodante era dell’informatica.
Non è materiale facilmente ascoltabile. In qualche frangente si direbbe mancare di logica, ma bastano poche note per rendersi conto che i Vowels non hanno certo composto in maniera “random” questo bel disco. Se manca di coesione tra le parti, più o meno volutamente, non manca di certo di fantasia. E subito in apertura, i due minuti scarsi di Sonny sparano sfacciatamente sullo schermo le prime visioni oniriche di oggetti dalle forme più varie che si rincorrono, scalpitando e inciampando, rialzandosi per poi scattare, bloccarsi e ripartire. E’ già pazzia Tortoisiana. Seguendo con ordine troviamo Two Wires, piuttosto catchy rispetto al resto del disco, una ballata electro-pop simil-Holy Fuck che con le sue melodie sintetizzate ed una linea di batteria molto essenziale trascina per sei minuti buoni, lasciando spazio all’inizio “gutturale” di Swim Pool, 2 minuti e 42 di rumoristica d’alto livello, come una visione di un mondo sottomarino distrutto da suoni distorti trasmessi a volumi altissimi per il piacere di ascoltatori incatenati sul fondale a respirare ossigeno artificiale. Non bevete prima di ascoltarla.
Continuando il track-by-track ci imbattiamo nell’incespicare incontrollabile degli undici minuti di Appendix, il pezzo più lungo e più “calcolato” dell’intero disco. Lavoro di batteria superbo, così come il rintocco “di campane” sintetizzato che si ripete incessante; questi ragazzi fanno musica in una dimensione tutta loro. Una parte centrale fintamente coerente, lascia il segno invece per l’inconsistenza con cui procede prima di deflagrare nello schizofrenico finale, un andante dove il caos continua a regnare indisturbato. Elettronica disco-pop in On Up!, per ballare su musica che non è fatta per questo. Ma cosa ve lo dico a fare; ottimi i giri di tastiera e basso. Drums gone Awry non merita commenti altri che la traduzione del titolo. Deviazioni di percussioni sbilenche. No, non è la traduzione, ma ora sapete cosa aspettarvi. Tornano le allucinazioni dei Tortoise in Eh Uh, altro pezzo che sembra non terminare mai (undici minuti), cadenzato viaggio mentale dai suoni disperati e sgraziati, che perde di logica man mano che prosegue, arrivando nella coda come un semplice pulsare, terminando con frastuono elettrico di derivazioni smaccatamente noise. Il CD si conclude con Closing Circles, ritmo che ricorda gruppi recenti come Errors e Battles ad iniziare, che si trasforma poi nell’ennesima (l’ultima) cavalcata nevrastenica che lascerà i vostri timpani in un senso di torpore e di quasi-dolore il cui sollievo arriverà solo alla fine del pezzo.
L’album è veramente interessante. Dimostra come le sperimentazioni, nell’epoca del fallimento dell’originalità in generi come il rock ed il metal, proseguano a tutto spiano nei generi più “di nicchia” (non che l’elettronica commerciale lo sia) come questo. I Vowels sanno il fatto loro e producono un ritratto consapevole di cosa vogliono rappresentare con la loro musica, schizzando tenaci situazioni più simili a trip che a canzoni, dove il songwriting è ridotto all’elasticità più completa che l’era della “digital music” permette. Operazione riuscita.

Voto: 8.5

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