giovedì 7 ottobre 2010
Tiny Tide - Moontalking (Kingem Records, 2010)
Recensione:
1. Left Off
2. We Are Animals
3. Rock In The Empire
4. Manga Nurse
5. Lust For Clubs
6. Unfuzz Days
7. A Great Indie Night
8. I Would Say
9. The Smiths and The Cure
10. Moontalking
11. Lust For Clubs (Reprise)
12. Plain Little Game
13. Fog
Recensione:
Prima cosa che colpisce: nella tracklist del disco non sono riportati i numeri delle tracce ma le fasi lunari. Motivo estetico, collegato al nome del disco, così come la copertina, sulla quale dominano i toni rosati, che mostra due amici (o fidanzati) seduti su questa palla di roccia che non abbiamo voglia di definire luna.
Il disco dei Tiny Tide, che debuttano per Kingem Records con questa raccolta, è tutto fuorché un disco italiano, anche se la band, effettivamente, proviene da qui. Il suo leader, Mark Zonda, ha proposto un disco di matrice indie ma con una tavolozza di influenze difficile da comprendere appieno se non lo si ascolta più di una volta.
Le prime cose che vogliamo citare sono quelle negative: il timbro della voce spesso è fuoriluogo e tende a rovinare anche brani molto interessanti come "We Are Animals" o "Lust For Clubs", ottima indie-ballad della quale si può trovare, alla voce "Lust For Clubs (reprise)", un continuatum acustico che in qualche misura trova il modo di superare la prima versione. Un altro aspetto che aiuta poco nella buona riuscita del tutto è quello dei suoni: solitamente un disco prodotto in maniera molto "garage" o lo-fi può trovare i suoi punti di interesse nella qualità dei pezzi ma qui, in qualche modo, contribuisce ad affossarli. E questo è triste perchè brani come "Plain Little Game" e "A Great Indie Night" funzionano, eccome se funzionano. Manca sempre l'appoggio concreto di una voce che sappia davvero essere "conduttore", ma la composizione gioca dalla parte opposta e riesce a sollevare le sorti di ogni singolo pezzo. Così come salva "Fog" e "Rock In The Empire", entrambe fumanti ballate dal piglio profondamente "retrò", come una rivisitazione moderna dei The Stooges e una macchina ferma ad un crocevia dove suonano Iggy Pop e i Pulp, bloccando il traffico e contemporaneamente istupidendo l'ascoltatore che si trova di fronte a due generi così diversi suonati nello stesso istante.
Nei testi oscuri riferimenti agli astri e al mondo del gossip e della musica (quella bella, vedasi "The Smiths and the Cure"), nella musica fuzz e indie, synth-pop ed elettronica minimale, il tutto miscelato con un'anima pop che in ogni momento ti fa capire che chi ha composto questi pezzi ha un background musicale di tutto rispetto. Questo sicuramente. Ciò che manca, a volte, è un filo comune, ma nonostante questo un disco così piacerà a moltissimi affezionati dell'indie più sfacciato e più "underground", poiché è di questo che si tratta. E se Mark Zonda ha dovuto suonare quasi tutti gli strumenti da solo, lode a lui, perchè tecnicamente ci sono anche alcuni elementi non troppo semplici.
Un altro colpo da maestro è stato quello di impreziosire la line-up con ospiti come WildHeart, l'artista americano Marilyn Roxie e Phillip Lockwood-Holmes, direttamente dai LeBlue. Alla Kingem fanno sul serio e ogni volta si riuniscono artisti di un certo spessore per le loro uscite. Anche per i Tiny Tide non si sono risparmiati e il contributo di questi personaggi ha dato ulteriore importanza all'album, che si spera avrà il giusto successo, anche se riservo alcuni timori per la sua eventuale esecuzione live.
In sostanza, sistemando qualche virgola qui e là si può anche ottenere un disco perfetto. Non ci siamo lontani ma, vi prego, fate qualcosa per quella voce.
Voto: 7+
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