martedì 25 ottobre 2011

Coldplay - Mylo Xyloto (Parlophone, 2011)


Non si è voluto fare nessun antefatto per questa recensione, giacché l'esagerata campagna di marketing che Chris Martin in prima persona ha condotto prima dell'uscita di Mylo Xyloto ha già contestualizzato abbastanza i suoi obiettivi e il suo habitat naturale.
Trascinandoci a forza nel vivo dell'ascolto, ci troviamo di fronte ad un'amara considerazione, più che altro una constatazione: i Coldplay vanno analizzati con la conoscenza pregressa della loro carriera. Questo significa sapere che sono stati una band "alternative rock" per pochissimo tempo, forse per metà del running time dei primi due dischi, mentre dal capolavoro X&Y ad oggi sono stati sostanzialmente una macchietta pop sempre alla ricerca di successo e denaro. Detto questo, la parabola discendente della qualità dei dischi non impedisce a Mylo Xyloto di avere degli ottimi momenti e di risultare, tutto sommato, un interessante episodio nella loro storia. "Charlie Brown" e "Up With The Birds", i due brani migliori del disco, forti di una fluidità pop/rock che li connette immediatamente con i bei tempi di Parachutes, circoscrivono l'ambientazione di un album molto ben caratterizzato in ambito melodico, soprattutto in virtù di quella finalità ormai significativamente appiccicata al nome dei Coldplay: riempire gli stadi. Ecco allora i singoli "Paradise", "Every Teardrop Is A Waterfall" (con una melodia che, come sottolineano anche altri fonti in rete, sembra un plagio di "Ritmo de la Noche" di MYSTIC, pezzo osceno peraltro) e il probabile futuro estratto "Don't Let It Break Your Heart" che ci precisano la loro vocazione di band che può, e sa, perfettamente come far ballare, ondeggiare ed urlare degni del miglior Bono Vox. E di accostamenti agli U2, viste molte vicinanze nell'approccio chitarristico, dovremo farne molti altri (ma si evitano volentieri altri ingombranti paragoni).
Per allontanarsi dai Coldplay di Viva la Vida è necessario rivolgersi all'odioso featuring con Rihanna, già detestato da critici e fans (ed effettivamente "Princess of China", seppur ascoltabile, è una canzone molto debole se paragonata al resto del disco) e soprattutto a "Major Minus", con un piglio, soprattutto al basso, molto più indie rock. Qui ha ricordato molto i Kasabian, ma il pezzo è tutto sommato molto carino e non ristagna in nessun momento, soprattutto se lo vediamo come una parentesi di distacco dal resto. Abbiamo poi un momento vagamente soft punk, in particolar modo nel drumming, con la iniziale "Hurts Like Heaven", interessante probabilmente più nei live mentre in studio perde verve per una produzione un po' troppo rumorosa che toglie interesse alla voce.

Il resto del disco non ha mordente e troviamo alcuni elementi-riempitivo, come "U.F.O." e "Up In Flames" che si ascoltano senza annoiarsi troppo ma si eviterebbero volentieri. La produzione di Brian Eno svolge il consueto ottimo lavoro, anche se risulta un po' fuori fuoco rispetto al disco precedente. Il sound è leggermente più confuso, a parte le chitarre, la voce quasi tendente a sparire in alcuni momenti, mentre piccole fiammate epiche sottostanno a ottimi inserimenti degli archi di Eno in persona. Poco in risalto invece il basso, che meriterebbe qualche attenzione di più.
Mylo Xyloto è solo e soltanto quello che i Coldplay possono essere nel 2011. Una band pop da stadio senza nessuna pretesa in più: forse sbaglia più chi li ritiene ancora all'altezza di album come Parachutes e A Rush of Blood To The Head, non accorgendosi che il mondo che gli appartiene è solo e soltanto quello di MTV. Se la vediamo in quest'altro modo, apprezzeremo tutti senz'altro questo album, mediocre ma con una grande anima radiofonica che risulterà per questo, ai più, "scontata".

Voto: 6,5

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