Quando si vuole ascoltare un disco degli Stereophonics o di una delle tante band analoghe bisogna sempre infilarsi i famosi “guanti di velluto” e approssimarsi con calma all'obiettivo: il tasto play che probabilmente significherà delusione. Cloni di cloni, accordi da spiaggia trasformati nella solita pretesa di essere eredi dei Beatles come già Oasis, Verve, Jet e mille altri avevano fatto con risultati comunque apprezzabili. Forse la band di Kelly Jones ha anche avuto il suo perché con i primi lavori, canzoni come l'indimenticabile “Dakota” e dischi con un loro perché (soprattutto “Performance and Cocktails”). Arrivati a questo settimo disco non hanno assolutamente più nulla da dire, ma non si preoccupano di questo e propongono quindi l'ennesimo disco di pop/rock, qualche volta melodico e sdolcinato, qualche altra più graffiante, che di per sé stupisce solo per i singoli. In effetti sono solo i papabili estratti a suscitare interesse, per poter dare un giudizio sulla loro attitudine commerciale e l'orecchiabilità degli stessi. Questi sono Innocent (già primo singolo), Could You Be The One, She's Alright (rockettone d'apertura che probabilmente è il miglior pezzo del disco) e Uppercut, anche questa sicuramente valida sotto il profilo radiofonico (sarà la somiglianza con molte delle hit degli Oasis?). Qualche inserto elettronico non guasta mai, e gli ultimi due album dei Phonics ce l'avevano già dimostrato: ci riprovano con un risultato abbastanza buono in Beerbottle, col suo beat da pubblicità d'automobile che percorre una galleria che mai decolla, lasciandoti sempre la sensazione che manchi la prosecuzione logica al pezzo stesso. Quando si alza il volume del distorto il risultato non è sempre dei migliori: Live'n'Love di per sé è fin troppo banale per guadagnarsi un posto sul podio delle migliori di questo Keep Calm and Carry On e forse cogliere l'invito del titolo stesso è il modo più consono di continuare con l'ascolto di un disco di per sé molto scarico. Si troverà un po' di refrigerio in 100 MPH e Wonder, la prima quasi uno scarto dei dischi solisti di Richard Ashcroft (non è necessariamente un difetto, specifichiamo...), la seconda distorta ballatina abbastanza insapore ma che troverà una buona collocazione all'interno della scaletta dei concerti.
Un album come questo lascia per forza l'amaro in bocca. Sarà che dopo tutti questi anni di carriera e i continui dischi rilasciati ci si aspetta qualcosa di più, sarà che chi li ha sempre ascoltati prima o poi rischia di stancarsi, ma la tecnica seppur buona dei ragazzi non si concilia più con la vena compositiva che li ha contraddistinti all'inizio, e anche i testi risultano pesantemente annacquati. Non più storie d'amore, o di vita, come prima, ma molto spesso frasi cliché, ritornelli di poco conto, banalità che neanche Liam Gallagher. C'è tempo per salvarsi, ma bisognerà prendere una strada completamente diversa. Questo disco può piacere ai fan più esagerati, ma sicuramente non ha da dire niente a chi gli Stereophonics non li ha mai approfonditi. Riprovateci.
Voto: 5.5
Voto: 5.5
Non sono assolutamente d'accordo... Gli Stereophonics hanno fatto un vero capolavoro a livello melodico. La loro particolarità sta anche nel loro essere cantilenanti, nel fare canzoni che a volte somigliano a marcette o filastrocche, ma che sanno sempre essere particolari. Le prime 8 track sono micidiali, "Beerbottle" è un pezzo malato di grande impatto... Secondo me, insieme a "Sex language violence & other" è il loro album più pregiato
RispondiEliminaLe recensioni hanno il particolare pregio di essere opinioni in un momento storico in un cui le opinioni non contano più.
RispondiEliminaIl disco, riascoltandolo con attenzione, ha anche qualche buono spunto, ma, secondo il sottoscritto nonché recensore, nulla più di quanto ho inserito nell'articolo.
Ma rispetto il tuo punto di vista anzi ti invito ad esprimere la tua opinione in maniera così cordiale ed efficace anche su altre recensioni di dischi che conosci.
un abbraccio,
emanuele