martedì 16 novembre 2010
Le Luci della Centrale Elettrica - Per Ora Noi La Chiameremo Felicità (La Tempesta Dischi, 2010)
Tracklist:
1. Cara Catastrofe
2. Quando Tornerai dall'Estero
3. Una Guerra Fredda
4. Fuochi Artificiali
5. L'Amore Ai Tempi dei Licenziamenti dei Metalmeccanici
6. Anidride Carbonica
7. Le Petroliere
8. Per Respingerti In Mare
9. I Nostri Corpi Celesti
10. Le Ragazze Kamikaze
E allora si, divertiamoci a chiamarla felicità, anche se è tutt'altro. Ascoltiamo bene i testi di Vasco Brondi e poi proviamo ad individuare la percentuale di felicità che esalano. Che sia quanto o più del monossido di carbonio che gli piace tanto citare non ci interessa, perché l'universo "vascobrondiano" si fonda su una serie di elementi che si sono consolidati nei primi anni della sua breve carriera e che, volenti o nolenti, siamo costretti a sorbirci di nuovo.
Cos'aveva di bello il primo disco? "Canzoni da Spiaggia Deturpata" era un gioiello, un disco diventato in breve tempo cult per la sua capacità di comunicare, con un lessico personale dell'autore ma che si poteva benissimo estendere a tutti i suoi coetanei (e soprattutto a quelli più giovani), un'immediatezza quasi punk nonostante il genere e un "modo di dire le cose" talmente diretto da risultare di facile comprensione a chiunque. Inoltre, sommato al demotape e a quanto imparato durante l'estenuante tour che ne ha seguito l'uscita, Le Luci della Centrale Elettrica è diventato un progetto riconoscibile per alcuni tratti somatici (anzi, somatizzanti) che piacciono ad un numero di fans incredibilmente alto, e che continueranno per anni a rimanere appannaggio unico di questo artista. Questo per dire che gli accordi che usa, il modo di cantare che utilizza, il suo timbro, le parole scelte e il modo di costruirci sopra delle frasi che restino in testa e il songwriting di Vasco Brondi stupiscono perchè inimitabili, davvero innovativi (stupisce più che altro come non sia mai venuto in mente a nessun'altro di fare una cosa del genere). L'aspetto negativo di tutto ciò è che, per quanto la gente voglia ascoltare un disco uguale al precedente e lavarsene le mani di eventuali cambi di rotta e di ambizione nella mente dell'artista, a chi vuole dare un giudizio critico dell'album non rimane in mano niente. Tutto evapora nella ripetitività di quei concetti e di quello stile che non è più tanto appetibile come lo era tre anni fa, e che lascia a desiderare soprattutto quando consideriamo che le aspettative erano altissime (o ha vinto il premio Tenco per nulla?).
Ma piano, non esageriamo, nulla è svanito in una bolla di sapone: Per Ora Noi La Chiameremo Felicità contiene una decina di tracce, tutte molto belle, tutte identificate in quell'insieme di aspetti di cui sopra, quindi sicuramente funzionanti per lo stuolo di fans che mai lo abbandonerà. Vince su tutte "Anidride Carbonica", la più concitata, fatta di un fiume di parole che riescono ad avere una coerenza nonostante alcuni scivoloni. Il bello di un disco così è anche che le frasi riescono ad avere una forza comunicativa eccellente grazie al timbro di Vasco, uno dei pochi che anche se ti piazza una frase a sé stante come "le luci di dicembre delle raffinerie di Ravenna" riesce a smuoverti qualcosa dentro. Lo dimostra anche in "Le Petroliere", il singolo "Cara Catastrofe" e "Una Guerra Fredda", canzoni il cui significato sfugge subito dall'attenzione quando iniziano ad alternarsi frasi-tormentone e cazzate à-la-Vasco Brondi, nonostante i brani ottengano tonnellate di linfa vitale dagli ospiti del disco (anche qui, gli stessi del tour precedente), cioè Canali, D'Erasmo degli Afterhours ed Enrico Gabrielli, che lo accompagnano di nuovo anche in concerto. Per quanto gli archi rendano fiacchi gli arrangiamenti riescono a dargli l'impatto che meritano, sollevando il disco da una piattezza musicale che, tagliando corto, si riduce di nuovo a quattro accordi da spiaggia, che per giunta non è più deturpata, visto che il lavoro sul sound è molto superiore a quello della prima uscita discografia per La Tempesta. Il taglia-e-cuci di paesaggi urbani e rurali, degli scontri inevitabili tra la vita del giovane disoccupato e la sua città che simboleggia uno Stato che se ne frega di tutti, di lotte interiori ed esteriori, continua a non lasciar scampo: la forza comunicativa di queste frasi visibilmente sconnesse è enorme, e di nuovo il disco frega tutti quelli che non ne potevano già più di sentirlo urlare "portami a bere dalle pozzanghere" o "cosa racconteremo ai figli che non avremo di questi cazzo di anni zero". E anche se non si capisce se il suo obiettivo sia andarsene, come ha fatto spostandosi in Lombardia per inseguire il sogno musicale, o invocare ad un ritorno alla propria casa, come in "Quando Tornerai dall'Estero", altro brano vagamente carico che riesce a mantenere accesa la candela fino all'ultimo secondo.
Si pensava che fosse finito, ma ha resistito. Ma al terzo lavoro lo attenderà la prova definitiva: un altro disco così e per Vasco è la fine. E da Milano dovrà tornarsene nella città che tanto ama-odia, cioè Ferrara.
Voto: 6.5
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