venerdì 7 gennaio 2011

Paul Smith - Margins (V2, 2010)



Tracklist:
1. North Atlantic Drift
2. The Crush and the Shatter
3. Improvement/Denouement
4. Strange Friction
5. While You're In Bath
6. This Heat
7. I Drew You Sleeping
8. Alone, I Would've Dropped
9. Dare Not Dive
10. I Wonder If
11. Our Lady Of Lourdes
12. The Tingles
13. Pinball

Il giorno in cui tutti i frontman dei stramaledetti sedicenti gruppi indie inglesi, australiani o nordamericani la smetteranno di fare dischi solisti di dubbio valore, probabilmente io smetterò di considerare queste band delle reincarnazioni di dubbio valore dei Joy Division, dei Devo, o delle peggiori boyband.

Sfogo a parte, Paul Smith è un cantante molto carismatico, che nei Maximo Park è riuscito a creare perlomeno un paio di dischi interessanti dal punto di vista melodico, con molti singoli spendibili e vendibili come tali e performance live che, almeno nei primi tempi, sapevano entusiasmare senza troppe pretese. Cosa avrà combinato, invece, in questo Margins?
Il disco è piuttosto banale, difficile da mandare giù senza doversi soffermare un paio di volte a chiedersi perché. Le idee melodiche, gli arrangiamenti e alcune scelte tecniche e letterarie sono veramente apprezzabili, sottolineando l'ottima abilità dei musicisti (compaiono nomi come i Field Music) e la capacità da sempre riconosciuta a Smith di infilare infinite serie di frasi che abbiano più o meno senso compiuto ma dando grande vivacità, cantabilità e, in un certo senso, una personalità, alle linee vocali. Lo fa di nuovo, in quasi tutti i brani di Margins, che però hanno il terribile pregio di risultare brutte copie dei Maximo Park, o brutte copie delle brutte copie del disco solista di Duncan Lloyd o di tanti altri dischi solisti provenienti da band analoghe. Ci sono brani, come "Alone, I Would'Ve Dropped" che riescono nel difficile intento di annacquare soluzioni melodiche universalmente riconosciute come funzionanti e radiofoniche, perché concepite come tali, rendendole una sorta di delirante disperazione che si conclude in tormentati lamenti che segnano la strada per sfuriate leggermente più cariche come in "The Tingles", un brano che come molti nel disco tocca la sufficienza solo di striscio. E' il caso di finti tormentoni come "The Heat" e "Dare Not Dive", che emanano un torbido e soffocato baluginio di originalità, per chi la vuole cercare, grazie ad alcuni affannati lavori ritmici e melodici di basso e chitarra. E' "Improvement/Denouement" il brano più valido, almeno per il modo in cui la voce declina la passionalità tipica del timbro di Smith in forme più blande di orecchiabilità, senza stonare né uscire dai cardini segnalati con vistosi tratti di pennarello fosforescente che ti dice: "attenzione alle chitarre, con questo sound potresti anche fare un buco nell'acqua". Un messaggio che gli voglio dare più io che la sua coscienza, poiché la prima impressione che si ha ascoltando questo lavoro non ha nulla a che fare con quanto detto fino a qui, ma è proprio quella di una produzione casereccia, fatta alla bell'e meglio giusto per dare alle stampe un lavoro in più.

Noi che sappiamo che non è così gli diamo un po' di fiducia e diciamo che per almeno metà della sua durata Margins sa essere un disco sufficiente, radio-friendly quanto basta per non scadere nel melenso o nell'esagerazione commerciale, con tutti i suoi limiti che speriamo di avervi lasciato intendere nelle righe di cui sopra.

Voto: 6-

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