I Ween si formano più o meno nel 1984, quando Aaron Freeman e Mickey Melchiondo, all'epoca quattordicenni, si incontrano in quello che è l'equivalente per noi della terza media in una scuola di New Hope, in Pennsylvania. Scoprono subito di avere molte cose in comune: l'interesse verso le ragazze, il senso dell'umorismo cupo e assurdo e, soprattutto, il fatto di saccheggiare periodicamente la collezione di dischi dei propri genitori ogni volta alla ricerca di qualcosa di nuovo da scoprire e da aggiungere alla propria biblioteca musicale (le loro influenze sono molteplici, ma sicuramente i due artisti che più hanno influito nel plasmo delle personalità del gruppo sono stati i Beatles e Prince). Decidono quindi di formare un duo, i Ween, appunto e già che ci sono, cominciano ad inventare il proprio mondo personale: Freeman e Melchiondo diventano rispettivamente i fratelli Gene e Dean Ween, soprannominati Gener e Deaner, monaci del dio Boognish, una divinità non particolarmente buona, il cui scopo è principalmente quello di diffondere la filosofia di "marrone" nel mondo (qualcosa di repellente che, allo stesso tempo, per qualche motivo, riesce ad essere attraente). Gener e Deaner decidono inizialmente di fare tutto da soli: Gene è il cantante principale, suona la chitarra ritmica, le tastiere e di tanto in tanto il basso, mentre Dean è il chitarrista solista, suona il basso quando non è Gene a farlo e, essendo un ex batterista, si occupa della batteria, programmata o reale.
Tra il 1985 e il 1987 i fratelli Ween producono quattro cassette fatte in casa: "Mrs. Slack", "The Crucial Squeegie Lip", "Axis: Bold as Boognish" e "Erica Peterson's Flaming Crib Death". Tuttavia, queste pubblicazioni (oggi disponibili gratuitamente in rete), non mostrano niente di particolarmente interessante: solo gli esperimenti di due adolescenti appassionati di musica (e di droghe leggere) che registrano dischi fatti in casa infarciti di humour adolescenziale e strampalate cover di classici del rock.
Le cose cominciano a cambiare nel Dicembre 1987, quando i Ween partecipano all'High School Talent Show di New Hope con una cover della Hendrixiana "Foxy Lady" vincendo. L'anno successivo producono l'EP "The Live Brain Wedgie/WAD", la prima pubblicazione a non essere distribuita su cassetta, ma su vinile, indicando un serio cambiamento nella filosofia del gruppo, più decisi a fare sul serio. Il lato A del disco proviene da un esibizione dal vivo, mentre il lato B sono altri demo fatti in casa, un po' meno grezzi rispetto alle cassette prodotte negli anni precedenti, probabilmente a indicativi del fatto che Freeman e Melchiondo stessero cominciando a pensare seriamente a farsi una carriera musicale. Questo EP, come le cassette già citate, non è mai più stato ripubblicato, ma è disponibile gratuitamente in rete, rilasciato dai due fratelli Weener. Nel 1989, i Ween firmano un contratto con la Twin/Tone Records, cominciano a scrivere brani più articolati e a rimodellare alcuni vecchi per renderli meno grezzi e, l'anno successivo, finalmente esce il loro primo vero album: "GodWeenSatan: The Oneness", prodotto dall'amico Andrew Weiss, un polistrumentista Americano che aiuterà più volte il gruppo durante il corso della loro esistenza.
GODWEENSATAN: THE ONENESS
(Twin/Tone Records, 1990)
Il primo album completo dei Ween è già un pugno nello stomaco. Si tratta di un viaggio di 26 brani, tra alcuni registrati professionalmente in studio e altri registrati artigianalmente su un registratore a cassette 4-tracce. Nonostante l'artwork e i titoli di alcuni dei brani ("You Fucked Up", "Common Bitch", "Fat Lenny", "Let Me Lick Your Pussy") è chiaro che i Ween prendono più seriamente il loro lavoro di quanto sembri. La cosa che senza dubbio colpisce l'orecchio è l'eclettismo e la varietà presenti nel disco: sebbene possa essere catalogato principalmente come un disco rock, troviamo anche brani gospel ("Up on the Hill"), brani fintamente spagnoleggianti ("El Camino"), hard rock allo stato puro ("Tick", "Wayne's Pet Youngin", "Common Bitch"), lunghe divagazioni psichedeliche ("Nicole"), strampalate canzoni d'amore ("Don't Laugh (I Love You)", che contiene il verso "a Ernest Hemingway sarebbe importato di me, ma Ernest Hemingway adesso è morto" e un finale assolutamente terrorizzante), una bizzarra parodia disco/funk di fine anni 70 ("I'm in The Mood to Move") e persino un vero e proprio omaggio a Prince ("Let Me Lick Your Pussy"). Un'altra cosa notevole, a ulteriore dimostrazione di quanto i Ween abbiano messo molta cura nel produrre questo album, è la presenza di melodie memorabili: i brani sono tutti costruiti in maniera perfettamente funzionale e accattivante e riescono a terminare un po' prima di diventare prolissi e un po' dopo aver superato la barriera del troppo breve (a parte,"Nicole", volutamente tenuta eccessivamente lunga con l'aggiunta di sovraincisioni che mettono a dura prova la pazienza dell'ascoltatore). In questo album è presente anche la componente triste dei Ween (a sottolineare che, nonostante lo humour assurdo, non sono una comedy band) assente nelle prime cassette e che piano piano comincerà a prevalere sempre di più nelle produzioni del gruppo. In questo caso si parla del brano "Birthday Boy", una minimalista (e autobiografica) ballata dedicata a una separazione di coppia avvenuta male, dove non si nota un minimo cenno di umorismo e dove la voce di Freeman suona genuinamente disperata e spaventata. In definitiva si tratta di un ottimo lavoro, soprattutto alla luce del fatto che i "fratelli" Weener erano appena ventenni durante le registrazioni dell'album. Il disco è stato ripubblicato nel 2001 in una divertente "25th anniversary edition" ampliato di 3 brani, per un totale di 29 tracce.
Nel 1990, cambiano alcune cose per il duo: cambia il contratto di casa discografica (Shimmy Disc) e i due si trasferiscono in un appartamento dove cominciano a lavorare al loro secondo album, sempre prodotto da Weiss e con un minimo di aiuto da parte dell'amico Chris Williams, saltuariamente bassista del gruppo, soprannominato Mean Ween. Il risultato uscirà nel Settembre del 1991 e si intitolerà "The Pod".
THE POD
(Shimmy Disc, 1991)
Registrato interamente su un registratore 4-tracce, "The Pod" prende il nome dall'appartamento in cui il duo ha vissuto tra il 1990 e l'Ottobre del 1991, prima di essere sfrattato. A causa della qualità lo-fi del disco, dell'utilizzo del duo di droghe lisergiche e di alcuni problemi avvenuti durante le registrazioni (sia Freeman che Melchiondo soffrirono separatamente di casi di mononucleosi), "The Pod" risulta l'album più cupo e difficile dell'intera discografia. Il problema principale non sta nella registrazione low fidelty che, anzi, contribuisce a dare toni oscuri tutto sommato apprezzabili, nel fatto che la voce sia spesso e volentieri manipolata con il pitch control in modo da renderla troppo alta o troppo bassa, o nella eccessiva durata del disco (76 minuti), che sembra voler volontariamente testare la pazienza dell'ascoltatore (soprattutto nella parte centrale dell'album, dove brani sempre più inquietanti e disturbati si susseguono di continuo senza avere la minima intenzione di terminare questo flusso), quanto nel fatto che, nonostante le premesse, i brani di "The Pod" convincano presi singolarmente e non a livello organico. In particolare, la sezione appena citata dell'album (che comincia con la seconda parte di "Demon Sweat", la traccia numero 9, e termina con "She Fucks Me", la numero 21), è genuinamente inquietante, ma dopo un po' rischia di annoiare, probabilmente dovuto al fatto che mano a meno che si prosegue, i brani tendono a diventare quasi tutti uguali. Ad ogni modo, l'album contiene comunque qualche gemma, prima su tutte l'hard rock di "Captain Fantasy", la cui interpretazione vocale riporta un po' alla mente quella di Geddy Lee dei Rush. Degne di nota sono anche "Dr. Rock", che dal vivo diventerà un cavallo di battaglia, la Beatlesiana "Pork Roll, Egg and Cheese", "Mononucleosis" che riesce musicalmente a descrivere perfettamente lo stato d'animo febbrile della malattia, la fintamente epica "Right to the Ways and the Rules of the World" e "Demon Sweat", un brano che inizia delicato e malinconico e impazzisce nella seconda parte strumentale, resa atonale dai cambiamenti di velocità dello scorrimento su nastro. In questo album comincia anche la saga del personaggio "The Stallion", che entrerà a fare parte della mitologia dei Ween. In questo album troviamo le prime due parti della saga (in totale saranno 5), e sono indubbiamente tra le cose migliori del disco. In definitiva parliamo di un buon album, interessante dal punto di vista dell'atmosfera, buono (a volte eccellente) dal punto di vista melodico, ma che finisce per essere vittima di sé stesso nell'organico. Qualche curiosità sull'album: oltre ad avere un brano intitolato, il pork roll egg and cheese, un panino con formaggio, pancetta e uova fritte su un kaiser bun, viene nominato ossessivamente durante quattro brani ("Frank", "Awesome Sound", "She Fucks Me" e ovviamente "Pork Roll, Egg and Cheese"), probabilmente una battuta rincorrente che a noi ascoltatori non è dato di capire, la copertina del disco è un fotomontaggio della testa di Mean Ween sulla faccia di Leonard Cohen dalla copertina di "The Best of Leonard Cohen" e sul retro del disco, c'è scritto che i fratelli Ween hanno registrato il disco mentre inalavano della colla (più avanti sia Freeman che Melchiondo hanno affermato che si trattava solo di una battuta).
Nel 1991, finalmente, i Ween riescono ad ottenere un contratto stabile con una casa discografica, l'Elektra e cominciano ad avere un po' di più di visibilità. Alcuni fan cominciano a preoccuparsi per questo, temendo che il gruppo possa cominciare a svendersi. Tali fan, però, tireranno ben presto un sospiro di sollievo...
PURE GUAVA
(Elektra, 1992)
Forse per testare la casa discografica, forse per fretta di pubblicare un nuovo album, i Ween usano ancora una volta il sistema artigianale 4-tracce per registrare questo disco, "Pure Guava". Sebbene sia un disco difficile da digerire a primo impatto, risulta comunque un album molto differente da "The Pod" per diversi motivi: nonostante siano entrambi due album allucinati, il primo è cupo e tormentato, ma "Pure Guava" è senza dubbio più allegro e solare (si mettano a confronto le prime due parti di "The Stallion" su "The Pod" con la terza su "Pure Guava"). Inoltre, i Ween cominciano di nuovo a sperimentare tra i vari generi e il che rende il disco meno monotono del precedente e quindi meno piacevole ad un primo impatto, ma senza dubbio più notevole a lungo termine. Questo disco contiene il singolo più conosciuto dei Ween, "Push Th' Little Daisies", una bizzarra parodia alle boy band dell'epoca, con la voce di Freeman velocizzata e sguaiata. Non è ben chiaro il perché della popolarità di tale singolo, forse per il passaggio del videoclip sulla trasmissione Beavis & Butthead (per usare le parole di Butthead: "these guys have no future"). Le stranezze non si fermano qua: brani come "Little Birdy", "Flies on My Dick", "Touch my Tooter", "I Play it Off Legit" e "Poopship Destroyer" non possono essere definiti in alcun modo. Si tratta di frammenti curiosi, con un senso, ma apparentemente random e confusi. Per non parlare di "Mouring Glory", l'interrogativo più grande che sia mai apparso in un album dei Ween: 5 minuti di base saturata a tal punto da essere completamente incomprensibile sulla quale viene narrato un racconto di un'invasione aliena di zucche (?), o di "Reggaejunkiejew" (il brano non è antisemita: è riferito ad una persona in particolare, e come se non bastasse Freeman è di origini ebraiche), un brano che dal vivo è un tirato funky sul quale Melchiondo si può sfogare, e che in studio sembra musica uscita da una segreteria telefonica (a proposito: verso il finale c'è un atonale assolo di... fax!). L'album non è del tutto ostico, comunque: "Don't Get Too Close To My Fantasy" (con uno splendido finale a capella) è uno dei brani più melodici dell'intera discografia, "Springtheme" è spensierata e allegra, "Hey Fat Boy (Asshole)" e "Big Jilm" sono piuttosto accativanti, nonostante la produzione volutamente repellente, e con "Sarah" (dedicata alla stessa ragazza a cui è stata dedicata "Birthday Boy") torna il lato malinconico dei Ween. In definitiva, "Pure Guava" è senza dubbio un disco molto difficile. Lo stesso Melchiondo, in un'intervista rilasciata al sito Nashville Scene, ebbe a dire: "È buffo: ogni tanto conosco qualche persona nuova, e quando scoprono che suono in un gruppo, vanno sempre a comprarsi "The Pod" o "Pure Guava" e ne sono completamente terrorizzati. Non riesco a immaginare che immagine si facciano di me nella loro mente. Qualcosa del tipo "Oddio, questo tizio va in giro per gli stati e fa questa roba? Chi cazzo ascolterebbe una cosa del genere?". Arrivano sempre e mi dicono "Ho ascoltato della tua musica". Io domando loro cos'hanno ascoltato e loro rispondono "Pure Guava". A quel punto gli dico di andare ad ascoltarsi qualcos'altro perché quella roba è troppo rumorosa. Non fraintendetemi: adoro quegli album, non li sto rinnegando. Sto solo cercando di entrare nell'ottica di un ascoltatore tradizionale!". Comunque sia, "Pure Guava" è un album che dopo ripetuti ascolti (perdonatemi l'orrendo gioco di parole) dà i suoi frutti. Entrare nell'ottica del disco è particolarmente difficile, ma una volta capito il meccanismo, ci si trova di fronte ad un lavoro eseguito perfettamente e con senso, e il fatto che quest'ultimo sia apparentemente assente, lo rende un album ancora più affascinante.
Probabilmente a causa del successo (casuale) ottenuto dal singolo "Push Th' Little Daisies", i Ween cominciano a rendersi conto sul serio del loro potenziale e decidono di raffinare un po' di più la loro musica, senza cercare di perdere il loro spirito. I divertissment stonati e strani spariscono quasi completamente, così come viene abbandonato il 4-tracce e ci si concentra molto di più sulla produzione della musica. Il risultato si intitolerà "Chocolate and Cheese", uscirà nel Settembre del 1994 e sarà prodotto ancora una volta da Andrew Weiss.
CHOCOLATE AND CHEESE
(Elektra, 1994)
Il cambio di direzione per il quarto album è notevole ed è impressionante la facilità con cui si è arrivati a questo. La cosa, però, è stata fatta non senza alcune perplessità: nella stessa intervista citata sopra, parlando di questo album, Melchiondo afferma che "quando è uscito ero veramente spaventato, perché era un album più prodotto rispetto a quelli su 4-tracce. All'epoca pensavo che fosse il peggior disco del mondo e che stessimo per perdere tutti i fan. Pensavo che tutti i fan avrebbero odiato questo disco perché era più raffinato rispetto agli altri". Per fortuna, i suoi timori si sono dimostrati insensati, perché "Chocolate and Cheese" è tutt'ora giudicato da molti fan e da molti critici come il miglior lavoro dei Ween, e praticamente ogni canzone dell'album è diventata un classico nelle scalette del gruppo. È, inoltre, senza dubbio il lavoro più eclettico dell'intera discografia: i 16 brani contenuti nell'album sono di 16 generi diversi. Inoltre, le melodie sono più ricercate, e l'album appare come un lavoro veramente maturo e eccellentemente costruito. Come già affermato prima, i classici in questo album sono molteplici: il blues di "Take Me Away", il funky di "Voodoo Lady", il soul di "Freedom of 76", la brillantemente terrorizzante "Spinal Meningitis (Got Me Down)", le allegre e spensierate "Roses are Free" (resa celebre da una cover dei Phish) e "The HIV Song" e il racconto far west di "Buenas Tardes Amigo", e persino il brano che più si avvicina ai due lavori precedenti ("Candi") è comunque più melodico. Da un lato si sviluppa il lato oscuro dei Ween, con la già citata "Spinal Meningitis (Got Me Down)", un racconto in prima persona di un bambino che sta per morire di meningite, senza un filo di humour o di eccessiva compassione verso di lui (un po' come un fatto di cronaca obbiettiva) e con "Mister, Would You Please Help My Pony?", un racconto di un trauma infantile su una base incredibilmente allegra e cretina, dall'altro continuano gli episodi di tristezza con "A Tear for Eddie", strumentale dedicato a Eddie Hazel, chitarrista dei Funkadelic, e con la Lennoniana "Baby Bitch", sempre per la "Sarah" di "Birthday Boy", che, nonostante il titolo, ha uno dei testi più profondi e rabbiosi dell'intera discografia. Altri brani degni di nota sono l'accattivante "What Deaner Was Talking About" e l'intelligentemente costruita "I Can't Put My Finger on It", che alterna a una strofa incredibilmente aggressiva, un dolce e sognante ritornello strumentale, tirando nel calderone anche alcuni elementi di musica araba nel finale. "Chocolate & Cheese" è senza dubbio uno dei lavori migliori del gruppo e si è giustamente guadagnato un posto speciale nel cuore dei fan e del gruppo, e brani come "Take Me Away", "Voodoo Lady" e "Spinal Meningitis (Got Me Down)" diventeranno stabili nelle scalette di ogni tour.
Visto il riuscito tentativo di raffinare il sound, i Ween decidono di diventare un gruppo vero e proprio, aggiungendo all'organico l'ottimo batterista Claude Coleman Jr, Glenn McClelland (già con i Blood Sweat and Tears) alle tastiere e Dave Dreiwitz al basso (anche se per un certo periodo e saltuariamente sarà Weiss il bassista). Durante i due anni successivi si intensifica il lavoro live del gruppo, adesso una band vera e propria e non più due polistrumentisti accompagnati da un registratore, e le lavorazioni all'album successivo. Per il successivo album, le lavorazioni cominciano in una casa nella costa di Holgate, nel New Jersey. L'idea è di creare un album a tema acquatico (sia Gene che Dean Ween sono sempre stati affascinati dall'oceano). Purtroppo, una sera, mentre la casa era disabitata, un tubo dell'acqua esplode, danneggiando alcuni dei nastri e dell'equipaggiamento, e costringendo il gruppo a rilavorare su alcune parti. L'album viene messo temporaneamente in pausa e, quasi per scherzo, i Ween cominciano a comporre canzoni country. Tuttavia, le canzoni composte erano melodicamente buone, così decidono di scomodare alcuni dei grandi nomi del genere (tra cui Charlie McCoy, Buddy Spicher, Bobby Ogdin e The Jordanaires) per trasformarli in un album vero e proprio.
12 GOLDEN COUNTRY GREATS
(Elektra, 1996)
La prima cosa notabile di questo album è che, nonostante il titolo, i brani sono solo 10. "Si chiama così per via del numero dei musicisti che ci suona sopra, i session-man da Nashville" spiega Aaron Freeman in un'intervista dell'epoca "non per il numero delle tracce". Questo album è interessante per il fatto che è un disco puramente e genuinamente country (anche se, comunque, "Help Me Scrape The Mucus Off My Brain", "Piss Up a Rope" e "Fluffy" avrebbero potuto essere senza problemi su qualsiasi altro album dei Ween), perché vi sono molte leggende della musica country e perché è il primo album nel quale sono sorti problemi di diverso tipo. Ben Vaughn, il produttore del disco, in un'intervista per il sito Taste of Country, racconta del fatto che, nonostante fossero dei professionisti, alcuni musicisti si sono rifiutati di suonare alcune parti per la troppa vergogna per il contenuto dei testi (un brano saliente è il racconto gay di "Mister Richard Smoker"), per il fatto che i legali di Muhammad Ali hanno vietato l'inclusione di un sample in "Powder Blue" troncandolo bruscamente (anche se alcune copie sono sopravvissute senza il taglio) e per una causa legale da parte del gruppo Vangelis, perché il brano "Japanese Cowboy" assomigliava un po' troppo alla loro "Chariots of Fire". Tuttavia, le registrazioni risultano divertenti, l'album diventa un cult nella discografia dei Ween e contiene almeno una grande perla ("You Were The Fool"). Una curiosità: Freeman e Melchiondo si limitano a cantare, suonando la chitarra solo in "I Don't Wanna Leave You on the Farm" (assolo di Melchiondo) e "Fluffy" (assolo di Freeman). Questo album dimostra ancora una volta, comunque, che nonostante la giocosità nelle loro azioni (il divertimento di fare senza preavviso un album interamente country), i Ween prendono molto sul serio le loro azioni e si impegnano a fondo perché tale album risulti il migliore possibile. Lo stesso anno, lo portano in tour con alcuni dei musicisti presenti su album, a nome The Shit Creek Boys.
Al termine del breve, ma acclamato tour country (nel quale, comunque, vengono suonati anche i classici), i Ween riprendono a lavorare all'album acquatico di cui si accennava poco fa. Il disco, intitolato "The Mollusk", uscirà nel Giugno del 1997, prodotto ancora una volta da Andrew Weiss.
THE MOLLUSK
(Elektra, 1997)
Si tratta senza dubbio dell'album più raffinato dei Ween tra quelli prodotti fino ad ora. La passione per l'oceano e l'influenza che la vicinanza a esso ha avuto su di loro è palpabile e notevole. Sia Melchiondo che Freeman hanno spesso definito questo disco come il loro preferito e l'unico di cui siano pienamente soddisfatti. È senza dubbio l'album più costruito della discografia, fino a questo punto, e nemmeno i soliti brani sporchi o bizzarri ("Waving my Dick in the Wind", l'opener vaudevilliano "I'm Dancing in the Show Tonight" o l'affascinante canto di mare volgare "The Blarney Stone") riescono a intaccare l'atmosfera lirica e malinconica che permea il disco, grazie alle romantiche "The Mollusk", "It's Gonna Be (Alright)", "She Wanted to Leave" e "Mutilated Lips", all'intensa e inquieta "Buckingham Green" (probabilmente il capolavoro del disco), al ritmo minaccioso e inquietante di "The Golden Eel", alla sofferta e sincera reinterpretazione del canto folk popolare "The Unquiet Grave" (qua intitolato "Cold Blows The Wind"), ma anche all'orecchiabile e divertente "Ocean Man". Le sperimentazioni vengono quasi del tutto abbandonate (solo la produzione di "Ocean Man", rallentata di due toni per rendere il suono più "grasso" e bizzarro, un po' di pitch control in alcune parti vocali di "I'm Dancing in the Show Tonight" e "Mutilated Lips" e la strumentale "Pink Eye (On My Leg)"), e ci si concentra molto di più sulla costruzione dei brani, sulla produzione (la migliore in un album dei Ween fin'ora) e sulle melodie. Il risultato è senza dubbio un successo, e "The Mollusk" è uno degli album migliori del gruppo. Insieme a "Chocolate and Cheese" questo album potrebbe consistere in un'ottima introduzione per scoprire la musica dei Ween (in comune con quell'album ha anche il fatto di contenere molti classici che verranno riproposti nelle scalette dal vivo). È davvero questo lo stesso gruppo che ha prodotto classici del low-fidelty come "The Pod" e "Pure Guava"?
In questo periodo, i Ween formano il loro label (Chocodog), con l'intenzione di pubblicare qualche release speciale a prezzo abbordabile. A questo proposito viene preparato "Paintin' the Town Brown", un doppio live album che contiene performance che vanno dal 1990 al 1998, contenendo anche un paio di inediti e un paio di brani con gli Shit Creek Boys. Tuttavia, la casa discografica Elektra, non dà i permessi per pubblicare tale operazione sotto un altro label, e la fa uscire lei stessa nel Giugno del 1998, a prezzo normale. La reazione del gruppo a questo fatto sarà molto sobria...
CRATERS OF THE SAC
(distribuzione gratuita, 1999)
"Sul vostro desktop, in questo momento, possedete il peggior disco dei Ween di tutti i tempi. Si chiama "Craters of The Sac" ed è stato registrato tra il 1996 e il 1999. Trasferitelo su cassetta e ficcatevelo direttamente su per il culo". Con queste parole i Ween offrono gratuitamente in rete un album di 9 inediti, per ripicca contro le azioni scorrette della casa discografica Elektra. Che sia effettivamente il peggior disco dei Ween è discutibile: quello che è certo è che sicuramente molti di questi brani non sono finiti (e infatti, la cosa ci verrà confermata sei anni più tardi). Basti ascoltare i primi due brani di apertura ("All That's Gold Will Turn to Black" e "The Pawns of War"), melodicamente buoni, ma fin troppo brevi, poco più di un abbozzo. Per questo, come potete immaginare, l'album è molto low fidelty e suona quasi come un "Chocolate and Cheese" con le sonorità di "Pure Guava". Inoltre, probabilmente volutamente, è l'album con più profanità in assoluto: la copertina è un ingrandimento eccessivo di uno scroto (la sacca di cui si parla nel titolo), e guardando la scaletta troviamo titoli come "Put the Coke on My Dick" (notevole per essere cantata da Claude Coleman), "Big Fat Fuck" e "Suckin' Blood from the Devil's Dick". Tuttavia, l'album contiene comunque qualche perla: "Making Love in the Gravy" è un ottimo brano lounge blues e la quinta parte di "The Stallion" (ci siamo persi la quarta per strada...) è un rock solido e convincente. Inoltre, probabilmente, "Craters of the Sac" è stato il primo album di un gruppo famoso ad essere stato distribuito solo gratuitamente in rete ("Machina II" degli Smashing Pumpinks sarà rilasciato in questo modo solo l'anno successivo), e il che gli dà, se non altro, un po' di importanza storica.
Release gratuita a parte, la strada dei Ween si allontana sempre di più dal low-fidelty. Nell'album successivo, Coleman, Dreiwitz e McClelland vengono finalmente utilizzati in tutto il disco (prima, comunque, il più del lavoro in studio era eseguito dai due "fratelli"). La produzione dell'album (in preparazione da circa il 1998), è affidata a Christopher Shaw e al gruppo stesso. Il risultato uscirà nel Maggio del 2000, a nome "White Pepper", come omaggio ai Beatles ("White Album" e "Sgt. Pepper"), la cui influenza su questo album è sicuramente molto più alta del solito.
WHITE PEPPER
(Elektra, 2000)
Al momento della sua uscita, "White Pepper" fu causa di qualche sconcerto da parte dei fan. I testi erano più profondi, più complessi e meno volgari, la musica sempre più malinconica e il sound lontano mille miglia dal low-fidelty di "The Pod" e "Pure Guava". In effetti, in "Exactly Where I'm At", "Stay Forever","Flutes of the Chi", "Back to Basom", "She's Your Baby" e nella strumentale "Ice Castles" non c'è quasi nessun tipo di umorismo, solo un'atmosfera triste e sofferta, supportata da convincenti prove vocali e strumentali. Le melodie, comunque, sono solidissime, e questo è soltanto un'altra delle mille facce che il gruppo assume nei suoi album. Inoltre, sebbene si tratti di un album dall'atmosfera generalmente depressa, è pur sempre un disco dei Ween, e contiene alcuni tratti chiari della loro personalità Parliamoci chiaro: quale altro disco al mondo contiene un omaggio ai Motörhead ("Stroker Ace") e qualche traccia più tardi uno agli Steely Dan ("Pandy Fackler")? Vengono omaggiati, separatamente, anche John Lennon ("Falling Out", il cui testo riporta alla mente quelli Lennoniani più cinici e crudeli) e Paul McCartney ("Even if You Don't", con un videoclip diretto da Matt Stone e Trey Parker, i creatori di South Park). Completano l'album la dura "The Grobe" e la danzante "Bananas and Blow". Nonostante lo stupore dei fan all'uscita del disco, "White Pepper" è stato in seguito riconosciuto per l'ottimo album che è. In effetti, il fatto che sia un disco largamente melodico e triste, non può essere considerato un difetto a priori, soprattutto alla luce del fatto che le melodie sono eccellenti.
Nel 2001 cominciano le lavorazioni per il disco successivo, senza perdere troppo tempo, e comincia il distacco dalla casa discografica Elektra. Cominciano ad uscire le prime pubblicazioni per la già citata Chocodog, e si tratta dei due live "Live in Toronto Canada", registrato nel 1996 con gli Shit Creek Boys, e il triplo "Live at Stubb's", registrato nel 2000, e contentente anche alcuni inediti. Ma quando le cose sembrano andare per il meglio, ecco che arrivano alcune batoste. Il 7 Agosto del 2002, il batterista Claude Coleman rimane vittima di un incidente automobilistico quasi fatale che gli causa alcune settimane di coma, fratture all'addome, e ancora peggio, danni cerebrali. "Un camion ha sbattuto contro la mia macchina e mi ha catapultato attraverso la linea separatrice nella corsia successiva, dove sono stato schiacciato da due o tre macchine diverse" raccontò Coleman, due anni più tardi al giornalista David Weintraub del sito Jambase, "la macchina era un disastro di metallo e hanno dovuto tagliare la parte superiore per tirarmi fuori. È stato un calvario piuttosto violento e disgustoso. Per fortuna, non ho assolutamente memoria di tutto questo, e l'ultima cosa che mi ricordo è di aver mangiato una fetta di pizza tre ore prima di questo. Penso che sia una prova che c'è una sorta di Dio". "Ogni giorno era una tappa. Ero così messo male che non ero nemmeno depresso. Avevo troppo dolore e trauma per capire in qualsiasi modo cosa mi stesse succedendo" prosegue Coleman in un'altra intervista per il sito Stopsmilingonline "dal danno che ho avuto al cervello, ho continuamente freddo e insensibilità nella parte sinistra del mio corpo. Questo ha effetto sulla mia circolazione: quando c'è freddo, la parte sinistra è più fredda di qualche grado, quindi diventa gelata all'interno e fa molto male. Quando c'è caldo sudo e ansimo". Coleman, comunque, per fortuna, riesce a rassicurare tutti: "quando finalmente sono entrato in stato cosciente, la mia personalità generale è tornata a galla. Normalmente sono un tipo a cui piace intrattenere, e mi ricordo di essere stato molto gioviale con le persone che venivano a visitarmi. La mia camera era ricoperta di carte e palloncini da parte della mia famiglia, dei miei amici e dei miei fan. Ricordo di aver cercato di convincere lo staff ospedaliero che ero il cugino di Jay-Z, ma non mi hanno creduto. Tutto il gruppo mi è stato così vicino in quel periodo, e i fan sono stati incredibili". Infatti, il 7 e l'8 Ottobre 2002, i Ween fanno un concerto di beneficenza per Coleman, con Josh Freese alla batteria, per aiutarlo a rimettersi in sesto. Coleman presenzia, ma chiaramente non può suonare, anche se a fine anno si riprenderà alla grande e tornerà al suo posto dietro le pelli. Logicamente, comunque, non può partecipare alle registrazioni, e i Ween utilizzeranno il già citato Freese e altri turnisti. Oltre a tutto questo, Freeman sta affrontando il divorzio dalla sua moglie Sarah, da cui ha avuto una figlia, e entra in uno stato di depressione che lo porta a scrivere canzoni molto ponderate, e che, purtroppo, avrà altre conseguenze negli anni successivi. Il risultato uscirà nell'Agosto 2003, si intitolerà "Quebec", prodotto dal ritrovato Andrew Weiss (che suonerà anche sull'album), e sarà l'album più maturo dei Ween, cosa abbastanza ironica, visto che nel 2001 avevano dichiarato di voler registrare il disco più "marrone" dell'intera discografia.
QUEBEC
(Sanctuary, 2003)
Come già annunciato, il piano originale era di registrare un album "marrone" (ovvero, spaccone e immaturo) e di intitolarlo "Caesar", ma le cose non sono andate effettivamente così. La cosa divertente è che, parte dei demo registrati durante queste session (29 brani in tutto, con ben 13 inediti), sono stati rilasciati in rete da Melchiondo nel 2011, e dimostrano che, effettivamente, sono stati registrati molti brani demenziali, ma semplicemente non sono stati selezionati per l'album (a parte "The Fucked Jam" e "So Many People in the Neighborhood", che effettivamente, con dei suoni meno ricercati, non avrebbero sfigurato su "The Pod"). Comunque sia, "Quebec" risulta un disco meno triste di "White Pepper": le canzoni di Freeman, a parte la disperata "I Don't Want It", nuotano di più in un'aria di spiritualità ("Among His Tribe", "Tried and True") o di rassegnazione ("Zoloft", "If You Could Save Yourself (You'd Save Us All)", un brano che ha il pregio di riuscire ad essere maturo e serio pur contenendo l'immortale frase "I came in your mouth"). Tuttavia, nel brano "Chocolate Town", i Ween sembrano quasi fare il verso ai brani citati, alternando una melodia discretamente malinconica ad un testo chiaramente ironico, forse per non prendersi troppo sul serio. Questo brano, oltre alla già citata "So Many People in the Neighborhood", alla psichedelica "Happy Colored Marbles", all'orecchiabile e divertente "Ooh Vah Lah" (disponibile solo nell'edizione Giapponese e in quella i-tunes), all'opener "It's Gonna Be A Long Night" (secondo omaggio ai Motörhead, cantato da Melchiondo) e alla vaudevilliana "Hey There Fancypants" contribuiscono a alleggerire i toni del disco e a ricordarci che siamo pur sempre nel regno del Boognish. Sì, perché il resto del disco, sebbene non abbia altri brani che traggono la loro ispirazione dal divorzio di Freeman, comunque non sono per niente allegri e rassicuranti: "Alcan Road" e "Captain" sono, probabilmente, le cose più genuinamente inquietanti dell'intera discografia, "Transdermal Celebration" (con uno splendido videoclip) è un rock di cui i Foo Fighters sarebbero andati fieri, ed è un racconto di fantascienza per niente ironico in cui le persone vengono rapidamente trasformati in alberi, e, infine, la splendida "The Argus" è un sincero omaggio al rock epico pseudo medioevale dei primi anni 70. Questo album colpisce per la sua chiarezza e la sua versatilità: contiene l'eclettismo di "Chocolate and Cheese", l'anima di "The Mollusk" e la produzione di "White Pepper", riuscendo a superarli tutti e risultando, molto probabilmente, il disco migliore di tutta la discografia.
Con un ritrovato e di nuovo in forma Claude Coleman alla batteria, i Ween riprendono la loro attività dal vivo, e escono due nuovi live album, forse i più notevoli. Nel Novembre del 2003, edito dalla Chocodog, esce "All Requests Live": un live in studio la cui scaletta è stata interamente selezionata dai fan. Curiosa la selezione dei brani: uno a testa da "The Mollusk" e "White Pepper", due da "Pure Guava" e "Quebec", ben sei brani da "The Pod" (praticamente tutti superiori alla loro versione in studio, in particolar modo "Demon Sweat"), più alcune rarità e inediti. L'album è interessante anche perché contiene tutte e 5 le parti di "The Stallion" eseguite di fila (compresa la parte 4, precedentemente inedita) e "Where'd The Cheese Go?", un simpatico e rifiutato jingle pubblicitario per la catena Pizza Hut. Nel Maggio del 2004 esce, invece, "Live in Chicago", registrato durante il tour di Quebec e completo di DVD, essenziale per tutti i fan dei Ween, in quanto contiene una scaletta fenomenale e una performance molto più che eccellente (soprattutto i brani da "The Pod" e "Pure Guava" ci guadagnano in questa veste). Purtroppo, il destino è sempre in agguato, e nell'Ottobre 2004, con queste parole, il manager Greg Frey, annuncia sul sito ufficiale del gruppo la cancellazione del tour Americano dei Ween di fine anno: "C'è un problema all'interno del gruppo che richiede intervento immediato per la salute, il portafoglio e la sicurezza personale di uno dei suoi membri. Per questo componente del gruppo, anni di tour hanno preso il sopravvento. Questo è ovviamente molto triste, ma se non facciamo qualcosa adesso, le coseguenze potrebbero risultare ancora più gravi della cancellazione di queste date. Sappiamo che sarà duro per tutti accettarlo, ed è stata una decisione molto difficle per il gruppo, ma è necessario e importante. Per favore, scusateci, ma sappiate che questo non è stato fatto senza pensarci sopra: è una necessità ASSOLUTA". Tale membro del gruppo risulterà essere Aaron Freeman, che, probabilmente alla luce del recente divorzio, comincia ad abusare di sostanze lisergiche, ma soprattutto di alcool ed è costretto ad andare in terapia. Sebbene l'anno successivo i Ween si ripresentino sul palco senza troppi problemi, Freeman non riuscirà mai a staccarsi completamente dal suo vizio, e negli anni successivi, nonostante il suo comportamento e le sue performance sul palco siano impeccabili, il suo aspetto fisico lascia presagire che qualcosa non va: la sua corporatura comincia a fluttuare terribilmente (passa da grasso a scheletrico e da scheletrico a grasso nel giro di pochissimo tempo) e presto i suoi capelli diventano totalmente bianchi (nel momento in cui sto scrivendo questo articolo, nel 2012, Aaron Freeman ha solo 42 anni). Comunque sia, nel Luglio del 2005, esce "Shinola, Vol. 1", il decimo album in studio dei Ween, consistente in brani scartati o mai completati registrati nel corso della loro carriera e rifiniti solo quell'anno, ancora una volta sotto la produzione di Andrew Weiss.
SHINOLA, VOL. 1
(Chocodog, 2005)
La potenza dei Ween sta anche nel fatto di riuscire a produrre un album incredibilmente eccellente anche solo prendendo gli scarti o dei brani non rifiniti e completandoli e rifinendoli in epoca successiva. "Le canzoni su quel disco sono quelle che ci siamo pentiti di non avere pubblicato prima, non abbiamo dovuto cercarle in mezzo ai nastri per trovarle. Ci sono un sacco di cose che abbiamo lasciato fuori dai nostri album che sono meglio di quelle che abbiamo pubblicato" spiega Mickey Melchiondo in un'intervista per il sito Avclub. In effetti, è buffo che brani come la Floydiana "Did You See Me?", la funkeggiante "Monique The Freak" e l'ottimo rocker "Gabrielle", presto diventate patrimonio dei fan, non siano mai state incluse in un album in studio regolare. Probabilmente questo spiega anche il titolo, che deriva dal modo di dire Americano "You don't know shit from shinola", che in Italia si potrebbe adattare in "non sei capace di distinguere la merda dal risotto". Vengono recuperati e rifiniti anche tre brani da "Craters of The Sac": due vengono accorciati (la appena menzionata "Monique The Freak", un brano già eccellente nella sua prima versione, ma ulteriormente migliorato, e la stramba "Big Fat Fuck" che, accorciata di 4 minuti, acquista sicuramente fascino maggiore) e uno viene allungato ("How High Do You Fly?", bizzarra ballata dove Melchiondo offre un saggio della sua bravura, resa meno lamentosa in questa nuova veste). Altri brani di ottima fattura sono "Someday", una ballata sentimentale che potrebbe apparire quasi seria, se non fosse per i cori sguaiati e per l'epico verso "Sunday, Monday, Tuesday is pizza day", le rilassate "Transitions" e "I Fell in Love Today", la gay disco di "Boys Club" e l'ipnotica, velata critica religiosa di "Israel" (Freeman è di origini ebraiche), mentre brani come "Tastes Good on the Bun" e "Big Fat Fuck" ci riportano ai tempi di "The Pod". È necessario sottolineare ancora una volta, come questo album dei Ween, nonostante sia costituito da "scarti" (se vogliamo chiamarli così), non suona assolutamente inferiore agli altri nella discografia, e, come già detto da Melchiondo, alcuni dei brani inseriti in questo album sono superiori a quelli già pubblicati. Al giorno d'oggi, non è ancora uscito un volume 2. Nella stessa intervista già citata, Melchiondo afferma: "ho avuto emozioni contrastanti nel fare questo album. Non mi piace l'idea di fare qalcosa che suoni retroattivo o retrospettivo finché sto facendo comunque nuovi album. L'abbiamo chiamato Volume 1, ma non so se ho voglia di rifare la stessa cosa tanto presto", mentre nel 2012, intervistato dal sito Denver Westword, Freeman afferma che gli piacerebbe fare un secondo volume.
Nei due anni successivi, l'intensissima e acclamatissima attività dal vivo continua, e nell'Ottobre del 2007, esce "La Cucaracha", sempre sotto la produzione di Andrew Weiss. L'atmosfera, durante le registrazioni dell'album, a detta di Freeman e Melchiondo, è esattamente l'opposto di quella avvenuta per "Quebec" e l'album è generalmente a tema festivo. Purtroppo, come si sa, spesso i capolavori nascono dai momenti difficili di un artista e non da quelli facili...
LA CUCARACHA
(Rounder Records, 2007)
Per prima cosa, nonostante possa avervi fatto pensare questo con il mio commento precedente, questo disco non è brutto, ma è sicuramente un passo indietro rispetto agli album precedenti. Eppure, i motivi di orgoglio verso i Ween ci sono ancora: ottima produzione, varietà nell'album, eccellenti prove strumentali, persino un brano con special guest il famoso sassofonista David Sanborn. E non si può certo dire che manchino brani notevoli, primo tra tutti la lunga cavalcata di "Woman and Man", uno dei migliori pezzi del gruppo, grazie all'assolo in climax di Mickey Melchiondo e al riff epocale, ma anche "Your Party", nel quale il sassofono di Sanborn e la voce effettata di Freeman creano un'atmosfera sensuale e rilassata, le ottime "Blue Baloon", "Object" e "With my Own Bare Hands", brano violento liricamente, scritto da Melchiondo per la moglie. Eppure, nonostante tutto, manca qualcosa da questo album, che scorre tranquillo e piacevole, ma che non dà le dosi di adrenalina di quest'ultima fase dei Ween. Probabilmente, ascoltando il disco a digiuno dal resto della discografia appare come un album eccellente e variegato (cosa che effettivamente è), ma da un gruppo così intelligente ci si aspetta di più.
Da questo momento in poi, purtroppo, dopo un acclamato tour, non ci sono più buone notizie per quanto riguarda l'attività dei Ween.
Freeman, che sembrava essere tornato alla normalità, ricomincia ad avere comportamenti strani fino a quando, il 24 Gennaio del 2011, all'Elizabeth Theater di Vancouver, si presenta sul palco completamente ubriaco e incapace di suonare o di cantare, in una delle performance più tristi del gruppo (sul finale, i suoi compagni di gruppo, abbandoneranno il palco e lo lasceranno da solo a umiliarsi con una chitarra scordata). "Aaron è il mio migliore amico e mio fratello. È anche un alcolizzato, e questo fa soffrire molta gente. Non so cos'altro dire, se non che io ho avuto una serata peggiore della vostra" affermò Melchiondo, in risposta ad una e-mail di chi gli chiedeva cosa fosse successo quella sera sul palco. La sera successiva, a Seattle, il gruppo sembra tornato in grande forma e il resto del tour scorre tranquillo senza troppi problemi, fino alla data finale al Fillmore Auditorium a Denver, il 31 Dicembre 2011. Per i primi mesi del 2012, tutto sembra tornato alla tranquillità: Freeman è finalmente diventato sobrio e fa pure uscire il suo primo album solista (a nome Aaron Freeman e non Gene Ween), intitolato "Marvelous Clouds", tributo alla musica del cantautore Rod McKuen.
Mickey Melchiondo, invece, nel 2009 ottiene la licenza di capitano e finalmente realizza il suo sogno di navigare in oceano. Inizia infatti il suo secondo lavoro, offrendo giri in barca e, soprattutto, lunghe sedute di pesca nel New Jersey, puramente professionali (nel suo sito internet non cita nemmeno una volta i Ween o il fatto di essere Dean Ween), e la cosa lo assorbe a tal punto da tenerlo un po' più distaccato dalla musica (ma non impedendogli di andare in tour e di continuare a suonare).
Poi, il 29 Maggio 2012, in un'intervista alla rivista Rolling Stone, arriva la notizia shock da parte di Aaron Freeman: "metto in pensione Gene Ween, è ora di andare avanti. Sì, questo significa la fine dei Ween, per me è una porta chiusa. Nella vita, nell'universo ci sono porte che devi aprire e porte che devi chiudere". La notizia, già raggelante di suo, viene aumentata ancora di più dal fatto che Mickey Melchiondo, nella pagina Facebook dei Ween avrebbe commentato dicendo: "questa è una notizia nuova per me, è tutto ciò che ho da dire per ora". Nei mesi successivi, Freeman, tramite il suo sito Facebook, ha cercato di smorzare un po' i toni, dicendo che i suoi rapporti con il resto del gruppo non sono cambiati, e che lo scioglimento dei Ween non è da pensare come qualcosa di negativo. Tuttavia, un tweet, ora rimosso, del batterista Claude Coleman, esprimeva abbastanza sconcerto per la decisione repentina di Freeman di ritirarsi dai Ween a mezzo stampa. Le acque sono ancora piuttosto agitate, ma è chiaro che Freeman si trova in un periodo confuso e difficile della sua vita, ed è particolarmente complicato capire se i Ween si sono davvero sciolti o se è soltanto un'altra fase della carriera. Quello che è certo, è che sicuramente, visti gli eccessi degli ultimi anni, è molto meglio che il gruppo finisca, piuttosto che continui ad andare in tour e si debba fermare definitivamente a causa di un overdose da parte di Freeman.
Per chiudere questa lunga panoramica sul mondo del boognish, devo esprimere un certo rammarico sul fatto che un gruppo come questo non sia conosciuto di più, soprattutto in Italia. Ma, per usare le parole del critico George Starostin (un sostenitore del gruppo): "A volte mi chiedo sempre lo stesso sciocco pensiero: "perché questi tizi non sono popolari come i Beatles?'. Poi ovviamente, mi do sempre la solita sciocca risposta: 'perché i Beatles, quando si sono presentati al mondo l'hanno fatto dicendo 'Well she was just seventeen - you know what I mean', ma quando l'hanno fatto i Ween, tutto quello che questi stupidoni sono riusciti a dire è stato 'You fucked up! You bitch - you really fucked up!'. Di quali altri motivi avete bisogno?"
(Twin/Tone Records, 1990)
Il primo album completo dei Ween è già un pugno nello stomaco. Si tratta di un viaggio di 26 brani, tra alcuni registrati professionalmente in studio e altri registrati artigianalmente su un registratore a cassette 4-tracce. Nonostante l'artwork e i titoli di alcuni dei brani ("You Fucked Up", "Common Bitch", "Fat Lenny", "Let Me Lick Your Pussy") è chiaro che i Ween prendono più seriamente il loro lavoro di quanto sembri. La cosa che senza dubbio colpisce l'orecchio è l'eclettismo e la varietà presenti nel disco: sebbene possa essere catalogato principalmente come un disco rock, troviamo anche brani gospel ("Up on the Hill"), brani fintamente spagnoleggianti ("El Camino"), hard rock allo stato puro ("Tick", "Wayne's Pet Youngin", "Common Bitch"), lunghe divagazioni psichedeliche ("Nicole"), strampalate canzoni d'amore ("Don't Laugh (I Love You)", che contiene il verso "a Ernest Hemingway sarebbe importato di me, ma Ernest Hemingway adesso è morto" e un finale assolutamente terrorizzante), una bizzarra parodia disco/funk di fine anni 70 ("I'm in The Mood to Move") e persino un vero e proprio omaggio a Prince ("Let Me Lick Your Pussy"). Un'altra cosa notevole, a ulteriore dimostrazione di quanto i Ween abbiano messo molta cura nel produrre questo album, è la presenza di melodie memorabili: i brani sono tutti costruiti in maniera perfettamente funzionale e accattivante e riescono a terminare un po' prima di diventare prolissi e un po' dopo aver superato la barriera del troppo breve (a parte,"Nicole", volutamente tenuta eccessivamente lunga con l'aggiunta di sovraincisioni che mettono a dura prova la pazienza dell'ascoltatore). In questo album è presente anche la componente triste dei Ween (a sottolineare che, nonostante lo humour assurdo, non sono una comedy band) assente nelle prime cassette e che piano piano comincerà a prevalere sempre di più nelle produzioni del gruppo. In questo caso si parla del brano "Birthday Boy", una minimalista (e autobiografica) ballata dedicata a una separazione di coppia avvenuta male, dove non si nota un minimo cenno di umorismo e dove la voce di Freeman suona genuinamente disperata e spaventata. In definitiva si tratta di un ottimo lavoro, soprattutto alla luce del fatto che i "fratelli" Weener erano appena ventenni durante le registrazioni dell'album. Il disco è stato ripubblicato nel 2001 in una divertente "25th anniversary edition" ampliato di 3 brani, per un totale di 29 tracce.
Nel 1990, cambiano alcune cose per il duo: cambia il contratto di casa discografica (Shimmy Disc) e i due si trasferiscono in un appartamento dove cominciano a lavorare al loro secondo album, sempre prodotto da Weiss e con un minimo di aiuto da parte dell'amico Chris Williams, saltuariamente bassista del gruppo, soprannominato Mean Ween. Il risultato uscirà nel Settembre del 1991 e si intitolerà "The Pod".
THE POD
(Shimmy Disc, 1991)
Registrato interamente su un registratore 4-tracce, "The Pod" prende il nome dall'appartamento in cui il duo ha vissuto tra il 1990 e l'Ottobre del 1991, prima di essere sfrattato. A causa della qualità lo-fi del disco, dell'utilizzo del duo di droghe lisergiche e di alcuni problemi avvenuti durante le registrazioni (sia Freeman che Melchiondo soffrirono separatamente di casi di mononucleosi), "The Pod" risulta l'album più cupo e difficile dell'intera discografia. Il problema principale non sta nella registrazione low fidelty che, anzi, contribuisce a dare toni oscuri tutto sommato apprezzabili, nel fatto che la voce sia spesso e volentieri manipolata con il pitch control in modo da renderla troppo alta o troppo bassa, o nella eccessiva durata del disco (76 minuti), che sembra voler volontariamente testare la pazienza dell'ascoltatore (soprattutto nella parte centrale dell'album, dove brani sempre più inquietanti e disturbati si susseguono di continuo senza avere la minima intenzione di terminare questo flusso), quanto nel fatto che, nonostante le premesse, i brani di "The Pod" convincano presi singolarmente e non a livello organico. In particolare, la sezione appena citata dell'album (che comincia con la seconda parte di "Demon Sweat", la traccia numero 9, e termina con "She Fucks Me", la numero 21), è genuinamente inquietante, ma dopo un po' rischia di annoiare, probabilmente dovuto al fatto che mano a meno che si prosegue, i brani tendono a diventare quasi tutti uguali. Ad ogni modo, l'album contiene comunque qualche gemma, prima su tutte l'hard rock di "Captain Fantasy", la cui interpretazione vocale riporta un po' alla mente quella di Geddy Lee dei Rush. Degne di nota sono anche "Dr. Rock", che dal vivo diventerà un cavallo di battaglia, la Beatlesiana "Pork Roll, Egg and Cheese", "Mononucleosis" che riesce musicalmente a descrivere perfettamente lo stato d'animo febbrile della malattia, la fintamente epica "Right to the Ways and the Rules of the World" e "Demon Sweat", un brano che inizia delicato e malinconico e impazzisce nella seconda parte strumentale, resa atonale dai cambiamenti di velocità dello scorrimento su nastro. In questo album comincia anche la saga del personaggio "The Stallion", che entrerà a fare parte della mitologia dei Ween. In questo album troviamo le prime due parti della saga (in totale saranno 5), e sono indubbiamente tra le cose migliori del disco. In definitiva parliamo di un buon album, interessante dal punto di vista dell'atmosfera, buono (a volte eccellente) dal punto di vista melodico, ma che finisce per essere vittima di sé stesso nell'organico. Qualche curiosità sull'album: oltre ad avere un brano intitolato, il pork roll egg and cheese, un panino con formaggio, pancetta e uova fritte su un kaiser bun, viene nominato ossessivamente durante quattro brani ("Frank", "Awesome Sound", "She Fucks Me" e ovviamente "Pork Roll, Egg and Cheese"), probabilmente una battuta rincorrente che a noi ascoltatori non è dato di capire, la copertina del disco è un fotomontaggio della testa di Mean Ween sulla faccia di Leonard Cohen dalla copertina di "The Best of Leonard Cohen" e sul retro del disco, c'è scritto che i fratelli Ween hanno registrato il disco mentre inalavano della colla (più avanti sia Freeman che Melchiondo hanno affermato che si trattava solo di una battuta).
Nel 1991, finalmente, i Ween riescono ad ottenere un contratto stabile con una casa discografica, l'Elektra e cominciano ad avere un po' di più di visibilità. Alcuni fan cominciano a preoccuparsi per questo, temendo che il gruppo possa cominciare a svendersi. Tali fan, però, tireranno ben presto un sospiro di sollievo...
PURE GUAVA
(Elektra, 1992)
Forse per testare la casa discografica, forse per fretta di pubblicare un nuovo album, i Ween usano ancora una volta il sistema artigianale 4-tracce per registrare questo disco, "Pure Guava". Sebbene sia un disco difficile da digerire a primo impatto, risulta comunque un album molto differente da "The Pod" per diversi motivi: nonostante siano entrambi due album allucinati, il primo è cupo e tormentato, ma "Pure Guava" è senza dubbio più allegro e solare (si mettano a confronto le prime due parti di "The Stallion" su "The Pod" con la terza su "Pure Guava"). Inoltre, i Ween cominciano di nuovo a sperimentare tra i vari generi e il che rende il disco meno monotono del precedente e quindi meno piacevole ad un primo impatto, ma senza dubbio più notevole a lungo termine. Questo disco contiene il singolo più conosciuto dei Ween, "Push Th' Little Daisies", una bizzarra parodia alle boy band dell'epoca, con la voce di Freeman velocizzata e sguaiata. Non è ben chiaro il perché della popolarità di tale singolo, forse per il passaggio del videoclip sulla trasmissione Beavis & Butthead (per usare le parole di Butthead: "these guys have no future"). Le stranezze non si fermano qua: brani come "Little Birdy", "Flies on My Dick", "Touch my Tooter", "I Play it Off Legit" e "Poopship Destroyer" non possono essere definiti in alcun modo. Si tratta di frammenti curiosi, con un senso, ma apparentemente random e confusi. Per non parlare di "Mouring Glory", l'interrogativo più grande che sia mai apparso in un album dei Ween: 5 minuti di base saturata a tal punto da essere completamente incomprensibile sulla quale viene narrato un racconto di un'invasione aliena di zucche (?), o di "Reggaejunkiejew" (il brano non è antisemita: è riferito ad una persona in particolare, e come se non bastasse Freeman è di origini ebraiche), un brano che dal vivo è un tirato funky sul quale Melchiondo si può sfogare, e che in studio sembra musica uscita da una segreteria telefonica (a proposito: verso il finale c'è un atonale assolo di... fax!). L'album non è del tutto ostico, comunque: "Don't Get Too Close To My Fantasy" (con uno splendido finale a capella) è uno dei brani più melodici dell'intera discografia, "Springtheme" è spensierata e allegra, "Hey Fat Boy (Asshole)" e "Big Jilm" sono piuttosto accativanti, nonostante la produzione volutamente repellente, e con "Sarah" (dedicata alla stessa ragazza a cui è stata dedicata "Birthday Boy") torna il lato malinconico dei Ween. In definitiva, "Pure Guava" è senza dubbio un disco molto difficile. Lo stesso Melchiondo, in un'intervista rilasciata al sito Nashville Scene, ebbe a dire: "È buffo: ogni tanto conosco qualche persona nuova, e quando scoprono che suono in un gruppo, vanno sempre a comprarsi "The Pod" o "Pure Guava" e ne sono completamente terrorizzati. Non riesco a immaginare che immagine si facciano di me nella loro mente. Qualcosa del tipo "Oddio, questo tizio va in giro per gli stati e fa questa roba? Chi cazzo ascolterebbe una cosa del genere?". Arrivano sempre e mi dicono "Ho ascoltato della tua musica". Io domando loro cos'hanno ascoltato e loro rispondono "Pure Guava". A quel punto gli dico di andare ad ascoltarsi qualcos'altro perché quella roba è troppo rumorosa. Non fraintendetemi: adoro quegli album, non li sto rinnegando. Sto solo cercando di entrare nell'ottica di un ascoltatore tradizionale!". Comunque sia, "Pure Guava" è un album che dopo ripetuti ascolti (perdonatemi l'orrendo gioco di parole) dà i suoi frutti. Entrare nell'ottica del disco è particolarmente difficile, ma una volta capito il meccanismo, ci si trova di fronte ad un lavoro eseguito perfettamente e con senso, e il fatto che quest'ultimo sia apparentemente assente, lo rende un album ancora più affascinante.
Probabilmente a causa del successo (casuale) ottenuto dal singolo "Push Th' Little Daisies", i Ween cominciano a rendersi conto sul serio del loro potenziale e decidono di raffinare un po' di più la loro musica, senza cercare di perdere il loro spirito. I divertissment stonati e strani spariscono quasi completamente, così come viene abbandonato il 4-tracce e ci si concentra molto di più sulla produzione della musica. Il risultato si intitolerà "Chocolate and Cheese", uscirà nel Settembre del 1994 e sarà prodotto ancora una volta da Andrew Weiss.
CHOCOLATE AND CHEESE
(Elektra, 1994)
Il cambio di direzione per il quarto album è notevole ed è impressionante la facilità con cui si è arrivati a questo. La cosa, però, è stata fatta non senza alcune perplessità: nella stessa intervista citata sopra, parlando di questo album, Melchiondo afferma che "quando è uscito ero veramente spaventato, perché era un album più prodotto rispetto a quelli su 4-tracce. All'epoca pensavo che fosse il peggior disco del mondo e che stessimo per perdere tutti i fan. Pensavo che tutti i fan avrebbero odiato questo disco perché era più raffinato rispetto agli altri". Per fortuna, i suoi timori si sono dimostrati insensati, perché "Chocolate and Cheese" è tutt'ora giudicato da molti fan e da molti critici come il miglior lavoro dei Ween, e praticamente ogni canzone dell'album è diventata un classico nelle scalette del gruppo. È, inoltre, senza dubbio il lavoro più eclettico dell'intera discografia: i 16 brani contenuti nell'album sono di 16 generi diversi. Inoltre, le melodie sono più ricercate, e l'album appare come un lavoro veramente maturo e eccellentemente costruito. Come già affermato prima, i classici in questo album sono molteplici: il blues di "Take Me Away", il funky di "Voodoo Lady", il soul di "Freedom of 76", la brillantemente terrorizzante "Spinal Meningitis (Got Me Down)", le allegre e spensierate "Roses are Free" (resa celebre da una cover dei Phish) e "The HIV Song" e il racconto far west di "Buenas Tardes Amigo", e persino il brano che più si avvicina ai due lavori precedenti ("Candi") è comunque più melodico. Da un lato si sviluppa il lato oscuro dei Ween, con la già citata "Spinal Meningitis (Got Me Down)", un racconto in prima persona di un bambino che sta per morire di meningite, senza un filo di humour o di eccessiva compassione verso di lui (un po' come un fatto di cronaca obbiettiva) e con "Mister, Would You Please Help My Pony?", un racconto di un trauma infantile su una base incredibilmente allegra e cretina, dall'altro continuano gli episodi di tristezza con "A Tear for Eddie", strumentale dedicato a Eddie Hazel, chitarrista dei Funkadelic, e con la Lennoniana "Baby Bitch", sempre per la "Sarah" di "Birthday Boy", che, nonostante il titolo, ha uno dei testi più profondi e rabbiosi dell'intera discografia. Altri brani degni di nota sono l'accattivante "What Deaner Was Talking About" e l'intelligentemente costruita "I Can't Put My Finger on It", che alterna a una strofa incredibilmente aggressiva, un dolce e sognante ritornello strumentale, tirando nel calderone anche alcuni elementi di musica araba nel finale. "Chocolate & Cheese" è senza dubbio uno dei lavori migliori del gruppo e si è giustamente guadagnato un posto speciale nel cuore dei fan e del gruppo, e brani come "Take Me Away", "Voodoo Lady" e "Spinal Meningitis (Got Me Down)" diventeranno stabili nelle scalette di ogni tour.
Visto il riuscito tentativo di raffinare il sound, i Ween decidono di diventare un gruppo vero e proprio, aggiungendo all'organico l'ottimo batterista Claude Coleman Jr, Glenn McClelland (già con i Blood Sweat and Tears) alle tastiere e Dave Dreiwitz al basso (anche se per un certo periodo e saltuariamente sarà Weiss il bassista). Durante i due anni successivi si intensifica il lavoro live del gruppo, adesso una band vera e propria e non più due polistrumentisti accompagnati da un registratore, e le lavorazioni all'album successivo. Per il successivo album, le lavorazioni cominciano in una casa nella costa di Holgate, nel New Jersey. L'idea è di creare un album a tema acquatico (sia Gene che Dean Ween sono sempre stati affascinati dall'oceano). Purtroppo, una sera, mentre la casa era disabitata, un tubo dell'acqua esplode, danneggiando alcuni dei nastri e dell'equipaggiamento, e costringendo il gruppo a rilavorare su alcune parti. L'album viene messo temporaneamente in pausa e, quasi per scherzo, i Ween cominciano a comporre canzoni country. Tuttavia, le canzoni composte erano melodicamente buone, così decidono di scomodare alcuni dei grandi nomi del genere (tra cui Charlie McCoy, Buddy Spicher, Bobby Ogdin e The Jordanaires) per trasformarli in un album vero e proprio.
12 GOLDEN COUNTRY GREATS
(Elektra, 1996)
La prima cosa notabile di questo album è che, nonostante il titolo, i brani sono solo 10. "Si chiama così per via del numero dei musicisti che ci suona sopra, i session-man da Nashville" spiega Aaron Freeman in un'intervista dell'epoca "non per il numero delle tracce". Questo album è interessante per il fatto che è un disco puramente e genuinamente country (anche se, comunque, "Help Me Scrape The Mucus Off My Brain", "Piss Up a Rope" e "Fluffy" avrebbero potuto essere senza problemi su qualsiasi altro album dei Ween), perché vi sono molte leggende della musica country e perché è il primo album nel quale sono sorti problemi di diverso tipo. Ben Vaughn, il produttore del disco, in un'intervista per il sito Taste of Country, racconta del fatto che, nonostante fossero dei professionisti, alcuni musicisti si sono rifiutati di suonare alcune parti per la troppa vergogna per il contenuto dei testi (un brano saliente è il racconto gay di "Mister Richard Smoker"), per il fatto che i legali di Muhammad Ali hanno vietato l'inclusione di un sample in "Powder Blue" troncandolo bruscamente (anche se alcune copie sono sopravvissute senza il taglio) e per una causa legale da parte del gruppo Vangelis, perché il brano "Japanese Cowboy" assomigliava un po' troppo alla loro "Chariots of Fire". Tuttavia, le registrazioni risultano divertenti, l'album diventa un cult nella discografia dei Ween e contiene almeno una grande perla ("You Were The Fool"). Una curiosità: Freeman e Melchiondo si limitano a cantare, suonando la chitarra solo in "I Don't Wanna Leave You on the Farm" (assolo di Melchiondo) e "Fluffy" (assolo di Freeman). Questo album dimostra ancora una volta, comunque, che nonostante la giocosità nelle loro azioni (il divertimento di fare senza preavviso un album interamente country), i Ween prendono molto sul serio le loro azioni e si impegnano a fondo perché tale album risulti il migliore possibile. Lo stesso anno, lo portano in tour con alcuni dei musicisti presenti su album, a nome The Shit Creek Boys.
Al termine del breve, ma acclamato tour country (nel quale, comunque, vengono suonati anche i classici), i Ween riprendono a lavorare all'album acquatico di cui si accennava poco fa. Il disco, intitolato "The Mollusk", uscirà nel Giugno del 1997, prodotto ancora una volta da Andrew Weiss.
THE MOLLUSK
(Elektra, 1997)
Si tratta senza dubbio dell'album più raffinato dei Ween tra quelli prodotti fino ad ora. La passione per l'oceano e l'influenza che la vicinanza a esso ha avuto su di loro è palpabile e notevole. Sia Melchiondo che Freeman hanno spesso definito questo disco come il loro preferito e l'unico di cui siano pienamente soddisfatti. È senza dubbio l'album più costruito della discografia, fino a questo punto, e nemmeno i soliti brani sporchi o bizzarri ("Waving my Dick in the Wind", l'opener vaudevilliano "I'm Dancing in the Show Tonight" o l'affascinante canto di mare volgare "The Blarney Stone") riescono a intaccare l'atmosfera lirica e malinconica che permea il disco, grazie alle romantiche "The Mollusk", "It's Gonna Be (Alright)", "She Wanted to Leave" e "Mutilated Lips", all'intensa e inquieta "Buckingham Green" (probabilmente il capolavoro del disco), al ritmo minaccioso e inquietante di "The Golden Eel", alla sofferta e sincera reinterpretazione del canto folk popolare "The Unquiet Grave" (qua intitolato "Cold Blows The Wind"), ma anche all'orecchiabile e divertente "Ocean Man". Le sperimentazioni vengono quasi del tutto abbandonate (solo la produzione di "Ocean Man", rallentata di due toni per rendere il suono più "grasso" e bizzarro, un po' di pitch control in alcune parti vocali di "I'm Dancing in the Show Tonight" e "Mutilated Lips" e la strumentale "Pink Eye (On My Leg)"), e ci si concentra molto di più sulla costruzione dei brani, sulla produzione (la migliore in un album dei Ween fin'ora) e sulle melodie. Il risultato è senza dubbio un successo, e "The Mollusk" è uno degli album migliori del gruppo. Insieme a "Chocolate and Cheese" questo album potrebbe consistere in un'ottima introduzione per scoprire la musica dei Ween (in comune con quell'album ha anche il fatto di contenere molti classici che verranno riproposti nelle scalette dal vivo). È davvero questo lo stesso gruppo che ha prodotto classici del low-fidelty come "The Pod" e "Pure Guava"?
In questo periodo, i Ween formano il loro label (Chocodog), con l'intenzione di pubblicare qualche release speciale a prezzo abbordabile. A questo proposito viene preparato "Paintin' the Town Brown", un doppio live album che contiene performance che vanno dal 1990 al 1998, contenendo anche un paio di inediti e un paio di brani con gli Shit Creek Boys. Tuttavia, la casa discografica Elektra, non dà i permessi per pubblicare tale operazione sotto un altro label, e la fa uscire lei stessa nel Giugno del 1998, a prezzo normale. La reazione del gruppo a questo fatto sarà molto sobria...
CRATERS OF THE SAC
(distribuzione gratuita, 1999)
"Sul vostro desktop, in questo momento, possedete il peggior disco dei Ween di tutti i tempi. Si chiama "Craters of The Sac" ed è stato registrato tra il 1996 e il 1999. Trasferitelo su cassetta e ficcatevelo direttamente su per il culo". Con queste parole i Ween offrono gratuitamente in rete un album di 9 inediti, per ripicca contro le azioni scorrette della casa discografica Elektra. Che sia effettivamente il peggior disco dei Ween è discutibile: quello che è certo è che sicuramente molti di questi brani non sono finiti (e infatti, la cosa ci verrà confermata sei anni più tardi). Basti ascoltare i primi due brani di apertura ("All That's Gold Will Turn to Black" e "The Pawns of War"), melodicamente buoni, ma fin troppo brevi, poco più di un abbozzo. Per questo, come potete immaginare, l'album è molto low fidelty e suona quasi come un "Chocolate and Cheese" con le sonorità di "Pure Guava". Inoltre, probabilmente volutamente, è l'album con più profanità in assoluto: la copertina è un ingrandimento eccessivo di uno scroto (la sacca di cui si parla nel titolo), e guardando la scaletta troviamo titoli come "Put the Coke on My Dick" (notevole per essere cantata da Claude Coleman), "Big Fat Fuck" e "Suckin' Blood from the Devil's Dick". Tuttavia, l'album contiene comunque qualche perla: "Making Love in the Gravy" è un ottimo brano lounge blues e la quinta parte di "The Stallion" (ci siamo persi la quarta per strada...) è un rock solido e convincente. Inoltre, probabilmente, "Craters of the Sac" è stato il primo album di un gruppo famoso ad essere stato distribuito solo gratuitamente in rete ("Machina II" degli Smashing Pumpinks sarà rilasciato in questo modo solo l'anno successivo), e il che gli dà, se non altro, un po' di importanza storica.
Release gratuita a parte, la strada dei Ween si allontana sempre di più dal low-fidelty. Nell'album successivo, Coleman, Dreiwitz e McClelland vengono finalmente utilizzati in tutto il disco (prima, comunque, il più del lavoro in studio era eseguito dai due "fratelli"). La produzione dell'album (in preparazione da circa il 1998), è affidata a Christopher Shaw e al gruppo stesso. Il risultato uscirà nel Maggio del 2000, a nome "White Pepper", come omaggio ai Beatles ("White Album" e "Sgt. Pepper"), la cui influenza su questo album è sicuramente molto più alta del solito.
WHITE PEPPER
(Elektra, 2000)
Al momento della sua uscita, "White Pepper" fu causa di qualche sconcerto da parte dei fan. I testi erano più profondi, più complessi e meno volgari, la musica sempre più malinconica e il sound lontano mille miglia dal low-fidelty di "The Pod" e "Pure Guava". In effetti, in "Exactly Where I'm At", "Stay Forever","Flutes of the Chi", "Back to Basom", "She's Your Baby" e nella strumentale "Ice Castles" non c'è quasi nessun tipo di umorismo, solo un'atmosfera triste e sofferta, supportata da convincenti prove vocali e strumentali. Le melodie, comunque, sono solidissime, e questo è soltanto un'altra delle mille facce che il gruppo assume nei suoi album. Inoltre, sebbene si tratti di un album dall'atmosfera generalmente depressa, è pur sempre un disco dei Ween, e contiene alcuni tratti chiari della loro personalità Parliamoci chiaro: quale altro disco al mondo contiene un omaggio ai Motörhead ("Stroker Ace") e qualche traccia più tardi uno agli Steely Dan ("Pandy Fackler")? Vengono omaggiati, separatamente, anche John Lennon ("Falling Out", il cui testo riporta alla mente quelli Lennoniani più cinici e crudeli) e Paul McCartney ("Even if You Don't", con un videoclip diretto da Matt Stone e Trey Parker, i creatori di South Park). Completano l'album la dura "The Grobe" e la danzante "Bananas and Blow". Nonostante lo stupore dei fan all'uscita del disco, "White Pepper" è stato in seguito riconosciuto per l'ottimo album che è. In effetti, il fatto che sia un disco largamente melodico e triste, non può essere considerato un difetto a priori, soprattutto alla luce del fatto che le melodie sono eccellenti.
Nel 2001 cominciano le lavorazioni per il disco successivo, senza perdere troppo tempo, e comincia il distacco dalla casa discografica Elektra. Cominciano ad uscire le prime pubblicazioni per la già citata Chocodog, e si tratta dei due live "Live in Toronto Canada", registrato nel 1996 con gli Shit Creek Boys, e il triplo "Live at Stubb's", registrato nel 2000, e contentente anche alcuni inediti. Ma quando le cose sembrano andare per il meglio, ecco che arrivano alcune batoste. Il 7 Agosto del 2002, il batterista Claude Coleman rimane vittima di un incidente automobilistico quasi fatale che gli causa alcune settimane di coma, fratture all'addome, e ancora peggio, danni cerebrali. "Un camion ha sbattuto contro la mia macchina e mi ha catapultato attraverso la linea separatrice nella corsia successiva, dove sono stato schiacciato da due o tre macchine diverse" raccontò Coleman, due anni più tardi al giornalista David Weintraub del sito Jambase, "la macchina era un disastro di metallo e hanno dovuto tagliare la parte superiore per tirarmi fuori. È stato un calvario piuttosto violento e disgustoso. Per fortuna, non ho assolutamente memoria di tutto questo, e l'ultima cosa che mi ricordo è di aver mangiato una fetta di pizza tre ore prima di questo. Penso che sia una prova che c'è una sorta di Dio". "Ogni giorno era una tappa. Ero così messo male che non ero nemmeno depresso. Avevo troppo dolore e trauma per capire in qualsiasi modo cosa mi stesse succedendo" prosegue Coleman in un'altra intervista per il sito Stopsmilingonline "dal danno che ho avuto al cervello, ho continuamente freddo e insensibilità nella parte sinistra del mio corpo. Questo ha effetto sulla mia circolazione: quando c'è freddo, la parte sinistra è più fredda di qualche grado, quindi diventa gelata all'interno e fa molto male. Quando c'è caldo sudo e ansimo". Coleman, comunque, per fortuna, riesce a rassicurare tutti: "quando finalmente sono entrato in stato cosciente, la mia personalità generale è tornata a galla. Normalmente sono un tipo a cui piace intrattenere, e mi ricordo di essere stato molto gioviale con le persone che venivano a visitarmi. La mia camera era ricoperta di carte e palloncini da parte della mia famiglia, dei miei amici e dei miei fan. Ricordo di aver cercato di convincere lo staff ospedaliero che ero il cugino di Jay-Z, ma non mi hanno creduto. Tutto il gruppo mi è stato così vicino in quel periodo, e i fan sono stati incredibili". Infatti, il 7 e l'8 Ottobre 2002, i Ween fanno un concerto di beneficenza per Coleman, con Josh Freese alla batteria, per aiutarlo a rimettersi in sesto. Coleman presenzia, ma chiaramente non può suonare, anche se a fine anno si riprenderà alla grande e tornerà al suo posto dietro le pelli. Logicamente, comunque, non può partecipare alle registrazioni, e i Ween utilizzeranno il già citato Freese e altri turnisti. Oltre a tutto questo, Freeman sta affrontando il divorzio dalla sua moglie Sarah, da cui ha avuto una figlia, e entra in uno stato di depressione che lo porta a scrivere canzoni molto ponderate, e che, purtroppo, avrà altre conseguenze negli anni successivi. Il risultato uscirà nell'Agosto 2003, si intitolerà "Quebec", prodotto dal ritrovato Andrew Weiss (che suonerà anche sull'album), e sarà l'album più maturo dei Ween, cosa abbastanza ironica, visto che nel 2001 avevano dichiarato di voler registrare il disco più "marrone" dell'intera discografia.
QUEBEC
(Sanctuary, 2003)
Come già annunciato, il piano originale era di registrare un album "marrone" (ovvero, spaccone e immaturo) e di intitolarlo "Caesar", ma le cose non sono andate effettivamente così. La cosa divertente è che, parte dei demo registrati durante queste session (29 brani in tutto, con ben 13 inediti), sono stati rilasciati in rete da Melchiondo nel 2011, e dimostrano che, effettivamente, sono stati registrati molti brani demenziali, ma semplicemente non sono stati selezionati per l'album (a parte "The Fucked Jam" e "So Many People in the Neighborhood", che effettivamente, con dei suoni meno ricercati, non avrebbero sfigurato su "The Pod"). Comunque sia, "Quebec" risulta un disco meno triste di "White Pepper": le canzoni di Freeman, a parte la disperata "I Don't Want It", nuotano di più in un'aria di spiritualità ("Among His Tribe", "Tried and True") o di rassegnazione ("Zoloft", "If You Could Save Yourself (You'd Save Us All)", un brano che ha il pregio di riuscire ad essere maturo e serio pur contenendo l'immortale frase "I came in your mouth"). Tuttavia, nel brano "Chocolate Town", i Ween sembrano quasi fare il verso ai brani citati, alternando una melodia discretamente malinconica ad un testo chiaramente ironico, forse per non prendersi troppo sul serio. Questo brano, oltre alla già citata "So Many People in the Neighborhood", alla psichedelica "Happy Colored Marbles", all'orecchiabile e divertente "Ooh Vah Lah" (disponibile solo nell'edizione Giapponese e in quella i-tunes), all'opener "It's Gonna Be A Long Night" (secondo omaggio ai Motörhead, cantato da Melchiondo) e alla vaudevilliana "Hey There Fancypants" contribuiscono a alleggerire i toni del disco e a ricordarci che siamo pur sempre nel regno del Boognish. Sì, perché il resto del disco, sebbene non abbia altri brani che traggono la loro ispirazione dal divorzio di Freeman, comunque non sono per niente allegri e rassicuranti: "Alcan Road" e "Captain" sono, probabilmente, le cose più genuinamente inquietanti dell'intera discografia, "Transdermal Celebration" (con uno splendido videoclip) è un rock di cui i Foo Fighters sarebbero andati fieri, ed è un racconto di fantascienza per niente ironico in cui le persone vengono rapidamente trasformati in alberi, e, infine, la splendida "The Argus" è un sincero omaggio al rock epico pseudo medioevale dei primi anni 70. Questo album colpisce per la sua chiarezza e la sua versatilità: contiene l'eclettismo di "Chocolate and Cheese", l'anima di "The Mollusk" e la produzione di "White Pepper", riuscendo a superarli tutti e risultando, molto probabilmente, il disco migliore di tutta la discografia.
Con un ritrovato e di nuovo in forma Claude Coleman alla batteria, i Ween riprendono la loro attività dal vivo, e escono due nuovi live album, forse i più notevoli. Nel Novembre del 2003, edito dalla Chocodog, esce "All Requests Live": un live in studio la cui scaletta è stata interamente selezionata dai fan. Curiosa la selezione dei brani: uno a testa da "The Mollusk" e "White Pepper", due da "Pure Guava" e "Quebec", ben sei brani da "The Pod" (praticamente tutti superiori alla loro versione in studio, in particolar modo "Demon Sweat"), più alcune rarità e inediti. L'album è interessante anche perché contiene tutte e 5 le parti di "The Stallion" eseguite di fila (compresa la parte 4, precedentemente inedita) e "Where'd The Cheese Go?", un simpatico e rifiutato jingle pubblicitario per la catena Pizza Hut. Nel Maggio del 2004 esce, invece, "Live in Chicago", registrato durante il tour di Quebec e completo di DVD, essenziale per tutti i fan dei Ween, in quanto contiene una scaletta fenomenale e una performance molto più che eccellente (soprattutto i brani da "The Pod" e "Pure Guava" ci guadagnano in questa veste). Purtroppo, il destino è sempre in agguato, e nell'Ottobre 2004, con queste parole, il manager Greg Frey, annuncia sul sito ufficiale del gruppo la cancellazione del tour Americano dei Ween di fine anno: "C'è un problema all'interno del gruppo che richiede intervento immediato per la salute, il portafoglio e la sicurezza personale di uno dei suoi membri. Per questo componente del gruppo, anni di tour hanno preso il sopravvento. Questo è ovviamente molto triste, ma se non facciamo qualcosa adesso, le coseguenze potrebbero risultare ancora più gravi della cancellazione di queste date. Sappiamo che sarà duro per tutti accettarlo, ed è stata una decisione molto difficle per il gruppo, ma è necessario e importante. Per favore, scusateci, ma sappiate che questo non è stato fatto senza pensarci sopra: è una necessità ASSOLUTA". Tale membro del gruppo risulterà essere Aaron Freeman, che, probabilmente alla luce del recente divorzio, comincia ad abusare di sostanze lisergiche, ma soprattutto di alcool ed è costretto ad andare in terapia. Sebbene l'anno successivo i Ween si ripresentino sul palco senza troppi problemi, Freeman non riuscirà mai a staccarsi completamente dal suo vizio, e negli anni successivi, nonostante il suo comportamento e le sue performance sul palco siano impeccabili, il suo aspetto fisico lascia presagire che qualcosa non va: la sua corporatura comincia a fluttuare terribilmente (passa da grasso a scheletrico e da scheletrico a grasso nel giro di pochissimo tempo) e presto i suoi capelli diventano totalmente bianchi (nel momento in cui sto scrivendo questo articolo, nel 2012, Aaron Freeman ha solo 42 anni). Comunque sia, nel Luglio del 2005, esce "Shinola, Vol. 1", il decimo album in studio dei Ween, consistente in brani scartati o mai completati registrati nel corso della loro carriera e rifiniti solo quell'anno, ancora una volta sotto la produzione di Andrew Weiss.
SHINOLA, VOL. 1
(Chocodog, 2005)
La potenza dei Ween sta anche nel fatto di riuscire a produrre un album incredibilmente eccellente anche solo prendendo gli scarti o dei brani non rifiniti e completandoli e rifinendoli in epoca successiva. "Le canzoni su quel disco sono quelle che ci siamo pentiti di non avere pubblicato prima, non abbiamo dovuto cercarle in mezzo ai nastri per trovarle. Ci sono un sacco di cose che abbiamo lasciato fuori dai nostri album che sono meglio di quelle che abbiamo pubblicato" spiega Mickey Melchiondo in un'intervista per il sito Avclub. In effetti, è buffo che brani come la Floydiana "Did You See Me?", la funkeggiante "Monique The Freak" e l'ottimo rocker "Gabrielle", presto diventate patrimonio dei fan, non siano mai state incluse in un album in studio regolare. Probabilmente questo spiega anche il titolo, che deriva dal modo di dire Americano "You don't know shit from shinola", che in Italia si potrebbe adattare in "non sei capace di distinguere la merda dal risotto". Vengono recuperati e rifiniti anche tre brani da "Craters of The Sac": due vengono accorciati (la appena menzionata "Monique The Freak", un brano già eccellente nella sua prima versione, ma ulteriormente migliorato, e la stramba "Big Fat Fuck" che, accorciata di 4 minuti, acquista sicuramente fascino maggiore) e uno viene allungato ("How High Do You Fly?", bizzarra ballata dove Melchiondo offre un saggio della sua bravura, resa meno lamentosa in questa nuova veste). Altri brani di ottima fattura sono "Someday", una ballata sentimentale che potrebbe apparire quasi seria, se non fosse per i cori sguaiati e per l'epico verso "Sunday, Monday, Tuesday is pizza day", le rilassate "Transitions" e "I Fell in Love Today", la gay disco di "Boys Club" e l'ipnotica, velata critica religiosa di "Israel" (Freeman è di origini ebraiche), mentre brani come "Tastes Good on the Bun" e "Big Fat Fuck" ci riportano ai tempi di "The Pod". È necessario sottolineare ancora una volta, come questo album dei Ween, nonostante sia costituito da "scarti" (se vogliamo chiamarli così), non suona assolutamente inferiore agli altri nella discografia, e, come già detto da Melchiondo, alcuni dei brani inseriti in questo album sono superiori a quelli già pubblicati. Al giorno d'oggi, non è ancora uscito un volume 2. Nella stessa intervista già citata, Melchiondo afferma: "ho avuto emozioni contrastanti nel fare questo album. Non mi piace l'idea di fare qalcosa che suoni retroattivo o retrospettivo finché sto facendo comunque nuovi album. L'abbiamo chiamato Volume 1, ma non so se ho voglia di rifare la stessa cosa tanto presto", mentre nel 2012, intervistato dal sito Denver Westword, Freeman afferma che gli piacerebbe fare un secondo volume.
Nei due anni successivi, l'intensissima e acclamatissima attività dal vivo continua, e nell'Ottobre del 2007, esce "La Cucaracha", sempre sotto la produzione di Andrew Weiss. L'atmosfera, durante le registrazioni dell'album, a detta di Freeman e Melchiondo, è esattamente l'opposto di quella avvenuta per "Quebec" e l'album è generalmente a tema festivo. Purtroppo, come si sa, spesso i capolavori nascono dai momenti difficili di un artista e non da quelli facili...
LA CUCARACHA
(Rounder Records, 2007)
Per prima cosa, nonostante possa avervi fatto pensare questo con il mio commento precedente, questo disco non è brutto, ma è sicuramente un passo indietro rispetto agli album precedenti. Eppure, i motivi di orgoglio verso i Ween ci sono ancora: ottima produzione, varietà nell'album, eccellenti prove strumentali, persino un brano con special guest il famoso sassofonista David Sanborn. E non si può certo dire che manchino brani notevoli, primo tra tutti la lunga cavalcata di "Woman and Man", uno dei migliori pezzi del gruppo, grazie all'assolo in climax di Mickey Melchiondo e al riff epocale, ma anche "Your Party", nel quale il sassofono di Sanborn e la voce effettata di Freeman creano un'atmosfera sensuale e rilassata, le ottime "Blue Baloon", "Object" e "With my Own Bare Hands", brano violento liricamente, scritto da Melchiondo per la moglie. Eppure, nonostante tutto, manca qualcosa da questo album, che scorre tranquillo e piacevole, ma che non dà le dosi di adrenalina di quest'ultima fase dei Ween. Probabilmente, ascoltando il disco a digiuno dal resto della discografia appare come un album eccellente e variegato (cosa che effettivamente è), ma da un gruppo così intelligente ci si aspetta di più.
Freeman, che sembrava essere tornato alla normalità, ricomincia ad avere comportamenti strani fino a quando, il 24 Gennaio del 2011, all'Elizabeth Theater di Vancouver, si presenta sul palco completamente ubriaco e incapace di suonare o di cantare, in una delle performance più tristi del gruppo (sul finale, i suoi compagni di gruppo, abbandoneranno il palco e lo lasceranno da solo a umiliarsi con una chitarra scordata). "Aaron è il mio migliore amico e mio fratello. È anche un alcolizzato, e questo fa soffrire molta gente. Non so cos'altro dire, se non che io ho avuto una serata peggiore della vostra" affermò Melchiondo, in risposta ad una e-mail di chi gli chiedeva cosa fosse successo quella sera sul palco. La sera successiva, a Seattle, il gruppo sembra tornato in grande forma e il resto del tour scorre tranquillo senza troppi problemi, fino alla data finale al Fillmore Auditorium a Denver, il 31 Dicembre 2011. Per i primi mesi del 2012, tutto sembra tornato alla tranquillità: Freeman è finalmente diventato sobrio e fa pure uscire il suo primo album solista (a nome Aaron Freeman e non Gene Ween), intitolato "Marvelous Clouds", tributo alla musica del cantautore Rod McKuen.
Mickey Melchiondo, invece, nel 2009 ottiene la licenza di capitano e finalmente realizza il suo sogno di navigare in oceano. Inizia infatti il suo secondo lavoro, offrendo giri in barca e, soprattutto, lunghe sedute di pesca nel New Jersey, puramente professionali (nel suo sito internet non cita nemmeno una volta i Ween o il fatto di essere Dean Ween), e la cosa lo assorbe a tal punto da tenerlo un po' più distaccato dalla musica (ma non impedendogli di andare in tour e di continuare a suonare).
Poi, il 29 Maggio 2012, in un'intervista alla rivista Rolling Stone, arriva la notizia shock da parte di Aaron Freeman: "metto in pensione Gene Ween, è ora di andare avanti. Sì, questo significa la fine dei Ween, per me è una porta chiusa. Nella vita, nell'universo ci sono porte che devi aprire e porte che devi chiudere". La notizia, già raggelante di suo, viene aumentata ancora di più dal fatto che Mickey Melchiondo, nella pagina Facebook dei Ween avrebbe commentato dicendo: "questa è una notizia nuova per me, è tutto ciò che ho da dire per ora". Nei mesi successivi, Freeman, tramite il suo sito Facebook, ha cercato di smorzare un po' i toni, dicendo che i suoi rapporti con il resto del gruppo non sono cambiati, e che lo scioglimento dei Ween non è da pensare come qualcosa di negativo. Tuttavia, un tweet, ora rimosso, del batterista Claude Coleman, esprimeva abbastanza sconcerto per la decisione repentina di Freeman di ritirarsi dai Ween a mezzo stampa. Le acque sono ancora piuttosto agitate, ma è chiaro che Freeman si trova in un periodo confuso e difficile della sua vita, ed è particolarmente complicato capire se i Ween si sono davvero sciolti o se è soltanto un'altra fase della carriera. Quello che è certo, è che sicuramente, visti gli eccessi degli ultimi anni, è molto meglio che il gruppo finisca, piuttosto che continui ad andare in tour e si debba fermare definitivamente a causa di un overdose da parte di Freeman.
Per chiudere questa lunga panoramica sul mondo del boognish, devo esprimere un certo rammarico sul fatto che un gruppo come questo non sia conosciuto di più, soprattutto in Italia. Ma, per usare le parole del critico George Starostin (un sostenitore del gruppo): "A volte mi chiedo sempre lo stesso sciocco pensiero: "perché questi tizi non sono popolari come i Beatles?'. Poi ovviamente, mi do sempre la solita sciocca risposta: 'perché i Beatles, quando si sono presentati al mondo l'hanno fatto dicendo 'Well she was just seventeen - you know what I mean', ma quando l'hanno fatto i Ween, tutto quello che questi stupidoni sono riusciti a dire è stato 'You fucked up! You bitch - you really fucked up!'. Di quali altri motivi avete bisogno?"
Trattazione dotta e affascinante. Bravo!
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