giovedì 29 ottobre 2009

Spread - Anche I Cinghiali Hanno La Testa (Autoproduzione, 2009)




Gli Spread vengono da Bergamo, città fiorente per quanto riguarda la musica alternative (non solo per i bergamaschi più famosi, cioè i Verdena). No, questo non è un indizio per capire cosa fanno. I ragazzi escono con un disco dal nome ironico, con brani dai titoli ironici, e spiattellano un rock classico che sa di stoner e di Soundgarden, e poi ancora di stoner e di Soundgarden. Per capire la ripetizione, continuate a leggere.
Ho appena nominato lo storico quartetto di Seattle e devo quindi parlare di Cova L'Arabia, dove il cantato è veramente identico a quello di Chris Cornell (tanto di cappello a Roby, singer della band), così come il riff di fondo della strofa, che tanto ricorda alcuni brani del fortunato Badmotorfinger. Nel suo essere una riedizione moderna di qualcosa di già sentito, è comunque un brano orecchiabile, tra le altre cose quello che si digerisce con più facilità tra i dieci brani che compongono questo CD. Candida e Flambé, che sono obbligato a citare insieme, perché entrambe fanno il verso ai Marlene Kuntz soprattutto per le linee vocali (e la prima anche per le strutture degli arpeggi). E' superiore per qualità la seconda, un rilassato concentrato di tanti stereotipi da ballad, con qualche “risatina” centrale aggiunta insieme a qualche gridolino, di cui chiedere il significato è forse superfluo. Nel rock ci sta tutto.
L'anima stoner che li ricollega più all'eredità dei Kyuss che ai Kyuss stessi (quindi ai Queens of the Stone Age) ci spara in faccia Faccia di Bronzo; giro di batteria quasi identico a “No One Knows” (nei crediti non figura Dave Grohl), riffone da Josh Homme. Si insomma, non parliamo di plagio, ma la mano santa dei QOTSA non manca. Le coincidenze esistono ancora. E poi i Queens of the Stone Age pensano bene di cenare assieme ai Soundgarden, di nuovo, ed ecco Together Come, in verità un potente brano che definirei più “da concerto” che altro. E poi Tum L'Aspirapolvere, sempre sullo stesso tiro, e la gutturale Spremute di Cazzo, della quale merita il testo, di memorabile e sacrilega ironia.
Per essere un insieme di elementi presi pari pari da altri dischi l'album è comunque piuttosto ascoltabile, lo si digerisce con facilità e lascia intuire all'ascoltatore che i lombardi possono avere qualche buona cartuccia per il futuro (soprattutto a livello tecnico, ottima la voce e discrete le chitarre). Ci si aspetta solo che non esca un'altra mazzata di non-originalità come questa, per non metterci una croce sopra definitivamente. Per il resto, potreste darci tutti un'ascoltata, a certi può piacere.

Voto: 5.5 

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