Il passaggio al secondo disco spaventa sempre, soprattutto se il primo è stato apprezzato da critica e pubblico. La formazione campana degli Abulico non si è però posta questo problema poiché Il Colore dei Pensieri, distante tre anni dal precedente sforzo in studio, cambia completamente pelle: oltre ad essere prodotto con un sound completamente diverso e cantato in italiano invece che in inglese, è orientato verso un pop più studiato e maturo, lontano dall'acerbità di alcuni momenti del suo precedessore.
Abbiamo nominato il termine "pop", che fa riferimento in questo caso ad una certa leggerezza nelle scelte sonore piuttosto che ad una vera e propria orecchiabilità. La propensione di tutte le nove tracce ad una costruzione progressiva dai toni scuri non è certo quella tipica delle radio e all'inizio del disco, affidato alla bella Colorare i Miei Pensieri, già si evidenziano tutte le direzioni che questo disco segue, diramandosi lungo diversi sentieri che però riconduce in maniera omogenea sotto un unico ventaglio che definiremmo, per convenienza, "alternative pop". I testi (vedi Autunno 1972, un Architetto e Il Tempo e la Scelta) sono tutti di gran livello e colgono in pieni l'alternarsi continuo di momenti più dolci ed eleganti (Inferno, che svela senza troppo celarle le due influenze principali dei napoletani: U2 e Coldplay) ad altri più sofferti ma più pesanti (Il Volo), in cui si scopre anche l'anima rock che la band ci fece conoscere in passato.
Vengono in mente, in alcuni istanti, anche altre band che ruota attorno all'universo britannico, dai Suede ai gallesi Manic Street Preachers, ma cromaticamente rimaniamo sempre vicini a Chris Martin e soci, distanziandosi in maniera netta solo in alcuni momenti più rock.
Nonostante quanto detto, gli Abulico dimostrano di avere una certa personalità. I testi, molto intimi e personali, risultano comunque ben scritti e originali, gli arrangiamenti e il songwriting hanno una marcia in più rispetto a molti importatori di Gran Bretagna di cui l'Italia ha fatto una malattia, le canzoni non annoiano e il disco, nel suo complesso, scorre senza problemi.
Il Colore dei Pensieri funziona come un anestetico alla mancanza di senso della musica italiana, porta con sé delle tinte forte e delle tinte più chiare, le mescola, riesce a comunicare. In sintesi, un piacevole viaggio tra i vari linguaggi di un pop che non è né cervellotico e strano, né semplicistico e banale. Come dovrebbe essere.
Voto: 7
domenica 30 dicembre 2012
venerdì 21 dicembre 2012
72 anni di Frank Zappa
Come di consueto, nel giorno del suo compleanno, pubblico un articolo sul grande Frank Zappa. Quest'anno, però, non parlerò delle ultime pubblicazioni postume (che comunque, probabilmente, avranno un articolo a parte), ma farò una lista di 14 canzoni di Zappa notevoli, per un motivo o per l'altro, come va tanto di moda fare su Rolling Stone e riviste del genere.
Tuttavia, ciò che differenzia questo articolo dagli articoli di suddette riviste, è che non si tratta di una lista delle 14 canzoni migliori di Frank Zappa, delle 14 canzoni più innovative di Zappa, delle 14 canzoni più Zappiane di Zappa, ma semplicemente una lista di canzoni di Frank Zappa che reputo notevoli, per un motivo o per l'altro, spiegando il perché. Del resto, 14 è un numero irregolare, per cui dovreste averlo capito da soli, no? Inoltre, non ho nessuna intenzione di seguire un filo logico preciso, le scriverò in base a come mi vengono in mente. Per cui, come direbbe il maestro Peppe Vessicchio, "pronti, partenza, via"
HE USED TO CUT THE GRASS
("Joe's Garage, Acts II & III", Novembre 1979)
La trama del concept album "Joe's Garage", per certi versi, non è del tutto dissimile a quella di "2112" dei Rush. In entrambe, si parla, tra le varie cose, della proibizione della musica (argomento del quale Zappa parla nel libretto dell'album, citando l'Iran come esempio). In questo momento dell'album, il protagonista esce di carcere (per aver distrutto un prezioso cyborg pisciandoci sopra...) e scopre che la musica, sua unica fonte di gioia, è stata bandita ed è diventata illegale. Vuole suonare, ma non può perché non ci sono più musicisti, e allora vaga per la città in stato catatonico immaginandosi un assolo di chitarra. Il commento musicale è assolutamente paranoico e drammatico, e secondo me, è una delle cose più riuscite dell'intero album. La chitarra (xenocrona) di Zappa, il drumming poderoso e erratico di Vinnie Colaiuta e le voci campionate da varie parti dell'album contribuiscono a fare di questo piccolo gioiello una delle cose più inquietanti e disturbate dell'intera discografia.
FOUNTAIN OF LOVE
("Cruising with Ruben & The Jets", Dicembre 1968)
Quando dico che i due album più complessi di Zappa in assoluto sono "Civilization Phaze III" (e fin qui va bene) e "Cruising with Ruben & The Jets" vengo spesso preso per pazzo. In realtà, ci sono motivazioni precise: prima di tutto, che cos'è questo album: una parodia, un omaggio al doo wop o entrambe le cose? Inoltre teniamo conto del periodo storico in cui è uscito: l'album che lo precedeva ("We're Only in It For The Money") era sicuramente più bizzarro, meno orecchiabile e soprattutto, molto più caustico: le critiche taglienti e corrosive ai valori e alle mode dell'epoca sono una componente fondamentale del disco. Questo album, invece, parla di amore, nella maniera semplicistica e cretina (per usare le parole di Zappa) tipica del doo-wop e del pop. Tuttavia, negli anni 60, non c'era alcun interesse a fare un revival del genere, considerato obsoleto e vecchio, per cui sicuramente, non si poteva comunque accusare i Mothers of Invention di essersi svenduti, perché questo disco era comunque fuori moda. Come se non bastasse, il disco successivo ("Uncle Meat") tornava alla musica complessa, colta e allo stesso tempo scanzonata, tipica del Frank Zappa dell'epoca, lasciando gli ascoltatori interdetti.
Tuttavia, pensare che l'album sia complesso unicamente da un punto di vista concettuale, è altrettanto sbagliato. Prima di tutto, la realizzazione dell'album è estremamente precisa e studiata (ascoltare le ritmiche di batteria, rigorosamente nella versione originale e non in quella sovraincisa negli anni 80) e la prestazione vocale di Ray Collins, è assolutamente eccellente e professionale. Ho scelto questo brano perché riassume perfettamente l'album: composto a quattro mani da Zappa e Collins, è sia un omaggio, sia una parodia al doo-wop ("di che cazzo parla questa canzone? di una doccia?" si domanda da solo Zappa nella sua autobiografia) e, nel finale, c'è una citazione molto subdola e nascosta de "La Sagra della Primavera" di Igor Stravinsky, a ricordarci che questo, è pur sempre un album di Frank Zappa e dei Mothers of Invention. Non dimentichiamoci, tra l'altro, che, dal punto di vista puramente estetico, la voce di Ray Collins, in questo pezzo, è semplicemente stupenda.
OUTSIDE NOW AGAIN
("Boulez Conducts Zappa: The Perfect Stranger", Agosto 1984)
Negli anni 80, Frank Zappa aveva scoperto quello che più si avvicinava al suo sogno: il Synclavier. Questo simpatico aggeggio permetteva a Zappa di comporre le cose più disparate con un'esecuzione completamente perfetta (si ascolti ad esempio a brani come "Little Beige Sambo" su "Frank Zappa Meets the Mothers of Prevention"). Ben presto, però, Frank si accorse che il synclavier, per quanto interessante, non era completamente sostituibile all'orchestra o al gruppo rock perché, per quanto fosse perfetta l'esecuzione, mancava di quello che Zappa stesso definiva come l' "elemento umano". A mio parere, questo brano è uno degli esempi più interessanti di quello che questa macchina era capace di fare. Come il titolo stesso suggerisce, si tratta di una variazione del brano "Outside Now" presente su "Joe's Garage". Il giovane Steve Vai, uno dei chitarristi più validi che siano mai stati nel gruppo di Zappa, avendo il pregio dell'orecchio assoluto, era utilizzato da Zappa anche per occuparsi di trascrizioni e, tra la varie cose trascritte dal chitarrista Italo Americano, c'era anche l'assolo di chitarra del già citato brano del 1979. Tale trascrizione, digitata nel synclavier, inevitabilmente suona differente dall'originale, in quanto la macchina non è capace di riprodurre la differenza di intensità nell'attacco delle note o le improvvise accelerate e, proprio per il particolarissimo modo di improvvisare di Zappa (che spesso definiva i suoi assolo delle "sculture in aria"), diventa una composizione a sé stante, con melodia perfettamente coerente e comprensibile, riuscendo perfettamente, quindi, ad essere qualcosa di interessante sia dal punto di vista concettuale, sia dal punto di vista melodico.
SUNRISE REDEEMER
("Guitar", Aprile 1988)
Lo so, nell'introduzione avevo promesso che non avrei usato un filo logico nel proporre le composizioni, ma a questo punto, il collegamento tra questo brano e quello precedente è quasi d'obbligo. "Guitar", come dice il titolo stesso, è un album dove fa da protagonista assoluta la chitarra, ma a differenza del suo precursore "Shut up and Play yer Guitar", non contiene composizioni inedite, ma solo estratti da altre composizione pre-esistenti. Questa "Sunrise Redeemer" che cito adesso, è, infatti, un improvvisazione contenuta nell'esecuzione del brano "Let's Move to Cleveland" eseguita il 30 Novembre 1984 al Musical Theater di Sunrise, in California. Eppure, suona come una composizione a sé stante: non solo per il brillante assolo perfettamente strutturato di Zappa, ma anche per l'eccellente supporto ritmico del gruppo (si ascolti il formidabile drumming di Chad Wackerman, e, soprattutto, le geniali parti di basso di Scott Thunes che, quasi da solo, tiene in piedi l'intero brano). Una delle ennesime dimostrazioni dell'infinito valore artistico dei concerti di Zappa.
CAMARILLO BRILLO
("Over-Nite Sensation", Settembre 1973)
Ma, certo, non sempre abbiamo per forza voglia di ascoltare cose che ci impegnino eccessivamente il cervello e, ogni tanto, sicuramente c'è bisogno di staccare un po' e di ascoltarci un bel brano rock senza troppe masturbazioni mentali. Frank Zappa ne ha scritti alcuni che riescono ad essere semplici e, allo stesso tempo, abbastanza personali e originali. La galoppante "Camarillo Brillo" è una di queste, con un'azzeccata melodia vocale, interessanti interventi chitarristici di Zappa e solido supporto ritmico scandito dalla batteria di Ralph Humphrey e dal piano di George Duke. Una piccola gemma. Senza pretese, certo, ma una piccola gemma.
HOLIDAY IN BERLIN, FULL BLOWN
("Burnt Weeny Sandwich", Febbraio 1970)
Se mi si dovesse domandare qual è il brano di Zappa che preferisco, sicuramente non saprei rispondere. Se mi dovessero, però, chiedermi una lista di miei preferiti, sicuramente il primo titolo a cui penserei sarebbe questo splendido strumentale contenuto in uno degli ultimi album dei Mothers of Invention originali. Inizialmente intitolato "Shortly", il nuovo titolo del brano riflette gli eventi accaduti al concerto dei Mothers a Berlino avvenuto il 15 Ottobre 1968, durante il quale, ci furono sommosse e i membri del gruppo vennero minacciati da alcuni manifestanti che volevano che Zappa e gli altri sostenessero per alcune azioni sovversive. Ciò che a noi interessa, comunque, è la splendida melodia del brano, interpretata magistralmente dai Mothers, e il bellissimo modo in cui le varie sezioni del brano seguono naturalmente l'una dentro l'altra. Per concludere, uno splendido, drammatico e introspettivo assolo di chitarra di Zappa, che cominciava ad interessarsi sul serio all'attività di solista. Brani come questo, dimostrano che, i Mothers, per quanto non fossero in grado sempre di eseguire perfettamente ciò che gli veniva richiesto, creavano delle atmosfere e delle sonorità che nessun altro futuro gruppo sarebbe riuscito a ottenere. Anche per questo motivo, i lavori del primo Zappa sono così geniali e affascinanti.
THE ADVENTURES OF GREGGERY PECCARY
("Studio Tan", Settembre 1978)
Un raro esempio di suite composta da Frank Zappa. In questo brano, Greggery, un esemplare di pècari, ovvero un maiale simile al cinghiale presente in America, si accorge che non è possibile misurare il tempo in maniera corretta per cui inventa uno strumento rivoluzionario: il calendario. In questo modo, la gente può sapere finalmente quanti anni ha. Tuttavia, non tutti sono contenti di sapere quanti anni hanno, ed è così che, il povero Greggery si trova nei guai. Oltre alla storia strampalata, ciò che colpisce è la musica, incredibilmente divertente e complessa, contenente due delle melodie più belle dell'intera discografia (la sezione della "steno pool" e il finale, originariamente una composizione a sé stante intitolata "The New Brown Clouds") e registrata tra il 1974 e il 1975. Un plauso anche all'interpretazione di Zappa, sia nella parte del narratore, sia nell'esilarante parte di Greggery stesso, ottenuta con la voce velocizzata. Purtroppo, questo brano è comparso per la prima volta in uno dei famosi album della Warner boicottati dalla Warner stessa e usciti con tre delle copertine più brutte dell'intera discografia (guardare a lato per avere un esempio) e, ancora peggio, senza testi e senza crediti dei musicisti. Per questo motivo, per un po' di tempo, "The Adventures of Greggery Peccary" è rimasto un brano un po' sconosciuto, solo recentemente recuperato dai fan. Ciò non lo rende di meno un capolavoro assoluto.
JUMBO GO AWAY
("You Are What You Is", Settembre 1981)
Arthur Barrow, bassista di Zappa dal 1978 al 1980 e frequente collaboratore negli anni successivi, sul suo sito internet, racconta come Frank Zappa spesso inserisse complicatissime composizioni pre-esistenti all'interno di nuove composizioni relativamente semplici. Questo è quanto accade all'interno di "Jumbo Go Away" durante il quale, la storia di una groupie che ha portato all'esasperazione il chitarrista Denny Walley, è intervallata da un complicato intermezzo strumentale (precedentemente intitolato "Number 6") che simbolizza la presenza di parassiti intestinali all'interno della sfortunata ragazza. Il brano in sé, probabilmente, non è uno dei migliori nel disco, ma l'intermezzo strumentale e il modo in cui si collega alla canzone (ricordiamo che entrambe erano precedentemente pre-esistenti e senza alcuna relazione l'una con l'altra) sono assolutamente straordinari.
IT MUST BE A CAMEL
("Hot Rats", Ottobre 1969)
Questo è senza dubbio l'album più famoso di Zappa, e, molti dei titoli che vi compaiono, sono diventati dei brani estremamente popolari tra chi conosce l'artista. Tuttavia, spesso si tende ad ignorare questo pezzo che, personalmente, considero tra i più riusciti dell'intera discografia. Prima di tutto, ascoltandolo, ci si chiede cosa avesse esattamente in mente Zappa: l'andamento è claudicante, la melodia incerta e assurda, quasi appena accennata e le percussioni sovraincise (velocizzate) che danno un tocco molto assurdo al brano, sembrano essere slegate alla composizione. Ciò nonostante, il risultato finale è molto affascinante e compatto e l'ascolto prolungato, fa sorgere la seconda domanda che ci si pone riguardo a questo brano, ovvero: "ma come cavolo hanno fatto i musicisti che ci suonano ad impararlo?". Spettacolare, inoltre, il momento in cui l'andamento incerto del brano finalmente sfoga tutta la sua tensione in un energico e eccellente assolo di chitarra ad opera di Zappa stesso (con uno splendido suono). Bellissimo modo di chiudere un bellissimo album.
HONEY, DON'T YOU WANT A MAN LIKE ME?
("Zappa in New York", Marzo 1978)
Questo brano, generalmente, non piace troppo ai fan di Zappa. Forse per il testo offensivo (un affare di coppia terminato male che però viene riconciliato con una buona dose di sesso orale), forse per il fatto che Zappa ne ha pubblicate diverse versioni togliendo spazio a cose che sarebbero state più interessanti, forse perché non apprezzano proprio il brano in sé. Comunque la mettiamo, non è sicuramente ricordato come uno dei brani migliori di Zappa. Personalmente, però, l'ho sempre trovato molto interessante e unico, specialmente nella sua versione originale pubblicata nel monumentale "Zappa in New York", ottimo live album registrato negli ultimi giorni del 1976 con una spettacolare line-up che comprendeva, tra gli altri, il bassista Patrick O'Hearn, il batterista Terry Bozzio, il tutto fare Eddie Jobson, la sezione fiati del Saturday Night Live e, unicamente, sia Ed Mann che Ruth Underwood alle percussioni. L'andamento della musica, le piccole sezioni apparentemente non connesse al brano, ma perfettamente sensate, la performance energica del brano, lo rendono, a mio parere, un buon esempio di quattro minuti di musica Zappiana. Bellissimo il modo in cui la musica risponde alle varie parti del testo ("the band was tight", "they saw a real hippie who delivered their dinner"). Da questo punto di vista, e unicamente da questo punto di vista, potremmo accostarla alla già citata "The Adventures of Greggery Peccary".
WAKA/JAWAKA
("Waka/Jawaka", Luglio 1972)
Brillante strumentale pubblicato su uno degli album che Frank incise costretto alla sedia a rotelle (un idiota lo spinse giù dal palco durante il concerto al Rainbow Theater di Londra tenutosi il 10 Dicembre 1971, rompendogli una gamba e danneggiandogli la laringe). Il tema, per fiati, è eccellente, forse uno dei migliori strumentali composti da Frank Zappa, e la lunga battaglia di assolo che ci troviamo di fronte è entusiasmante. Il momento migliore, però, arriva verso la fine, quando, l'assolo di Zappa viene trascritto e doppiato dal formidabile fiatista Sal Marquez, rendendo, ancora una volta, un tema improvvisato una composizione. Ottimo anche il trionfante finale del brano. Necessario citare anche il formidabile assolo di moog di Don Preston: un assolo che pare abbia impressionato Robert Moog stesso, che, avrebbe commentato testualmente: "non è possibile far suonare un moog in quel modo". Curiosa la versione pubblicata sul DVD-A "QuAUDIOPHILIAc" nel 2004, essenzialmente il take usato per questa versione, ma senza sovraincisioni e senza il finale, che permette di scoprire un po' come lavorava Zappa durante la produzione.
DROWNING WITCH
("Ship Arriving Too Late to Save a Drowning Witch", Maggio 1982)
Lo ammetto: "Ship Arriving Too Late to Save a Drowning Witch" è, senza dubbio, l'album di Zappa che amo di meno in assoluto: troppe bislaccherie senza senso, troppo materiale riempitivo, troppe cose azzeccate solo a metà per un album così breve (appena 35 minuti). La presenza di un brano dalla durata di 12 minuti, in un disco del genere fa presagire due cose: o si tratta della salvezza dell'album o si tratta della cosa peggiore in assoluto contenuta nei solchi del disco. I primi tre minuti, fanno pensare a quest'ultima ipotesi: inizio vocale banale, non troppo diverso, forse, dal brano "You Are What You Is" che seguono in un cantato bizzarro di Zappa, curioso in sé, forse, ma pallido al confronto di quello del brano precedente ("I Come from Nowhere"). Sembra quindi, che Zappa stia riproponendo tutto ciò che è successo fin'ora nell'album e lo voglia estendere a 12 minuti. Una tortura, quindi. E invece no, perché, da questo punto in poi, il brano diventa strumentale e cambia totalmente di registro. Si comincia con un tema tanto avventuroso, quanto meticoloso, nel quale risalta particolarmente la chitarra di Steve Vai (chiamato affettuosamente da Zappa, lo "stunt guitarist" del gruppo) al quale segue il primo assolo di chitarra del Maestro, su una base nervosa e torturata (splendide le linee di basso di Scott Thunes). Dopo qualche minuto, i toni si rilassano, come se il brano fosse arrivato allo stremo dopo quanto è successo, e comincia un secondo tema, più calmo ma ugualmente matematico. Su questa base, Zappa sfodera il suo secondo assolo, stavolta più introspettivo. Proprio su questa sezione del brano, che ricorda vagamente il capolavoro "Inca Roads", Frank proporrà alcuni dei suoi migliori assolo nel corso degli anni. Il brano si conclude con un terzo tema che sfocia senza soluzione di continuità nel brano successivo del disco, la strumentale "Envelopes", uno strumentale ben composto, ma poco interessante rapportato ad altri di Zappa. Difficile credere che quanto abbiamo ascoltato fin'ora appartenga ad un unico brano ma è così. Secondo Zappa, la versione su disco è composta da 15 performance diverse, perché nessuna versione dal vivo del brano è mai stata eseguita perfettamente dall'inizio alla fine. Questo capolavoro è senza dubbio l'unico motivo per mettere su questo disco più di tre volte dopo l'acquisto: infatti, la versione contenuta nell'album "You Can't Do That On Stage Anymore Vol. 3" non è decisamente all'altezza dell'originale. Peccato che il resto del disco voli decisamente molto più in basso...
BLESSED RELIEF
("The Grand Wazoo", Dicembre 1972)
Uno Zappa stranamente rilassato e melodico per il finale di un album tutto sommato abbastanza ostico. Di questo brano, non c'è molto da dire: la splendida melodia su un ritmo jazzato viene scandita dalla splendida chitarra di Zappa e argomentata intelligentemente dal piano elettrico di George Duke. Ciò che mi colpisce particolarmente, oltre alla melodia, è il suono della chitarra: non potrebbe essere più adatto a questo tipo di brano. Ho scritto molto poco, lo so, ma in questi casi è la musica che parla da sola.
BEAT THE REAPER
("Civilization Phaze III", Dicembre 1994)
Uscito un anno dopo la morte di Zappa, usciva "Civilization Phaze III", un album particolarmente difficile, senza alcun tipo di umorismo o di compromesso con l'ascoltatore. Frank Zappa sapeva che avrebbe avuto poco tempo per finirlo: gli era appena stato diagnosticato un inoperabile cancro alla prostata e, oltre alla certezza della morte, aveva dovuto ridurre i ritmi di lavoro, concentrando tutto quello che poteva fare in tempo minore. Ho scelto questo brano come finale della lista perché sembra essere la morte di Zappa espressa in musica. La morte vista dal punto di vista di un uomo che sa di stare per morire è molto diversa dalla morte vista dall'esterno, e si tratta più che altro di un brano paranoico, assurdo, nel quale si mischiano vari elementi apparentemente incompatibili tra di loro e che pare non avere una soluzione propria. In aggiunta a tutto questo, in sottofondo al brano c'è un incessante rumore di pioggia, che prosegue anche nella traccia successiva e di chiusura dell'album, intitolata "Waffenspiel": 4 minuti di rumori di temporale, spari, aerei che passano e latriti di cani. E' già di per se un finale inquietante perché non c'è niente di ciò che ci è rimasto familiare per i 110 minuti precedenti: né le voci, né la musica, solo rumori distanti. Ma, tenendo conto che non è solo il finale dell'opera, ma il finale dell'intera discografia Zappiana, e in un certo senso della vita di Zappa allora acquista una vena disturbante e spaventosa. (Questo frammento è stato, in parte, riciclato dalla mia recensione del disco, che potete trovare qua).
sabato 6 ottobre 2012
Into Deep #6 - Lunedì e Martedì infilati nello spazio di Mercoledì
Ora che il buon Frank ci ha spiegato che cosa sia la Xenocronia, parliamo di cosa non è la Xenocronia. Solitamente la Wikipedia Inglese è piuttosto affidabile quando si tratta di parlare di musica, ma in questo caso l’articolo è completamente sbagliato. Infatti, tra gli esempi di questa tecnica citano questo: “Nell’album del 1969 “Uncle Meat”, una frase dell’assolo di chitarra di “Nine Types of Industrial Pollution” appare alla fine di “Sleeping In A Jar”. Altri esempi di Xenocronia si sentono su “Lumpy Gravy”, il primo album accreditato al solo Zappa. Un passaggio di “Harry You’re A Beast” potrebbe essere stato incorporato su “Almost Chinese”. Inoltre, l’effetto che inizia “Flower Punk” su “We’re Only In It For The Money”, pubblicato mesi prima, è udibile all’inizio della parte 2 di “Lumpy Gravy”. Frammenti dalla colonna sonora del film “The World’s Greatest Sinner”, composta da Zappa nel 1963, sono udibili sia in “I Don’t Know If I Can Go Through This Again” (da “Lumpy Gravy”) sia su “Mother People” su “We’re Only In It For The Money”. Per prima cosa, ascoltando il finale di “Sleeping in A Jar”, si noterà che, effettivamente, si sente un frammento a doppia velocità dell’assolo di chitarra di “Nine Types of Industrial Pollution”, ma, ascoltando quest’ultimo brano, è possibile accorgersi che la chitarra è l’unico strumento registrato a velocità normale, mentre tutto il resto dell’ambiente sonoro è registrato a velocità dimezzata. Per cui, accelerando “Nine Types of Industrial Pollution” o rallentando “Sleeping In A Jar”, ci si accorge che di fronte si ha esattamente lo stesso tipo di materiale, pertanto non si può parlare di Xenocronia. Per lo stesso motivo, nemmeno il caso di “Almost Chinese”/ “Harry You’re A Beast” è considerabile Xenocronia. Mentre, il frammento che utilizza la citazione di “The World’s Greatest Sinner” che appare sia su “Mother People” che su “I Don’t Know If I Can Go Through This Again” (la stessa identica registrazione), lo è ancora meno, visto che non si tratta di una trasposizione casuale di materiale all’interno di un’altra struttura sonora, bensì semplicemente di una citazione, di un riutilizzo della stessa composizione all'interno dell’altra.
Tuttavia, la Xenocronia è davvero presente sia su “We’re Only In It For The Money”, sia su “Lumpy Gravy” e, in minima parte, anche su “Uncle Meat”. L’esempio più palese di Xenocronia si trova alla fine del brano “Lonely Little Girl”. Al termine del brano, Zappa sovrappone un bridge sonoro tratto dal brano “How Could I Be Such A Fool?” dall’album “Freak Out!” (pubblicato nel 1966, il primo album dei Mothers of Invention) e ci sovrappone in maniera del tutto casuale, due piste di voce non sincronizzate tra di loro dal brano “What’s The Ugliest Part of Your Body?”. Il risultato finale, seppure casuale, acquista una struttura talmente sensata che tale procedimento è rimasto non notato fino al 2009 (quindi per quarantanni consecutivi) quando grazie alla pubblicazione dei documentari audio “The MOFO Project/Object” e “Lumpy Money”, che pubblicavano le versioni strumentali di “How Could I Be Such A Fool?” e di “Lonely Little Girl” si è scoperto che c’era una sezione completamente uguale. Su “Lonely Little Girl”, la cosa è mascherata anche dal fatto che il bridge è stato velocizzato di un semitono, alterandone il tempo, la tonalità e anche l’atmosfera, e, con l’aggiunta delle voci completamente diverse, diventa completamente irriconoscibile.
Allungandoci, potremmo includere nell’esempio di Xenocronia, altri frammenti di quegli album. Ascoltando brani come “Nasal Retentive Calliope Music”, “The Chrome Plated Megaphone of Destiny” (entrambi su “We’re Only In It For The Money”) o “Dwarf Nebula” (su “Weasels Ripped My Flesh”, 1970) o anche varie sezioni della prima parte di “Lumpy Gravy”, si possono ascoltare suoni che ricordano rumori di macchinari, ma che non sono riconoscibili all’orecchio umano come niente di familiare. Tali suoni sono stati prodotti da un’altra diavoleria inventata da Zappa in quegli anni: un piccolo prototipo di sintetizzatore/batteria elettronica chiamato “Apostolic Blurch Injector”. Ancora una volta, è meglio usare le spiegazioni di chi all’epoca lavorava su tali progetti. In un’intervista del 1983 alla rivista “Mix!”, Zappa stesso spiegava il funzionamento di tale macchinario: “Più o meno nel periodo in cui stavamo lavorando ad “Uncle Meat”, collaboravo con un ingegnere del suono, Richard Kunk, che era veramente cooperativo, e tentava di fare ogni cosa strana che gli chiedevamo di fare. Durante gli anni 60 chi sapeva che cosa era giusto? “Proviamo questo: inseriscilo al contrario e guarda che cosa succede”. Quindi, mentre stavamo lavorando con alcuni tipi diversi di distorsione, ha costruito questa piccola scatola con tre pulsanti. L’abbiamo chiamata l’Apostolic Blurch Injector. Abbiamo preso tracce di diverso tipo di materiale, alzato il volume fino a renderle distorte, e poi, premendo i bottoni, si riuscivano ad ottenere piccoli frammenti ritmici di rumore bianco, marrone, rosa e grigio, in un ritmo che selezionavi. Ma invece di essere derivati da un noise generator o da un sintetizzatore, erano voci, strumenti, qualsiasi cosa, completamente distorti. Abbiamo riempito un sacco di nastri con questo tipo di materiale”. John Kilgore, tecnico del suono che all’epoca lavorava negli Apostolic Studios, in un’intervista del 1996, aggiunge: “Frank riempiva lo Scully 12-tracce con frammenti dai suoi vecchi album (a velocità diversa, ovviamente), interviste con gente che cercava di vendergli dell’acido (gli unici vizi di Frank erano il caffè, le sigarette e la coca cola), con frammenti di cose che i censori non gli volevano lasciare usare (non scherzo, ed era il 1968), cose registrate con un microfono mentre i poliziotti venivano nel nostro studio durante notte fonda perché tenevamo i vicini svegli, eccetera eccetera. Zappa prendeva tutto questo, lo mixava in una singola traccia e lo metteva in un nuovo nastro a 12 tracce, che in seguito avrebbe riempito con questi collage. Il Blurch Injector era una tastiera fatta da 12 tasti che erano messi in linea tra gli output delle 12 tracce e la console. Frank poi faceva partire il 12 tracce finale, che lui chiamava THE BROWN NOISE MASTER, e cominciava ad improvvisare sulla tastiera. In questo modo ha fatto, in parte, cose come “Nasal Retentive Calliope Music””. Craig Anderton, membro del gruppo rock Mandrake Memorial, che registravano negli Apostolic Studios assieme ai Mothers of Invention, in un’intervista del 1999 aggiunge: “Zappa aveva una dozzina, forse un centinaio, di nastri appesi al muro, con piccoli sample (ognuno aveva un nome diverso, il mio preferito si chiamava “Dynamite Blurch Injector”). In un certo senso stava facendo del sampling, ma usava nastri e registratori piuttosto che sintetizzatori”.
Nel 1969, Zappa, assieme al suo manager Herb Cohen, fondò i propri label discografici: Bizzarre Rercords (dedicata alla distribuzione degli album dei Mothers of Invention) e Straight Records (dedicata ad alcune produzioni sue o ad altri artisti che gli piacevano, come Tim Buckley e i The Persuasions). Sotto quest’ultima, Zappa cominciò presto a produrre alcuni album di gente nota o meno nota, come Alice Cooper (all’epoca uno sbarbatello), The GTOs e Wildman Fischer. La sua produzione più famosa è, sicuramente, quella del doppio album di Captain Beefheart and His Magic Band “Trout Mask Replica”, un capolavoro innovativo della musica rock. Ancora una volta, sempre per non cadere nell’errore di considerare innovativo qualcosa che non lo è, è bene specificare che la musica contenuta in questo album esce davvero dagli schemi, per via del particolarissimo metodo di composizione di Don Van Vliet. Tralasciando le particolari (e a volte agghiaccianti) vicende accadute durante le session (in questo caso il denominativo di “tiranno” è quantomeno appropriato), delle quali potete comunque leggere estensivamente nel libro scritto dal batterista John French “Through the Eyes of Magic”, la premessa che aveva Captain Beefheart per creare questo album, completamente diverso dai suoi due precedenti “Safe as Milk” e “Strictly Personal”, molto legati al blues, era che la concezione che abbiamo noi di musica tonale e ritmata, è tale solo perché siamo sempre stati abituati a sentirla così, non perché sia davvero corretta.
Matt Groening, celebre creatore dei Simpson e da sempre appassionato di musica, in un’intervista del 1993 alla rivista Mojo Magazine dichiara: “La prima volta che ho sentito Trout Mask Replica, quando avevo 15 anni, ho pensato che fosse la cosa peggiore che avessi mai ascoltato. Pensavo che non stessero nemmeno tentando di fare musica decente e che fosse solo confusa cacofonia. In seguito, decisi di ascoltarlo un altro paio di volte, perché non potevo credere che Frank Zappa potesse farmi questo, e perché un doppio album costa un sacco di soldi. Verso il terzo ascolto, mi sono reso conto che lo stavano facendo apposta: volevano che suonasse esattamente così. Infine, verso il sesto o il settimo ascolto, mi è entrato dentro e ho pensato che fosse il miglior album che avessi mai sentito”. L’album è senza precedenti, però, non solo per l’approccio alla composizione, ma anche per alcune particolari scelte di produzione di Zappa, per l’azzeccata sequenza dei brani e per alcune sperimentazioni che col tempo non sono diventate datate. Ad esempio, tre dei brani dell’album, “The Dust Blows Forward and The Dust Blows Back”, “Well Well Well” e “Orange Claw Hammer” sono interamente eseguiti dal solo Vliet che canta acapella senza nessun accompagnamento. Non solo, ma le tre composizioni sembrano essere composte al momento della registrazione: spesso, dopo ogni frase, si sente il suono del registratore che viene fermato e fatto ripartire.
Una delle sperimentazioni utilizzate nell’album è un particolare esempio di Xenocronia, diversa da tutte le altre perché si tratta di “Xenocronia spontanea”. Parliamo del brano “The Blimp”, il quinto dell’ultima facciata. In questo brano si sente la voce del chitarrista Jeff Cotton recitare un poema ad opera di Vliet su una base dei Mothers of Invention (il brano originale era intitolato “Charles Ives”). Questo brano nasce in maniera completamente casuale. Contemporaneamente alla produzione di “Trout Mask Replica”, Zappa stava lavorando anche ad alcuni progetti solisti. Durante una delle sue sedute notturne, Zappa riceve una telefonata da parte di Vliet, che insiste perché ascolti il suo nuovo poema recitato da Cotton e lo registri. Zappa, in un impeto di creatività, accende una traccia sul nastro sul quale stava lavorando, e sovraincide in diretta la recitazione del poema. Al momento, soltanto Zappa era a conoscenza di quello che stava succedendo: Vliet e Cotton, ne erano completamente ignari. Al termine del brano è possibile sentire Zappa affermare: “Penso che potremmo utilizzarlo sull’album così com’è”. Tra l'altro, per una bizzarra combinazione del caso, nel frammento utilizzato dei Mothers of Invention, suonano i batteristi Jimmy Carl Black e Arthur Tripp e il bassista Roy Estrada, che più avanti, diventeranno tutti membri ufficiali della Magic Band di Captain Beefheart.
Tale affascinante tecnica, viene accantonata poi per un po’ di tempo, per poi ricomparire nell’album “Zoot Allures” del 1976, nel brano “Friendly Little Finger”. Tale strumentale, molto affascinante e con una struttura completa, è quasi interamente frutto del caso. Nelle già citate note di copertina della cassetta “The Guitar World According To Frank Zappa”, Zappa scrive: “L’assolo di questo brano è stato registrato sun un registratore 2-tracce in un camerino, mentre mi scaldavo prima di un concerto all’Hofstra University di Long Island. Questo paio di tracce sono state successivamente xenocronizzate ad una parte di batteria non utilizzata per il brano “The Ocean Is The Ultimate Solution” (nota: sull’album “Sleep Dirt”, 1979). L’orchestrazione strumentale è stata aggiunta in seguito, e successivamente ho sovrainciso la parte di basso suonata con un basso Hofner, riprodotta a doppia velocità, in modo da compattare i tempi diversi tra l’assolo e la parte di batteria”. Certo, per dargli una struttura sensata, stavolta Zappa ha dovuto lavorarci un po’ sopra e aggiungerci tracce registrate appositamente per il brano, ma molto presto non sarà più così.
Si arriva quindi al 1979, tre anni dopo l’album “Zoot Allures”. Tre anni possono sembrare pochi, ma per un artista come Zappa sono veramente tanti, e infatti, l’album che prendiamo in considerazione adesso, “Sheik Yerbouti”, è completamente diverso da “Zoot Allures”. “Sheik Yerbouti”, uno degli album più popolari di Zappa, contiene ben due esempi di Xenocronia. Molti brani di questo album, hanno la traccia base (quindi basso, batteria e chitarra elettrica) registrata dal vivo, una tecnica che Zappa usava spesso per risparmiare tempo, con in seguito sovraincisioni e rimaneggiamenti in studio. Per l’ultimo brano del disco, “Yo Mama”, Zappa ha scelto di usare la sezione ritmica di tale brano registrata a Londra, e contemporaneamente, l’assolo (tratto dallo stesso brano) registrato in Germania. Purtroppo però, tale risultato, risulta piuttosto confusionario, anche perché la differenza sonora tra le due sezioni è parecchio palpabile. Molto più interessante è l’altro esempio di tale tecnica, la strumentale “Rubber Shirt”, anche perché si tratta di xenocronia completa. Nel libretto Zappa spiega: “La parte di basso di questo brano è estratta da una registrazione a quattro tracce di una performance a Gotenborg in Svezia del 1974, nella quale ho fatto sovraincidere a Patrick O’Hearn una nuova parte di basso in 4/4. La parte di basso scelta è stata più o meno specificata durante la session, quindi non possiamo parlare di un assolo di basso completamente improvvisato. Un anno e mezzo più tardi, la parte di basso è stata spostata dal master originale e trasferita su una nuova traccia di batteria incisa per una canzone in 11/8. Questo brano è il risultato di questa sperimentazione sonora. Tutto questo interessante e intelligente interplay tra basso e batteria che si sente non è mai successo sul serio”.
Comunque, l’esempio di Xenocronia più famoso, è senza dubbio il procedimento che Frank ha usato per gli assolo di chitarra nell’album “Joe’s Garage”. In diverse interviste, Zappa ha più volte espresso il suo disprezzo verso gli assolo incisi in studio. Ad esempio nell'intervista per il numero di Guitar Player del Novembre 1982 afferma: “Trovo difficile suonare in studio. Non penso di aver mai inciso nessun assolo decente in studio… semplicemente, non ho il feeling”. Per questo motivo, Zappa su "Joe’s Garage", bara spudoratamente prendendo alcuni assolo di chitarra registrati durante il tour precedente isolandoli dai multitraccia e, con un po’ di aiuto in studio, incollandoli sulle nuove basi, cambiandone completamente il feel. Le uniche eccezioni alla regola sono l’assolo di “Watermelon in Easter Hay” e quello di “Crew Slut”, non eseguito da Zappa, ma dal chitarrista Denny Walley.
Altro salto temporale, e si arriva al 1983, quattro anni dopo “Joe’s Garage”. Un’infinità, come abbiamo già detto, e il prossimo esempio di Xenocronia si trova sull’album “Them Or Us”, uno degli album più hard rock di Zappa. Il terzo brano del disco, “Ya Hozna”, è uno dei brani più aggressivi, costituito da un potente riff di chitarra e un tempo di basso e di batteria complesso, sensato, ma che suona tanto di collage. La Xenocronia di questo brano però, non sta nella traccia base, bensì nelle voci: interamente incise al contrario. Il materiale sonoro è stato preso dai suoi album precedenti, e proviene in gran parte dalla splendida “Sofa #2”, brano finale dell’album capolavoro del 1975 “One Size Fits All” e addirittura dalla già citata “Lonely Little Girl”, risalente a 15 anni prima. Il tecnico del suono Mark Pinske, in un'intervista del 2003 alla rivista “Mix!” spiega come è stato creato: “Abbiamo messo le varie voci su un nuovo 24-tracce e poi l’abbiamo invertito, in modo da non rovinare il master originale. Quando sperimentavamo usavamo un nastro di sicurezza. L’abbiamo girato e abbiamo infilato dentro altre voci. Abbiamo preso qualche voce da qualche altra canzone e l’abbiamo messa dentro, al contrario”. A questo punto, l’intervistatore, Chris Michie, fa notare a Pinske che il tempo di “Sofa #2” e in 3/4, mentre quello di “Ya Hozna” è un 5/4. “Beh, era una cosa terribilmente sorprendente. Prendevamo solo la voce al contrario e ce la infilavamo sopra. E non aveva niente a che vedere con la traccia base, anche se suonava come tale”. Michie, perplesso, confessa a Pinkse che pensava che la traccia base di “Ya Hozna” fosse stata costruita intorno alle voci al contrario. “No, no, le sezioni di voci che abbiamo usato sono state infilate in un secondo momento su qualcosa al dritto che abbiamo praticamente trovato casualmente”. Il senso di questa operazione è del tutto mirato. In quegli anni stava esplodendo la mania del rock satanico: gente che prendeva album di artisti come Led Zeppelin, Black Sabbath, Queen, Electric Light Orchestra, Judas Priest e The Beatles e li ascoltava al contrario cercando di trovare messaggi satanici o inneggianti all'uso di droga. Tale fenomeno scientificamente si chiama “pareidolia”, ovvero la capacità subcosciente di riconoscere forme familiari all'interno di una struttura casuale, in parole povere, di riconoscere volti o altre immagini simili all'interno di venature, oppure, appunto, di riconoscere messaggi sensati ascoltando una registrazione al contrario. Secondo Jeff Lynne degli Electric Light Orchestra, però, tale cosa si chiama semplicemente “ataznorts”. Zappa era, evidentemente, della stessa opinione, visto che sul libretto dell’album, nello spazio per i testi di “Ya Hozna” scrive: “voci al contrario, il testo lo indovinate voi”. Ad ogni modo, sull'argomento “pareidolia”, è possibile leggere un interessante capitolo nel libro “Big Secrets” di William Poundstone, nel quale l’autore spiega in maniera del tutto chiara e razionale la casualità del fenomeno. Tornando a “Ya Hozna”, un altro frammento di Xenocronia in questo brano è costituito dall’assolo di chitarra finale, ad opera di Steve Vai. Vai, nel libretto della compilation Zappiana da lui assemblata “SteveVai Archives Vol. 2: FZ Original Recordings” spiega: “Frank registrava più o meno qualsiasi live del tour Europeo del 1982. Ha scritto questo brano durante un soundcheck e mi ha indicato durante la canzone, che era un segnale che significava che dovevo fare un assolo. L’ho fatto, e più avanti lui ha rimpiazzato l’intera traccia base”.
Un altro esempio più oscuro è una versione speciale del brano “Won Ton On”, che altro non è che una composizione costruita intorno alle tracce vocali di “No Not Now” sull’album “Ship Arriving Too Late To Save A Drowning Witch” riprodotte al contrario. Nonostante la sua pubblicazione sia successiva a “Ya Hozna”, “Won Ton On” le è precedente. Nella stessa intervista a Pinske che abbiamo citato poco fa, egli spiega che “Won Ton On” è stato il primo esperimento casuale, e che li ha assorbiti così tanto da averne iniziato un secondo, “Ya Hozna”, appunto. Questo brano è stato in seguito usato come finale del concept album del 1985 “Thing-Fish”. Nella versione utilizzata sull’EP del 1984 “True Glove” (non disponibile su CD), pubblicato mentre “Thing-Fish” era ancora in preparazione, Zappa inserisce una pista vocale parlata (al dritto) incisa per “He’s So Gay”, un altro brano di “Thing Fish” ad opera di Johnny Watson. Tuttavia, il risultato finale suona piuttosto casuale, ed è facile immaginare perché Zappa abbia modificato “Won Ton On” per la versione definitiva del brano. Curiosamente, nella versione vinile originale, “He’s So Gay” mancava del parlato del Watson, e solo comprando l’edizione CD del disco è possibile ascoltarla nel contesto per la quale era stata pensata. Da qua in poi, Zappa abbandona progressivamente la xenocronia, anche se, inaspettatamente, nella title-track di “Jazz From Hell” e su “Beat The Reaper” da “Civilization Phaze III”, sovrappone un frammento della title-track dell’album orchestrale condotto da Pierre Boluez “The Perfect Stranger”.
La Xenocronia è un procedimento che è stato usato anche da altri artisti. Ad esempio, nel brano “Save the Life of My Child” di Simon & Garfunkel, dal loro capolavoro “Bookends” del 1968, alla canzone vengono accostati dei cori gospel completamente non relazionati e, a metà canzone, inaspettatamente, compare la linea vocale della loro hit “The Sound of Silence”, e nel finale di “The Devil’s Triangle” dei King Crimson, dall’album “In The Wake of Poseidon”, un rifacimento di "Mars: Bringer of War" di Gustav Holst, compare un frammento della title-track di “In The Court of the Crimson King”. Un discorso a parte merita il chitarrista sperimentale Americano Brian Carroll, più conosciuto col suo nome d’arte Buckethead. L’artista, eclettico virtuoso e capace di spaziare facilmente da un genere all’altro, è sempre stato dichiaratamente un fan del nostro, a tal punto da produrre due album nel 2009 (“Forensic Follies” e “Needle in a Slunk Stack”), costruiti principalmente attorno alla Xenocronia. In questi due dischi, Buckethead costruisce intere canzoni prendendo elementi dai suoi album precedenti e collegandoli tra di loro in maniera casuale, per trarre nuove composizioni. Ma, mentre nel secondo album, Buckethead realizza delle nuove tracce strumentali per complementare il vecchio materiale, il primo album è quasi completamente Xenocrono.
(Una versione riadattata di questo articolo è stata utilizzata il 6/10/2012, quindi al momento della pubblicazione stessa, da Donald McHeyre all'interno del suo programma "Il Sabato di Punto D'Incontro" su TRS Radio, programma al quale collabora anche l'autore di questo articolo, che in questo momento, sta parlando pretenziosamente in terza persona. La puntata è stata in seguito resa disponibile su Youtube a questo indirizzo)
giovedì 12 luglio 2012
Into Deep #5 - Io sono il Boognish, Dio tuo
I Ween si formano più o meno nel 1984, quando Aaron Freeman e Mickey Melchiondo, all'epoca quattordicenni, si incontrano in quello che è l'equivalente per noi della terza media in una scuola di New Hope, in Pennsylvania. Scoprono subito di avere molte cose in comune: l'interesse verso le ragazze, il senso dell'umorismo cupo e assurdo e, soprattutto, il fatto di saccheggiare periodicamente la collezione di dischi dei propri genitori ogni volta alla ricerca di qualcosa di nuovo da scoprire e da aggiungere alla propria biblioteca musicale (le loro influenze sono molteplici, ma sicuramente i due artisti che più hanno influito nel plasmo delle personalità del gruppo sono stati i Beatles e Prince). Decidono quindi di formare un duo, i Ween, appunto e già che ci sono, cominciano ad inventare il proprio mondo personale: Freeman e Melchiondo diventano rispettivamente i fratelli Gene e Dean Ween, soprannominati Gener e Deaner, monaci del dio Boognish, una divinità non particolarmente buona, il cui scopo è principalmente quello di diffondere la filosofia di "marrone" nel mondo (qualcosa di repellente che, allo stesso tempo, per qualche motivo, riesce ad essere attraente). Gener e Deaner decidono inizialmente di fare tutto da soli: Gene è il cantante principale, suona la chitarra ritmica, le tastiere e di tanto in tanto il basso, mentre Dean è il chitarrista solista, suona il basso quando non è Gene a farlo e, essendo un ex batterista, si occupa della batteria, programmata o reale.
Tra il 1985 e il 1987 i fratelli Ween producono quattro cassette fatte in casa: "Mrs. Slack", "The Crucial Squeegie Lip", "Axis: Bold as Boognish" e "Erica Peterson's Flaming Crib Death". Tuttavia, queste pubblicazioni (oggi disponibili gratuitamente in rete), non mostrano niente di particolarmente interessante: solo gli esperimenti di due adolescenti appassionati di musica (e di droghe leggere) che registrano dischi fatti in casa infarciti di humour adolescenziale e strampalate cover di classici del rock.
Le cose cominciano a cambiare nel Dicembre 1987, quando i Ween partecipano all'High School Talent Show di New Hope con una cover della Hendrixiana "Foxy Lady" vincendo. L'anno successivo producono l'EP "The Live Brain Wedgie/WAD", la prima pubblicazione a non essere distribuita su cassetta, ma su vinile, indicando un serio cambiamento nella filosofia del gruppo, più decisi a fare sul serio. Il lato A del disco proviene da un esibizione dal vivo, mentre il lato B sono altri demo fatti in casa, un po' meno grezzi rispetto alle cassette prodotte negli anni precedenti, probabilmente a indicativi del fatto che Freeman e Melchiondo stessero cominciando a pensare seriamente a farsi una carriera musicale. Questo EP, come le cassette già citate, non è mai più stato ripubblicato, ma è disponibile gratuitamente in rete, rilasciato dai due fratelli Weener. Nel 1989, i Ween firmano un contratto con la Twin/Tone Records, cominciano a scrivere brani più articolati e a rimodellare alcuni vecchi per renderli meno grezzi e, l'anno successivo, finalmente esce il loro primo vero album: "GodWeenSatan: The Oneness", prodotto dall'amico Andrew Weiss, un polistrumentista Americano che aiuterà più volte il gruppo durante il corso della loro esistenza.
GODWEENSATAN: THE ONENESS
(Twin/Tone Records, 1990)
Il primo album completo dei Ween è già un pugno nello stomaco. Si tratta di un viaggio di 26 brani, tra alcuni registrati professionalmente in studio e altri registrati artigianalmente su un registratore a cassette 4-tracce. Nonostante l'artwork e i titoli di alcuni dei brani ("You Fucked Up", "Common Bitch", "Fat Lenny", "Let Me Lick Your Pussy") è chiaro che i Ween prendono più seriamente il loro lavoro di quanto sembri. La cosa che senza dubbio colpisce l'orecchio è l'eclettismo e la varietà presenti nel disco: sebbene possa essere catalogato principalmente come un disco rock, troviamo anche brani gospel ("Up on the Hill"), brani fintamente spagnoleggianti ("El Camino"), hard rock allo stato puro ("Tick", "Wayne's Pet Youngin", "Common Bitch"), lunghe divagazioni psichedeliche ("Nicole"), strampalate canzoni d'amore ("Don't Laugh (I Love You)", che contiene il verso "a Ernest Hemingway sarebbe importato di me, ma Ernest Hemingway adesso è morto" e un finale assolutamente terrorizzante), una bizzarra parodia disco/funk di fine anni 70 ("I'm in The Mood to Move") e persino un vero e proprio omaggio a Prince ("Let Me Lick Your Pussy"). Un'altra cosa notevole, a ulteriore dimostrazione di quanto i Ween abbiano messo molta cura nel produrre questo album, è la presenza di melodie memorabili: i brani sono tutti costruiti in maniera perfettamente funzionale e accattivante e riescono a terminare un po' prima di diventare prolissi e un po' dopo aver superato la barriera del troppo breve (a parte,"Nicole", volutamente tenuta eccessivamente lunga con l'aggiunta di sovraincisioni che mettono a dura prova la pazienza dell'ascoltatore). In questo album è presente anche la componente triste dei Ween (a sottolineare che, nonostante lo humour assurdo, non sono una comedy band) assente nelle prime cassette e che piano piano comincerà a prevalere sempre di più nelle produzioni del gruppo. In questo caso si parla del brano "Birthday Boy", una minimalista (e autobiografica) ballata dedicata a una separazione di coppia avvenuta male, dove non si nota un minimo cenno di umorismo e dove la voce di Freeman suona genuinamente disperata e spaventata. In definitiva si tratta di un ottimo lavoro, soprattutto alla luce del fatto che i "fratelli" Weener erano appena ventenni durante le registrazioni dell'album. Il disco è stato ripubblicato nel 2001 in una divertente "25th anniversary edition" ampliato di 3 brani, per un totale di 29 tracce.
Nel 1990, cambiano alcune cose per il duo: cambia il contratto di casa discografica (Shimmy Disc) e i due si trasferiscono in un appartamento dove cominciano a lavorare al loro secondo album, sempre prodotto da Weiss e con un minimo di aiuto da parte dell'amico Chris Williams, saltuariamente bassista del gruppo, soprannominato Mean Ween. Il risultato uscirà nel Settembre del 1991 e si intitolerà "The Pod".
THE POD
(Shimmy Disc, 1991)
Registrato interamente su un registratore 4-tracce, "The Pod" prende il nome dall'appartamento in cui il duo ha vissuto tra il 1990 e l'Ottobre del 1991, prima di essere sfrattato. A causa della qualità lo-fi del disco, dell'utilizzo del duo di droghe lisergiche e di alcuni problemi avvenuti durante le registrazioni (sia Freeman che Melchiondo soffrirono separatamente di casi di mononucleosi), "The Pod" risulta l'album più cupo e difficile dell'intera discografia. Il problema principale non sta nella registrazione low fidelty che, anzi, contribuisce a dare toni oscuri tutto sommato apprezzabili, nel fatto che la voce sia spesso e volentieri manipolata con il pitch control in modo da renderla troppo alta o troppo bassa, o nella eccessiva durata del disco (76 minuti), che sembra voler volontariamente testare la pazienza dell'ascoltatore (soprattutto nella parte centrale dell'album, dove brani sempre più inquietanti e disturbati si susseguono di continuo senza avere la minima intenzione di terminare questo flusso), quanto nel fatto che, nonostante le premesse, i brani di "The Pod" convincano presi singolarmente e non a livello organico. In particolare, la sezione appena citata dell'album (che comincia con la seconda parte di "Demon Sweat", la traccia numero 9, e termina con "She Fucks Me", la numero 21), è genuinamente inquietante, ma dopo un po' rischia di annoiare, probabilmente dovuto al fatto che mano a meno che si prosegue, i brani tendono a diventare quasi tutti uguali. Ad ogni modo, l'album contiene comunque qualche gemma, prima su tutte l'hard rock di "Captain Fantasy", la cui interpretazione vocale riporta un po' alla mente quella di Geddy Lee dei Rush. Degne di nota sono anche "Dr. Rock", che dal vivo diventerà un cavallo di battaglia, la Beatlesiana "Pork Roll, Egg and Cheese", "Mononucleosis" che riesce musicalmente a descrivere perfettamente lo stato d'animo febbrile della malattia, la fintamente epica "Right to the Ways and the Rules of the World" e "Demon Sweat", un brano che inizia delicato e malinconico e impazzisce nella seconda parte strumentale, resa atonale dai cambiamenti di velocità dello scorrimento su nastro. In questo album comincia anche la saga del personaggio "The Stallion", che entrerà a fare parte della mitologia dei Ween. In questo album troviamo le prime due parti della saga (in totale saranno 5), e sono indubbiamente tra le cose migliori del disco. In definitiva parliamo di un buon album, interessante dal punto di vista dell'atmosfera, buono (a volte eccellente) dal punto di vista melodico, ma che finisce per essere vittima di sé stesso nell'organico. Qualche curiosità sull'album: oltre ad avere un brano intitolato, il pork roll egg and cheese, un panino con formaggio, pancetta e uova fritte su un kaiser bun, viene nominato ossessivamente durante quattro brani ("Frank", "Awesome Sound", "She Fucks Me" e ovviamente "Pork Roll, Egg and Cheese"), probabilmente una battuta rincorrente che a noi ascoltatori non è dato di capire, la copertina del disco è un fotomontaggio della testa di Mean Ween sulla faccia di Leonard Cohen dalla copertina di "The Best of Leonard Cohen" e sul retro del disco, c'è scritto che i fratelli Ween hanno registrato il disco mentre inalavano della colla (più avanti sia Freeman che Melchiondo hanno affermato che si trattava solo di una battuta).
Nel 1991, finalmente, i Ween riescono ad ottenere un contratto stabile con una casa discografica, l'Elektra e cominciano ad avere un po' di più di visibilità. Alcuni fan cominciano a preoccuparsi per questo, temendo che il gruppo possa cominciare a svendersi. Tali fan, però, tireranno ben presto un sospiro di sollievo...
PURE GUAVA
(Elektra, 1992)
Forse per testare la casa discografica, forse per fretta di pubblicare un nuovo album, i Ween usano ancora una volta il sistema artigianale 4-tracce per registrare questo disco, "Pure Guava". Sebbene sia un disco difficile da digerire a primo impatto, risulta comunque un album molto differente da "The Pod" per diversi motivi: nonostante siano entrambi due album allucinati, il primo è cupo e tormentato, ma "Pure Guava" è senza dubbio più allegro e solare (si mettano a confronto le prime due parti di "The Stallion" su "The Pod" con la terza su "Pure Guava"). Inoltre, i Ween cominciano di nuovo a sperimentare tra i vari generi e il che rende il disco meno monotono del precedente e quindi meno piacevole ad un primo impatto, ma senza dubbio più notevole a lungo termine. Questo disco contiene il singolo più conosciuto dei Ween, "Push Th' Little Daisies", una bizzarra parodia alle boy band dell'epoca, con la voce di Freeman velocizzata e sguaiata. Non è ben chiaro il perché della popolarità di tale singolo, forse per il passaggio del videoclip sulla trasmissione Beavis & Butthead (per usare le parole di Butthead: "these guys have no future"). Le stranezze non si fermano qua: brani come "Little Birdy", "Flies on My Dick", "Touch my Tooter", "I Play it Off Legit" e "Poopship Destroyer" non possono essere definiti in alcun modo. Si tratta di frammenti curiosi, con un senso, ma apparentemente random e confusi. Per non parlare di "Mouring Glory", l'interrogativo più grande che sia mai apparso in un album dei Ween: 5 minuti di base saturata a tal punto da essere completamente incomprensibile sulla quale viene narrato un racconto di un'invasione aliena di zucche (?), o di "Reggaejunkiejew" (il brano non è antisemita: è riferito ad una persona in particolare, e come se non bastasse Freeman è di origini ebraiche), un brano che dal vivo è un tirato funky sul quale Melchiondo si può sfogare, e che in studio sembra musica uscita da una segreteria telefonica (a proposito: verso il finale c'è un atonale assolo di... fax!). L'album non è del tutto ostico, comunque: "Don't Get Too Close To My Fantasy" (con uno splendido finale a capella) è uno dei brani più melodici dell'intera discografia, "Springtheme" è spensierata e allegra, "Hey Fat Boy (Asshole)" e "Big Jilm" sono piuttosto accativanti, nonostante la produzione volutamente repellente, e con "Sarah" (dedicata alla stessa ragazza a cui è stata dedicata "Birthday Boy") torna il lato malinconico dei Ween. In definitiva, "Pure Guava" è senza dubbio un disco molto difficile. Lo stesso Melchiondo, in un'intervista rilasciata al sito Nashville Scene, ebbe a dire: "È buffo: ogni tanto conosco qualche persona nuova, e quando scoprono che suono in un gruppo, vanno sempre a comprarsi "The Pod" o "Pure Guava" e ne sono completamente terrorizzati. Non riesco a immaginare che immagine si facciano di me nella loro mente. Qualcosa del tipo "Oddio, questo tizio va in giro per gli stati e fa questa roba? Chi cazzo ascolterebbe una cosa del genere?". Arrivano sempre e mi dicono "Ho ascoltato della tua musica". Io domando loro cos'hanno ascoltato e loro rispondono "Pure Guava". A quel punto gli dico di andare ad ascoltarsi qualcos'altro perché quella roba è troppo rumorosa. Non fraintendetemi: adoro quegli album, non li sto rinnegando. Sto solo cercando di entrare nell'ottica di un ascoltatore tradizionale!". Comunque sia, "Pure Guava" è un album che dopo ripetuti ascolti (perdonatemi l'orrendo gioco di parole) dà i suoi frutti. Entrare nell'ottica del disco è particolarmente difficile, ma una volta capito il meccanismo, ci si trova di fronte ad un lavoro eseguito perfettamente e con senso, e il fatto che quest'ultimo sia apparentemente assente, lo rende un album ancora più affascinante.
Probabilmente a causa del successo (casuale) ottenuto dal singolo "Push Th' Little Daisies", i Ween cominciano a rendersi conto sul serio del loro potenziale e decidono di raffinare un po' di più la loro musica, senza cercare di perdere il loro spirito. I divertissment stonati e strani spariscono quasi completamente, così come viene abbandonato il 4-tracce e ci si concentra molto di più sulla produzione della musica. Il risultato si intitolerà "Chocolate and Cheese", uscirà nel Settembre del 1994 e sarà prodotto ancora una volta da Andrew Weiss.
CHOCOLATE AND CHEESE
(Elektra, 1994)
Il cambio di direzione per il quarto album è notevole ed è impressionante la facilità con cui si è arrivati a questo. La cosa, però, è stata fatta non senza alcune perplessità: nella stessa intervista citata sopra, parlando di questo album, Melchiondo afferma che "quando è uscito ero veramente spaventato, perché era un album più prodotto rispetto a quelli su 4-tracce. All'epoca pensavo che fosse il peggior disco del mondo e che stessimo per perdere tutti i fan. Pensavo che tutti i fan avrebbero odiato questo disco perché era più raffinato rispetto agli altri". Per fortuna, i suoi timori si sono dimostrati insensati, perché "Chocolate and Cheese" è tutt'ora giudicato da molti fan e da molti critici come il miglior lavoro dei Ween, e praticamente ogni canzone dell'album è diventata un classico nelle scalette del gruppo. È, inoltre, senza dubbio il lavoro più eclettico dell'intera discografia: i 16 brani contenuti nell'album sono di 16 generi diversi. Inoltre, le melodie sono più ricercate, e l'album appare come un lavoro veramente maturo e eccellentemente costruito. Come già affermato prima, i classici in questo album sono molteplici: il blues di "Take Me Away", il funky di "Voodoo Lady", il soul di "Freedom of 76", la brillantemente terrorizzante "Spinal Meningitis (Got Me Down)", le allegre e spensierate "Roses are Free" (resa celebre da una cover dei Phish) e "The HIV Song" e il racconto far west di "Buenas Tardes Amigo", e persino il brano che più si avvicina ai due lavori precedenti ("Candi") è comunque più melodico. Da un lato si sviluppa il lato oscuro dei Ween, con la già citata "Spinal Meningitis (Got Me Down)", un racconto in prima persona di un bambino che sta per morire di meningite, senza un filo di humour o di eccessiva compassione verso di lui (un po' come un fatto di cronaca obbiettiva) e con "Mister, Would You Please Help My Pony?", un racconto di un trauma infantile su una base incredibilmente allegra e cretina, dall'altro continuano gli episodi di tristezza con "A Tear for Eddie", strumentale dedicato a Eddie Hazel, chitarrista dei Funkadelic, e con la Lennoniana "Baby Bitch", sempre per la "Sarah" di "Birthday Boy", che, nonostante il titolo, ha uno dei testi più profondi e rabbiosi dell'intera discografia. Altri brani degni di nota sono l'accattivante "What Deaner Was Talking About" e l'intelligentemente costruita "I Can't Put My Finger on It", che alterna a una strofa incredibilmente aggressiva, un dolce e sognante ritornello strumentale, tirando nel calderone anche alcuni elementi di musica araba nel finale. "Chocolate & Cheese" è senza dubbio uno dei lavori migliori del gruppo e si è giustamente guadagnato un posto speciale nel cuore dei fan e del gruppo, e brani come "Take Me Away", "Voodoo Lady" e "Spinal Meningitis (Got Me Down)" diventeranno stabili nelle scalette di ogni tour.
Visto il riuscito tentativo di raffinare il sound, i Ween decidono di diventare un gruppo vero e proprio, aggiungendo all'organico l'ottimo batterista Claude Coleman Jr, Glenn McClelland (già con i Blood Sweat and Tears) alle tastiere e Dave Dreiwitz al basso (anche se per un certo periodo e saltuariamente sarà Weiss il bassista). Durante i due anni successivi si intensifica il lavoro live del gruppo, adesso una band vera e propria e non più due polistrumentisti accompagnati da un registratore, e le lavorazioni all'album successivo. Per il successivo album, le lavorazioni cominciano in una casa nella costa di Holgate, nel New Jersey. L'idea è di creare un album a tema acquatico (sia Gene che Dean Ween sono sempre stati affascinati dall'oceano). Purtroppo, una sera, mentre la casa era disabitata, un tubo dell'acqua esplode, danneggiando alcuni dei nastri e dell'equipaggiamento, e costringendo il gruppo a rilavorare su alcune parti. L'album viene messo temporaneamente in pausa e, quasi per scherzo, i Ween cominciano a comporre canzoni country. Tuttavia, le canzoni composte erano melodicamente buone, così decidono di scomodare alcuni dei grandi nomi del genere (tra cui Charlie McCoy, Buddy Spicher, Bobby Ogdin e The Jordanaires) per trasformarli in un album vero e proprio.
12 GOLDEN COUNTRY GREATS
(Elektra, 1996)
La prima cosa notabile di questo album è che, nonostante il titolo, i brani sono solo 10. "Si chiama così per via del numero dei musicisti che ci suona sopra, i session-man da Nashville" spiega Aaron Freeman in un'intervista dell'epoca "non per il numero delle tracce". Questo album è interessante per il fatto che è un disco puramente e genuinamente country (anche se, comunque, "Help Me Scrape The Mucus Off My Brain", "Piss Up a Rope" e "Fluffy" avrebbero potuto essere senza problemi su qualsiasi altro album dei Ween), perché vi sono molte leggende della musica country e perché è il primo album nel quale sono sorti problemi di diverso tipo. Ben Vaughn, il produttore del disco, in un'intervista per il sito Taste of Country, racconta del fatto che, nonostante fossero dei professionisti, alcuni musicisti si sono rifiutati di suonare alcune parti per la troppa vergogna per il contenuto dei testi (un brano saliente è il racconto gay di "Mister Richard Smoker"), per il fatto che i legali di Muhammad Ali hanno vietato l'inclusione di un sample in "Powder Blue" troncandolo bruscamente (anche se alcune copie sono sopravvissute senza il taglio) e per una causa legale da parte del gruppo Vangelis, perché il brano "Japanese Cowboy" assomigliava un po' troppo alla loro "Chariots of Fire". Tuttavia, le registrazioni risultano divertenti, l'album diventa un cult nella discografia dei Ween e contiene almeno una grande perla ("You Were The Fool"). Una curiosità: Freeman e Melchiondo si limitano a cantare, suonando la chitarra solo in "I Don't Wanna Leave You on the Farm" (assolo di Melchiondo) e "Fluffy" (assolo di Freeman). Questo album dimostra ancora una volta, comunque, che nonostante la giocosità nelle loro azioni (il divertimento di fare senza preavviso un album interamente country), i Ween prendono molto sul serio le loro azioni e si impegnano a fondo perché tale album risulti il migliore possibile. Lo stesso anno, lo portano in tour con alcuni dei musicisti presenti su album, a nome The Shit Creek Boys.
Al termine del breve, ma acclamato tour country (nel quale, comunque, vengono suonati anche i classici), i Ween riprendono a lavorare all'album acquatico di cui si accennava poco fa. Il disco, intitolato "The Mollusk", uscirà nel Giugno del 1997, prodotto ancora una volta da Andrew Weiss.
THE MOLLUSK
(Elektra, 1997)
Si tratta senza dubbio dell'album più raffinato dei Ween tra quelli prodotti fino ad ora. La passione per l'oceano e l'influenza che la vicinanza a esso ha avuto su di loro è palpabile e notevole. Sia Melchiondo che Freeman hanno spesso definito questo disco come il loro preferito e l'unico di cui siano pienamente soddisfatti. È senza dubbio l'album più costruito della discografia, fino a questo punto, e nemmeno i soliti brani sporchi o bizzarri ("Waving my Dick in the Wind", l'opener vaudevilliano "I'm Dancing in the Show Tonight" o l'affascinante canto di mare volgare "The Blarney Stone") riescono a intaccare l'atmosfera lirica e malinconica che permea il disco, grazie alle romantiche "The Mollusk", "It's Gonna Be (Alright)", "She Wanted to Leave" e "Mutilated Lips", all'intensa e inquieta "Buckingham Green" (probabilmente il capolavoro del disco), al ritmo minaccioso e inquietante di "The Golden Eel", alla sofferta e sincera reinterpretazione del canto folk popolare "The Unquiet Grave" (qua intitolato "Cold Blows The Wind"), ma anche all'orecchiabile e divertente "Ocean Man". Le sperimentazioni vengono quasi del tutto abbandonate (solo la produzione di "Ocean Man", rallentata di due toni per rendere il suono più "grasso" e bizzarro, un po' di pitch control in alcune parti vocali di "I'm Dancing in the Show Tonight" e "Mutilated Lips" e la strumentale "Pink Eye (On My Leg)"), e ci si concentra molto di più sulla costruzione dei brani, sulla produzione (la migliore in un album dei Ween fin'ora) e sulle melodie. Il risultato è senza dubbio un successo, e "The Mollusk" è uno degli album migliori del gruppo. Insieme a "Chocolate and Cheese" questo album potrebbe consistere in un'ottima introduzione per scoprire la musica dei Ween (in comune con quell'album ha anche il fatto di contenere molti classici che verranno riproposti nelle scalette dal vivo). È davvero questo lo stesso gruppo che ha prodotto classici del low-fidelty come "The Pod" e "Pure Guava"?
In questo periodo, i Ween formano il loro label (Chocodog), con l'intenzione di pubblicare qualche release speciale a prezzo abbordabile. A questo proposito viene preparato "Paintin' the Town Brown", un doppio live album che contiene performance che vanno dal 1990 al 1998, contenendo anche un paio di inediti e un paio di brani con gli Shit Creek Boys. Tuttavia, la casa discografica Elektra, non dà i permessi per pubblicare tale operazione sotto un altro label, e la fa uscire lei stessa nel Giugno del 1998, a prezzo normale. La reazione del gruppo a questo fatto sarà molto sobria...
CRATERS OF THE SAC
(distribuzione gratuita, 1999)
"Sul vostro desktop, in questo momento, possedete il peggior disco dei Ween di tutti i tempi. Si chiama "Craters of The Sac" ed è stato registrato tra il 1996 e il 1999. Trasferitelo su cassetta e ficcatevelo direttamente su per il culo". Con queste parole i Ween offrono gratuitamente in rete un album di 9 inediti, per ripicca contro le azioni scorrette della casa discografica Elektra. Che sia effettivamente il peggior disco dei Ween è discutibile: quello che è certo è che sicuramente molti di questi brani non sono finiti (e infatti, la cosa ci verrà confermata sei anni più tardi). Basti ascoltare i primi due brani di apertura ("All That's Gold Will Turn to Black" e "The Pawns of War"), melodicamente buoni, ma fin troppo brevi, poco più di un abbozzo. Per questo, come potete immaginare, l'album è molto low fidelty e suona quasi come un "Chocolate and Cheese" con le sonorità di "Pure Guava". Inoltre, probabilmente volutamente, è l'album con più profanità in assoluto: la copertina è un ingrandimento eccessivo di uno scroto (la sacca di cui si parla nel titolo), e guardando la scaletta troviamo titoli come "Put the Coke on My Dick" (notevole per essere cantata da Claude Coleman), "Big Fat Fuck" e "Suckin' Blood from the Devil's Dick". Tuttavia, l'album contiene comunque qualche perla: "Making Love in the Gravy" è un ottimo brano lounge blues e la quinta parte di "The Stallion" (ci siamo persi la quarta per strada...) è un rock solido e convincente. Inoltre, probabilmente, "Craters of the Sac" è stato il primo album di un gruppo famoso ad essere stato distribuito solo gratuitamente in rete ("Machina II" degli Smashing Pumpinks sarà rilasciato in questo modo solo l'anno successivo), e il che gli dà, se non altro, un po' di importanza storica.
Release gratuita a parte, la strada dei Ween si allontana sempre di più dal low-fidelty. Nell'album successivo, Coleman, Dreiwitz e McClelland vengono finalmente utilizzati in tutto il disco (prima, comunque, il più del lavoro in studio era eseguito dai due "fratelli"). La produzione dell'album (in preparazione da circa il 1998), è affidata a Christopher Shaw e al gruppo stesso. Il risultato uscirà nel Maggio del 2000, a nome "White Pepper", come omaggio ai Beatles ("White Album" e "Sgt. Pepper"), la cui influenza su questo album è sicuramente molto più alta del solito.
WHITE PEPPER
(Elektra, 2000)
Al momento della sua uscita, "White Pepper" fu causa di qualche sconcerto da parte dei fan. I testi erano più profondi, più complessi e meno volgari, la musica sempre più malinconica e il sound lontano mille miglia dal low-fidelty di "The Pod" e "Pure Guava". In effetti, in "Exactly Where I'm At", "Stay Forever","Flutes of the Chi", "Back to Basom", "She's Your Baby" e nella strumentale "Ice Castles" non c'è quasi nessun tipo di umorismo, solo un'atmosfera triste e sofferta, supportata da convincenti prove vocali e strumentali. Le melodie, comunque, sono solidissime, e questo è soltanto un'altra delle mille facce che il gruppo assume nei suoi album. Inoltre, sebbene si tratti di un album dall'atmosfera generalmente depressa, è pur sempre un disco dei Ween, e contiene alcuni tratti chiari della loro personalità Parliamoci chiaro: quale altro disco al mondo contiene un omaggio ai Motörhead ("Stroker Ace") e qualche traccia più tardi uno agli Steely Dan ("Pandy Fackler")? Vengono omaggiati, separatamente, anche John Lennon ("Falling Out", il cui testo riporta alla mente quelli Lennoniani più cinici e crudeli) e Paul McCartney ("Even if You Don't", con un videoclip diretto da Matt Stone e Trey Parker, i creatori di South Park). Completano l'album la dura "The Grobe" e la danzante "Bananas and Blow". Nonostante lo stupore dei fan all'uscita del disco, "White Pepper" è stato in seguito riconosciuto per l'ottimo album che è. In effetti, il fatto che sia un disco largamente melodico e triste, non può essere considerato un difetto a priori, soprattutto alla luce del fatto che le melodie sono eccellenti.
Nel 2001 cominciano le lavorazioni per il disco successivo, senza perdere troppo tempo, e comincia il distacco dalla casa discografica Elektra. Cominciano ad uscire le prime pubblicazioni per la già citata Chocodog, e si tratta dei due live "Live in Toronto Canada", registrato nel 1996 con gli Shit Creek Boys, e il triplo "Live at Stubb's", registrato nel 2000, e contentente anche alcuni inediti. Ma quando le cose sembrano andare per il meglio, ecco che arrivano alcune batoste. Il 7 Agosto del 2002, il batterista Claude Coleman rimane vittima di un incidente automobilistico quasi fatale che gli causa alcune settimane di coma, fratture all'addome, e ancora peggio, danni cerebrali. "Un camion ha sbattuto contro la mia macchina e mi ha catapultato attraverso la linea separatrice nella corsia successiva, dove sono stato schiacciato da due o tre macchine diverse" raccontò Coleman, due anni più tardi al giornalista David Weintraub del sito Jambase, "la macchina era un disastro di metallo e hanno dovuto tagliare la parte superiore per tirarmi fuori. È stato un calvario piuttosto violento e disgustoso. Per fortuna, non ho assolutamente memoria di tutto questo, e l'ultima cosa che mi ricordo è di aver mangiato una fetta di pizza tre ore prima di questo. Penso che sia una prova che c'è una sorta di Dio". "Ogni giorno era una tappa. Ero così messo male che non ero nemmeno depresso. Avevo troppo dolore e trauma per capire in qualsiasi modo cosa mi stesse succedendo" prosegue Coleman in un'altra intervista per il sito Stopsmilingonline "dal danno che ho avuto al cervello, ho continuamente freddo e insensibilità nella parte sinistra del mio corpo. Questo ha effetto sulla mia circolazione: quando c'è freddo, la parte sinistra è più fredda di qualche grado, quindi diventa gelata all'interno e fa molto male. Quando c'è caldo sudo e ansimo". Coleman, comunque, per fortuna, riesce a rassicurare tutti: "quando finalmente sono entrato in stato cosciente, la mia personalità generale è tornata a galla. Normalmente sono un tipo a cui piace intrattenere, e mi ricordo di essere stato molto gioviale con le persone che venivano a visitarmi. La mia camera era ricoperta di carte e palloncini da parte della mia famiglia, dei miei amici e dei miei fan. Ricordo di aver cercato di convincere lo staff ospedaliero che ero il cugino di Jay-Z, ma non mi hanno creduto. Tutto il gruppo mi è stato così vicino in quel periodo, e i fan sono stati incredibili". Infatti, il 7 e l'8 Ottobre 2002, i Ween fanno un concerto di beneficenza per Coleman, con Josh Freese alla batteria, per aiutarlo a rimettersi in sesto. Coleman presenzia, ma chiaramente non può suonare, anche se a fine anno si riprenderà alla grande e tornerà al suo posto dietro le pelli. Logicamente, comunque, non può partecipare alle registrazioni, e i Ween utilizzeranno il già citato Freese e altri turnisti. Oltre a tutto questo, Freeman sta affrontando il divorzio dalla sua moglie Sarah, da cui ha avuto una figlia, e entra in uno stato di depressione che lo porta a scrivere canzoni molto ponderate, e che, purtroppo, avrà altre conseguenze negli anni successivi. Il risultato uscirà nell'Agosto 2003, si intitolerà "Quebec", prodotto dal ritrovato Andrew Weiss (che suonerà anche sull'album), e sarà l'album più maturo dei Ween, cosa abbastanza ironica, visto che nel 2001 avevano dichiarato di voler registrare il disco più "marrone" dell'intera discografia.
QUEBEC
(Sanctuary, 2003)
Come già annunciato, il piano originale era di registrare un album "marrone" (ovvero, spaccone e immaturo) e di intitolarlo "Caesar", ma le cose non sono andate effettivamente così. La cosa divertente è che, parte dei demo registrati durante queste session (29 brani in tutto, con ben 13 inediti), sono stati rilasciati in rete da Melchiondo nel 2011, e dimostrano che, effettivamente, sono stati registrati molti brani demenziali, ma semplicemente non sono stati selezionati per l'album (a parte "The Fucked Jam" e "So Many People in the Neighborhood", che effettivamente, con dei suoni meno ricercati, non avrebbero sfigurato su "The Pod"). Comunque sia, "Quebec" risulta un disco meno triste di "White Pepper": le canzoni di Freeman, a parte la disperata "I Don't Want It", nuotano di più in un'aria di spiritualità ("Among His Tribe", "Tried and True") o di rassegnazione ("Zoloft", "If You Could Save Yourself (You'd Save Us All)", un brano che ha il pregio di riuscire ad essere maturo e serio pur contenendo l'immortale frase "I came in your mouth"). Tuttavia, nel brano "Chocolate Town", i Ween sembrano quasi fare il verso ai brani citati, alternando una melodia discretamente malinconica ad un testo chiaramente ironico, forse per non prendersi troppo sul serio. Questo brano, oltre alla già citata "So Many People in the Neighborhood", alla psichedelica "Happy Colored Marbles", all'orecchiabile e divertente "Ooh Vah Lah" (disponibile solo nell'edizione Giapponese e in quella i-tunes), all'opener "It's Gonna Be A Long Night" (secondo omaggio ai Motörhead, cantato da Melchiondo) e alla vaudevilliana "Hey There Fancypants" contribuiscono a alleggerire i toni del disco e a ricordarci che siamo pur sempre nel regno del Boognish. Sì, perché il resto del disco, sebbene non abbia altri brani che traggono la loro ispirazione dal divorzio di Freeman, comunque non sono per niente allegri e rassicuranti: "Alcan Road" e "Captain" sono, probabilmente, le cose più genuinamente inquietanti dell'intera discografia, "Transdermal Celebration" (con uno splendido videoclip) è un rock di cui i Foo Fighters sarebbero andati fieri, ed è un racconto di fantascienza per niente ironico in cui le persone vengono rapidamente trasformati in alberi, e, infine, la splendida "The Argus" è un sincero omaggio al rock epico pseudo medioevale dei primi anni 70. Questo album colpisce per la sua chiarezza e la sua versatilità: contiene l'eclettismo di "Chocolate and Cheese", l'anima di "The Mollusk" e la produzione di "White Pepper", riuscendo a superarli tutti e risultando, molto probabilmente, il disco migliore di tutta la discografia.
Con un ritrovato e di nuovo in forma Claude Coleman alla batteria, i Ween riprendono la loro attività dal vivo, e escono due nuovi live album, forse i più notevoli. Nel Novembre del 2003, edito dalla Chocodog, esce "All Requests Live": un live in studio la cui scaletta è stata interamente selezionata dai fan. Curiosa la selezione dei brani: uno a testa da "The Mollusk" e "White Pepper", due da "Pure Guava" e "Quebec", ben sei brani da "The Pod" (praticamente tutti superiori alla loro versione in studio, in particolar modo "Demon Sweat"), più alcune rarità e inediti. L'album è interessante anche perché contiene tutte e 5 le parti di "The Stallion" eseguite di fila (compresa la parte 4, precedentemente inedita) e "Where'd The Cheese Go?", un simpatico e rifiutato jingle pubblicitario per la catena Pizza Hut. Nel Maggio del 2004 esce, invece, "Live in Chicago", registrato durante il tour di Quebec e completo di DVD, essenziale per tutti i fan dei Ween, in quanto contiene una scaletta fenomenale e una performance molto più che eccellente (soprattutto i brani da "The Pod" e "Pure Guava" ci guadagnano in questa veste). Purtroppo, il destino è sempre in agguato, e nell'Ottobre 2004, con queste parole, il manager Greg Frey, annuncia sul sito ufficiale del gruppo la cancellazione del tour Americano dei Ween di fine anno: "C'è un problema all'interno del gruppo che richiede intervento immediato per la salute, il portafoglio e la sicurezza personale di uno dei suoi membri. Per questo componente del gruppo, anni di tour hanno preso il sopravvento. Questo è ovviamente molto triste, ma se non facciamo qualcosa adesso, le coseguenze potrebbero risultare ancora più gravi della cancellazione di queste date. Sappiamo che sarà duro per tutti accettarlo, ed è stata una decisione molto difficle per il gruppo, ma è necessario e importante. Per favore, scusateci, ma sappiate che questo non è stato fatto senza pensarci sopra: è una necessità ASSOLUTA". Tale membro del gruppo risulterà essere Aaron Freeman, che, probabilmente alla luce del recente divorzio, comincia ad abusare di sostanze lisergiche, ma soprattutto di alcool ed è costretto ad andare in terapia. Sebbene l'anno successivo i Ween si ripresentino sul palco senza troppi problemi, Freeman non riuscirà mai a staccarsi completamente dal suo vizio, e negli anni successivi, nonostante il suo comportamento e le sue performance sul palco siano impeccabili, il suo aspetto fisico lascia presagire che qualcosa non va: la sua corporatura comincia a fluttuare terribilmente (passa da grasso a scheletrico e da scheletrico a grasso nel giro di pochissimo tempo) e presto i suoi capelli diventano totalmente bianchi (nel momento in cui sto scrivendo questo articolo, nel 2012, Aaron Freeman ha solo 42 anni). Comunque sia, nel Luglio del 2005, esce "Shinola, Vol. 1", il decimo album in studio dei Ween, consistente in brani scartati o mai completati registrati nel corso della loro carriera e rifiniti solo quell'anno, ancora una volta sotto la produzione di Andrew Weiss.
SHINOLA, VOL. 1
(Chocodog, 2005)
La potenza dei Ween sta anche nel fatto di riuscire a produrre un album incredibilmente eccellente anche solo prendendo gli scarti o dei brani non rifiniti e completandoli e rifinendoli in epoca successiva. "Le canzoni su quel disco sono quelle che ci siamo pentiti di non avere pubblicato prima, non abbiamo dovuto cercarle in mezzo ai nastri per trovarle. Ci sono un sacco di cose che abbiamo lasciato fuori dai nostri album che sono meglio di quelle che abbiamo pubblicato" spiega Mickey Melchiondo in un'intervista per il sito Avclub. In effetti, è buffo che brani come la Floydiana "Did You See Me?", la funkeggiante "Monique The Freak" e l'ottimo rocker "Gabrielle", presto diventate patrimonio dei fan, non siano mai state incluse in un album in studio regolare. Probabilmente questo spiega anche il titolo, che deriva dal modo di dire Americano "You don't know shit from shinola", che in Italia si potrebbe adattare in "non sei capace di distinguere la merda dal risotto". Vengono recuperati e rifiniti anche tre brani da "Craters of The Sac": due vengono accorciati (la appena menzionata "Monique The Freak", un brano già eccellente nella sua prima versione, ma ulteriormente migliorato, e la stramba "Big Fat Fuck" che, accorciata di 4 minuti, acquista sicuramente fascino maggiore) e uno viene allungato ("How High Do You Fly?", bizzarra ballata dove Melchiondo offre un saggio della sua bravura, resa meno lamentosa in questa nuova veste). Altri brani di ottima fattura sono "Someday", una ballata sentimentale che potrebbe apparire quasi seria, se non fosse per i cori sguaiati e per l'epico verso "Sunday, Monday, Tuesday is pizza day", le rilassate "Transitions" e "I Fell in Love Today", la gay disco di "Boys Club" e l'ipnotica, velata critica religiosa di "Israel" (Freeman è di origini ebraiche), mentre brani come "Tastes Good on the Bun" e "Big Fat Fuck" ci riportano ai tempi di "The Pod". È necessario sottolineare ancora una volta, come questo album dei Ween, nonostante sia costituito da "scarti" (se vogliamo chiamarli così), non suona assolutamente inferiore agli altri nella discografia, e, come già detto da Melchiondo, alcuni dei brani inseriti in questo album sono superiori a quelli già pubblicati. Al giorno d'oggi, non è ancora uscito un volume 2. Nella stessa intervista già citata, Melchiondo afferma: "ho avuto emozioni contrastanti nel fare questo album. Non mi piace l'idea di fare qalcosa che suoni retroattivo o retrospettivo finché sto facendo comunque nuovi album. L'abbiamo chiamato Volume 1, ma non so se ho voglia di rifare la stessa cosa tanto presto", mentre nel 2012, intervistato dal sito Denver Westword, Freeman afferma che gli piacerebbe fare un secondo volume.
Nei due anni successivi, l'intensissima e acclamatissima attività dal vivo continua, e nell'Ottobre del 2007, esce "La Cucaracha", sempre sotto la produzione di Andrew Weiss. L'atmosfera, durante le registrazioni dell'album, a detta di Freeman e Melchiondo, è esattamente l'opposto di quella avvenuta per "Quebec" e l'album è generalmente a tema festivo. Purtroppo, come si sa, spesso i capolavori nascono dai momenti difficili di un artista e non da quelli facili...
LA CUCARACHA
(Rounder Records, 2007)
Per prima cosa, nonostante possa avervi fatto pensare questo con il mio commento precedente, questo disco non è brutto, ma è sicuramente un passo indietro rispetto agli album precedenti. Eppure, i motivi di orgoglio verso i Ween ci sono ancora: ottima produzione, varietà nell'album, eccellenti prove strumentali, persino un brano con special guest il famoso sassofonista David Sanborn. E non si può certo dire che manchino brani notevoli, primo tra tutti la lunga cavalcata di "Woman and Man", uno dei migliori pezzi del gruppo, grazie all'assolo in climax di Mickey Melchiondo e al riff epocale, ma anche "Your Party", nel quale il sassofono di Sanborn e la voce effettata di Freeman creano un'atmosfera sensuale e rilassata, le ottime "Blue Baloon", "Object" e "With my Own Bare Hands", brano violento liricamente, scritto da Melchiondo per la moglie. Eppure, nonostante tutto, manca qualcosa da questo album, che scorre tranquillo e piacevole, ma che non dà le dosi di adrenalina di quest'ultima fase dei Ween. Probabilmente, ascoltando il disco a digiuno dal resto della discografia appare come un album eccellente e variegato (cosa che effettivamente è), ma da un gruppo così intelligente ci si aspetta di più.
Da questo momento in poi, purtroppo, dopo un acclamato tour, non ci sono più buone notizie per quanto riguarda l'attività dei Ween.
Freeman, che sembrava essere tornato alla normalità, ricomincia ad avere comportamenti strani fino a quando, il 24 Gennaio del 2011, all'Elizabeth Theater di Vancouver, si presenta sul palco completamente ubriaco e incapace di suonare o di cantare, in una delle performance più tristi del gruppo (sul finale, i suoi compagni di gruppo, abbandoneranno il palco e lo lasceranno da solo a umiliarsi con una chitarra scordata). "Aaron è il mio migliore amico e mio fratello. È anche un alcolizzato, e questo fa soffrire molta gente. Non so cos'altro dire, se non che io ho avuto una serata peggiore della vostra" affermò Melchiondo, in risposta ad una e-mail di chi gli chiedeva cosa fosse successo quella sera sul palco. La sera successiva, a Seattle, il gruppo sembra tornato in grande forma e il resto del tour scorre tranquillo senza troppi problemi, fino alla data finale al Fillmore Auditorium a Denver, il 31 Dicembre 2011. Per i primi mesi del 2012, tutto sembra tornato alla tranquillità: Freeman è finalmente diventato sobrio e fa pure uscire il suo primo album solista (a nome Aaron Freeman e non Gene Ween), intitolato "Marvelous Clouds", tributo alla musica del cantautore Rod McKuen.
Mickey Melchiondo, invece, nel 2009 ottiene la licenza di capitano e finalmente realizza il suo sogno di navigare in oceano. Inizia infatti il suo secondo lavoro, offrendo giri in barca e, soprattutto, lunghe sedute di pesca nel New Jersey, puramente professionali (nel suo sito internet non cita nemmeno una volta i Ween o il fatto di essere Dean Ween), e la cosa lo assorbe a tal punto da tenerlo un po' più distaccato dalla musica (ma non impedendogli di andare in tour e di continuare a suonare).
Poi, il 29 Maggio 2012, in un'intervista alla rivista Rolling Stone, arriva la notizia shock da parte di Aaron Freeman: "metto in pensione Gene Ween, è ora di andare avanti. Sì, questo significa la fine dei Ween, per me è una porta chiusa. Nella vita, nell'universo ci sono porte che devi aprire e porte che devi chiudere". La notizia, già raggelante di suo, viene aumentata ancora di più dal fatto che Mickey Melchiondo, nella pagina Facebook dei Ween avrebbe commentato dicendo: "questa è una notizia nuova per me, è tutto ciò che ho da dire per ora". Nei mesi successivi, Freeman, tramite il suo sito Facebook, ha cercato di smorzare un po' i toni, dicendo che i suoi rapporti con il resto del gruppo non sono cambiati, e che lo scioglimento dei Ween non è da pensare come qualcosa di negativo. Tuttavia, un tweet, ora rimosso, del batterista Claude Coleman, esprimeva abbastanza sconcerto per la decisione repentina di Freeman di ritirarsi dai Ween a mezzo stampa. Le acque sono ancora piuttosto agitate, ma è chiaro che Freeman si trova in un periodo confuso e difficile della sua vita, ed è particolarmente complicato capire se i Ween si sono davvero sciolti o se è soltanto un'altra fase della carriera. Quello che è certo, è che sicuramente, visti gli eccessi degli ultimi anni, è molto meglio che il gruppo finisca, piuttosto che continui ad andare in tour e si debba fermare definitivamente a causa di un overdose da parte di Freeman.
Per chiudere questa lunga panoramica sul mondo del boognish, devo esprimere un certo rammarico sul fatto che un gruppo come questo non sia conosciuto di più, soprattutto in Italia. Ma, per usare le parole del critico George Starostin (un sostenitore del gruppo): "A volte mi chiedo sempre lo stesso sciocco pensiero: "perché questi tizi non sono popolari come i Beatles?'. Poi ovviamente, mi do sempre la solita sciocca risposta: 'perché i Beatles, quando si sono presentati al mondo l'hanno fatto dicendo 'Well she was just seventeen - you know what I mean', ma quando l'hanno fatto i Ween, tutto quello che questi stupidoni sono riusciti a dire è stato 'You fucked up! You bitch - you really fucked up!'. Di quali altri motivi avete bisogno?"
(Twin/Tone Records, 1990)
Il primo album completo dei Ween è già un pugno nello stomaco. Si tratta di un viaggio di 26 brani, tra alcuni registrati professionalmente in studio e altri registrati artigianalmente su un registratore a cassette 4-tracce. Nonostante l'artwork e i titoli di alcuni dei brani ("You Fucked Up", "Common Bitch", "Fat Lenny", "Let Me Lick Your Pussy") è chiaro che i Ween prendono più seriamente il loro lavoro di quanto sembri. La cosa che senza dubbio colpisce l'orecchio è l'eclettismo e la varietà presenti nel disco: sebbene possa essere catalogato principalmente come un disco rock, troviamo anche brani gospel ("Up on the Hill"), brani fintamente spagnoleggianti ("El Camino"), hard rock allo stato puro ("Tick", "Wayne's Pet Youngin", "Common Bitch"), lunghe divagazioni psichedeliche ("Nicole"), strampalate canzoni d'amore ("Don't Laugh (I Love You)", che contiene il verso "a Ernest Hemingway sarebbe importato di me, ma Ernest Hemingway adesso è morto" e un finale assolutamente terrorizzante), una bizzarra parodia disco/funk di fine anni 70 ("I'm in The Mood to Move") e persino un vero e proprio omaggio a Prince ("Let Me Lick Your Pussy"). Un'altra cosa notevole, a ulteriore dimostrazione di quanto i Ween abbiano messo molta cura nel produrre questo album, è la presenza di melodie memorabili: i brani sono tutti costruiti in maniera perfettamente funzionale e accattivante e riescono a terminare un po' prima di diventare prolissi e un po' dopo aver superato la barriera del troppo breve (a parte,"Nicole", volutamente tenuta eccessivamente lunga con l'aggiunta di sovraincisioni che mettono a dura prova la pazienza dell'ascoltatore). In questo album è presente anche la componente triste dei Ween (a sottolineare che, nonostante lo humour assurdo, non sono una comedy band) assente nelle prime cassette e che piano piano comincerà a prevalere sempre di più nelle produzioni del gruppo. In questo caso si parla del brano "Birthday Boy", una minimalista (e autobiografica) ballata dedicata a una separazione di coppia avvenuta male, dove non si nota un minimo cenno di umorismo e dove la voce di Freeman suona genuinamente disperata e spaventata. In definitiva si tratta di un ottimo lavoro, soprattutto alla luce del fatto che i "fratelli" Weener erano appena ventenni durante le registrazioni dell'album. Il disco è stato ripubblicato nel 2001 in una divertente "25th anniversary edition" ampliato di 3 brani, per un totale di 29 tracce.
Nel 1990, cambiano alcune cose per il duo: cambia il contratto di casa discografica (Shimmy Disc) e i due si trasferiscono in un appartamento dove cominciano a lavorare al loro secondo album, sempre prodotto da Weiss e con un minimo di aiuto da parte dell'amico Chris Williams, saltuariamente bassista del gruppo, soprannominato Mean Ween. Il risultato uscirà nel Settembre del 1991 e si intitolerà "The Pod".
THE POD
(Shimmy Disc, 1991)
Registrato interamente su un registratore 4-tracce, "The Pod" prende il nome dall'appartamento in cui il duo ha vissuto tra il 1990 e l'Ottobre del 1991, prima di essere sfrattato. A causa della qualità lo-fi del disco, dell'utilizzo del duo di droghe lisergiche e di alcuni problemi avvenuti durante le registrazioni (sia Freeman che Melchiondo soffrirono separatamente di casi di mononucleosi), "The Pod" risulta l'album più cupo e difficile dell'intera discografia. Il problema principale non sta nella registrazione low fidelty che, anzi, contribuisce a dare toni oscuri tutto sommato apprezzabili, nel fatto che la voce sia spesso e volentieri manipolata con il pitch control in modo da renderla troppo alta o troppo bassa, o nella eccessiva durata del disco (76 minuti), che sembra voler volontariamente testare la pazienza dell'ascoltatore (soprattutto nella parte centrale dell'album, dove brani sempre più inquietanti e disturbati si susseguono di continuo senza avere la minima intenzione di terminare questo flusso), quanto nel fatto che, nonostante le premesse, i brani di "The Pod" convincano presi singolarmente e non a livello organico. In particolare, la sezione appena citata dell'album (che comincia con la seconda parte di "Demon Sweat", la traccia numero 9, e termina con "She Fucks Me", la numero 21), è genuinamente inquietante, ma dopo un po' rischia di annoiare, probabilmente dovuto al fatto che mano a meno che si prosegue, i brani tendono a diventare quasi tutti uguali. Ad ogni modo, l'album contiene comunque qualche gemma, prima su tutte l'hard rock di "Captain Fantasy", la cui interpretazione vocale riporta un po' alla mente quella di Geddy Lee dei Rush. Degne di nota sono anche "Dr. Rock", che dal vivo diventerà un cavallo di battaglia, la Beatlesiana "Pork Roll, Egg and Cheese", "Mononucleosis" che riesce musicalmente a descrivere perfettamente lo stato d'animo febbrile della malattia, la fintamente epica "Right to the Ways and the Rules of the World" e "Demon Sweat", un brano che inizia delicato e malinconico e impazzisce nella seconda parte strumentale, resa atonale dai cambiamenti di velocità dello scorrimento su nastro. In questo album comincia anche la saga del personaggio "The Stallion", che entrerà a fare parte della mitologia dei Ween. In questo album troviamo le prime due parti della saga (in totale saranno 5), e sono indubbiamente tra le cose migliori del disco. In definitiva parliamo di un buon album, interessante dal punto di vista dell'atmosfera, buono (a volte eccellente) dal punto di vista melodico, ma che finisce per essere vittima di sé stesso nell'organico. Qualche curiosità sull'album: oltre ad avere un brano intitolato, il pork roll egg and cheese, un panino con formaggio, pancetta e uova fritte su un kaiser bun, viene nominato ossessivamente durante quattro brani ("Frank", "Awesome Sound", "She Fucks Me" e ovviamente "Pork Roll, Egg and Cheese"), probabilmente una battuta rincorrente che a noi ascoltatori non è dato di capire, la copertina del disco è un fotomontaggio della testa di Mean Ween sulla faccia di Leonard Cohen dalla copertina di "The Best of Leonard Cohen" e sul retro del disco, c'è scritto che i fratelli Ween hanno registrato il disco mentre inalavano della colla (più avanti sia Freeman che Melchiondo hanno affermato che si trattava solo di una battuta).
Nel 1991, finalmente, i Ween riescono ad ottenere un contratto stabile con una casa discografica, l'Elektra e cominciano ad avere un po' di più di visibilità. Alcuni fan cominciano a preoccuparsi per questo, temendo che il gruppo possa cominciare a svendersi. Tali fan, però, tireranno ben presto un sospiro di sollievo...
PURE GUAVA
(Elektra, 1992)
Forse per testare la casa discografica, forse per fretta di pubblicare un nuovo album, i Ween usano ancora una volta il sistema artigianale 4-tracce per registrare questo disco, "Pure Guava". Sebbene sia un disco difficile da digerire a primo impatto, risulta comunque un album molto differente da "The Pod" per diversi motivi: nonostante siano entrambi due album allucinati, il primo è cupo e tormentato, ma "Pure Guava" è senza dubbio più allegro e solare (si mettano a confronto le prime due parti di "The Stallion" su "The Pod" con la terza su "Pure Guava"). Inoltre, i Ween cominciano di nuovo a sperimentare tra i vari generi e il che rende il disco meno monotono del precedente e quindi meno piacevole ad un primo impatto, ma senza dubbio più notevole a lungo termine. Questo disco contiene il singolo più conosciuto dei Ween, "Push Th' Little Daisies", una bizzarra parodia alle boy band dell'epoca, con la voce di Freeman velocizzata e sguaiata. Non è ben chiaro il perché della popolarità di tale singolo, forse per il passaggio del videoclip sulla trasmissione Beavis & Butthead (per usare le parole di Butthead: "these guys have no future"). Le stranezze non si fermano qua: brani come "Little Birdy", "Flies on My Dick", "Touch my Tooter", "I Play it Off Legit" e "Poopship Destroyer" non possono essere definiti in alcun modo. Si tratta di frammenti curiosi, con un senso, ma apparentemente random e confusi. Per non parlare di "Mouring Glory", l'interrogativo più grande che sia mai apparso in un album dei Ween: 5 minuti di base saturata a tal punto da essere completamente incomprensibile sulla quale viene narrato un racconto di un'invasione aliena di zucche (?), o di "Reggaejunkiejew" (il brano non è antisemita: è riferito ad una persona in particolare, e come se non bastasse Freeman è di origini ebraiche), un brano che dal vivo è un tirato funky sul quale Melchiondo si può sfogare, e che in studio sembra musica uscita da una segreteria telefonica (a proposito: verso il finale c'è un atonale assolo di... fax!). L'album non è del tutto ostico, comunque: "Don't Get Too Close To My Fantasy" (con uno splendido finale a capella) è uno dei brani più melodici dell'intera discografia, "Springtheme" è spensierata e allegra, "Hey Fat Boy (Asshole)" e "Big Jilm" sono piuttosto accativanti, nonostante la produzione volutamente repellente, e con "Sarah" (dedicata alla stessa ragazza a cui è stata dedicata "Birthday Boy") torna il lato malinconico dei Ween. In definitiva, "Pure Guava" è senza dubbio un disco molto difficile. Lo stesso Melchiondo, in un'intervista rilasciata al sito Nashville Scene, ebbe a dire: "È buffo: ogni tanto conosco qualche persona nuova, e quando scoprono che suono in un gruppo, vanno sempre a comprarsi "The Pod" o "Pure Guava" e ne sono completamente terrorizzati. Non riesco a immaginare che immagine si facciano di me nella loro mente. Qualcosa del tipo "Oddio, questo tizio va in giro per gli stati e fa questa roba? Chi cazzo ascolterebbe una cosa del genere?". Arrivano sempre e mi dicono "Ho ascoltato della tua musica". Io domando loro cos'hanno ascoltato e loro rispondono "Pure Guava". A quel punto gli dico di andare ad ascoltarsi qualcos'altro perché quella roba è troppo rumorosa. Non fraintendetemi: adoro quegli album, non li sto rinnegando. Sto solo cercando di entrare nell'ottica di un ascoltatore tradizionale!". Comunque sia, "Pure Guava" è un album che dopo ripetuti ascolti (perdonatemi l'orrendo gioco di parole) dà i suoi frutti. Entrare nell'ottica del disco è particolarmente difficile, ma una volta capito il meccanismo, ci si trova di fronte ad un lavoro eseguito perfettamente e con senso, e il fatto che quest'ultimo sia apparentemente assente, lo rende un album ancora più affascinante.
Probabilmente a causa del successo (casuale) ottenuto dal singolo "Push Th' Little Daisies", i Ween cominciano a rendersi conto sul serio del loro potenziale e decidono di raffinare un po' di più la loro musica, senza cercare di perdere il loro spirito. I divertissment stonati e strani spariscono quasi completamente, così come viene abbandonato il 4-tracce e ci si concentra molto di più sulla produzione della musica. Il risultato si intitolerà "Chocolate and Cheese", uscirà nel Settembre del 1994 e sarà prodotto ancora una volta da Andrew Weiss.
CHOCOLATE AND CHEESE
(Elektra, 1994)
Il cambio di direzione per il quarto album è notevole ed è impressionante la facilità con cui si è arrivati a questo. La cosa, però, è stata fatta non senza alcune perplessità: nella stessa intervista citata sopra, parlando di questo album, Melchiondo afferma che "quando è uscito ero veramente spaventato, perché era un album più prodotto rispetto a quelli su 4-tracce. All'epoca pensavo che fosse il peggior disco del mondo e che stessimo per perdere tutti i fan. Pensavo che tutti i fan avrebbero odiato questo disco perché era più raffinato rispetto agli altri". Per fortuna, i suoi timori si sono dimostrati insensati, perché "Chocolate and Cheese" è tutt'ora giudicato da molti fan e da molti critici come il miglior lavoro dei Ween, e praticamente ogni canzone dell'album è diventata un classico nelle scalette del gruppo. È, inoltre, senza dubbio il lavoro più eclettico dell'intera discografia: i 16 brani contenuti nell'album sono di 16 generi diversi. Inoltre, le melodie sono più ricercate, e l'album appare come un lavoro veramente maturo e eccellentemente costruito. Come già affermato prima, i classici in questo album sono molteplici: il blues di "Take Me Away", il funky di "Voodoo Lady", il soul di "Freedom of 76", la brillantemente terrorizzante "Spinal Meningitis (Got Me Down)", le allegre e spensierate "Roses are Free" (resa celebre da una cover dei Phish) e "The HIV Song" e il racconto far west di "Buenas Tardes Amigo", e persino il brano che più si avvicina ai due lavori precedenti ("Candi") è comunque più melodico. Da un lato si sviluppa il lato oscuro dei Ween, con la già citata "Spinal Meningitis (Got Me Down)", un racconto in prima persona di un bambino che sta per morire di meningite, senza un filo di humour o di eccessiva compassione verso di lui (un po' come un fatto di cronaca obbiettiva) e con "Mister, Would You Please Help My Pony?", un racconto di un trauma infantile su una base incredibilmente allegra e cretina, dall'altro continuano gli episodi di tristezza con "A Tear for Eddie", strumentale dedicato a Eddie Hazel, chitarrista dei Funkadelic, e con la Lennoniana "Baby Bitch", sempre per la "Sarah" di "Birthday Boy", che, nonostante il titolo, ha uno dei testi più profondi e rabbiosi dell'intera discografia. Altri brani degni di nota sono l'accattivante "What Deaner Was Talking About" e l'intelligentemente costruita "I Can't Put My Finger on It", che alterna a una strofa incredibilmente aggressiva, un dolce e sognante ritornello strumentale, tirando nel calderone anche alcuni elementi di musica araba nel finale. "Chocolate & Cheese" è senza dubbio uno dei lavori migliori del gruppo e si è giustamente guadagnato un posto speciale nel cuore dei fan e del gruppo, e brani come "Take Me Away", "Voodoo Lady" e "Spinal Meningitis (Got Me Down)" diventeranno stabili nelle scalette di ogni tour.
Visto il riuscito tentativo di raffinare il sound, i Ween decidono di diventare un gruppo vero e proprio, aggiungendo all'organico l'ottimo batterista Claude Coleman Jr, Glenn McClelland (già con i Blood Sweat and Tears) alle tastiere e Dave Dreiwitz al basso (anche se per un certo periodo e saltuariamente sarà Weiss il bassista). Durante i due anni successivi si intensifica il lavoro live del gruppo, adesso una band vera e propria e non più due polistrumentisti accompagnati da un registratore, e le lavorazioni all'album successivo. Per il successivo album, le lavorazioni cominciano in una casa nella costa di Holgate, nel New Jersey. L'idea è di creare un album a tema acquatico (sia Gene che Dean Ween sono sempre stati affascinati dall'oceano). Purtroppo, una sera, mentre la casa era disabitata, un tubo dell'acqua esplode, danneggiando alcuni dei nastri e dell'equipaggiamento, e costringendo il gruppo a rilavorare su alcune parti. L'album viene messo temporaneamente in pausa e, quasi per scherzo, i Ween cominciano a comporre canzoni country. Tuttavia, le canzoni composte erano melodicamente buone, così decidono di scomodare alcuni dei grandi nomi del genere (tra cui Charlie McCoy, Buddy Spicher, Bobby Ogdin e The Jordanaires) per trasformarli in un album vero e proprio.
12 GOLDEN COUNTRY GREATS
(Elektra, 1996)
La prima cosa notabile di questo album è che, nonostante il titolo, i brani sono solo 10. "Si chiama così per via del numero dei musicisti che ci suona sopra, i session-man da Nashville" spiega Aaron Freeman in un'intervista dell'epoca "non per il numero delle tracce". Questo album è interessante per il fatto che è un disco puramente e genuinamente country (anche se, comunque, "Help Me Scrape The Mucus Off My Brain", "Piss Up a Rope" e "Fluffy" avrebbero potuto essere senza problemi su qualsiasi altro album dei Ween), perché vi sono molte leggende della musica country e perché è il primo album nel quale sono sorti problemi di diverso tipo. Ben Vaughn, il produttore del disco, in un'intervista per il sito Taste of Country, racconta del fatto che, nonostante fossero dei professionisti, alcuni musicisti si sono rifiutati di suonare alcune parti per la troppa vergogna per il contenuto dei testi (un brano saliente è il racconto gay di "Mister Richard Smoker"), per il fatto che i legali di Muhammad Ali hanno vietato l'inclusione di un sample in "Powder Blue" troncandolo bruscamente (anche se alcune copie sono sopravvissute senza il taglio) e per una causa legale da parte del gruppo Vangelis, perché il brano "Japanese Cowboy" assomigliava un po' troppo alla loro "Chariots of Fire". Tuttavia, le registrazioni risultano divertenti, l'album diventa un cult nella discografia dei Ween e contiene almeno una grande perla ("You Were The Fool"). Una curiosità: Freeman e Melchiondo si limitano a cantare, suonando la chitarra solo in "I Don't Wanna Leave You on the Farm" (assolo di Melchiondo) e "Fluffy" (assolo di Freeman). Questo album dimostra ancora una volta, comunque, che nonostante la giocosità nelle loro azioni (il divertimento di fare senza preavviso un album interamente country), i Ween prendono molto sul serio le loro azioni e si impegnano a fondo perché tale album risulti il migliore possibile. Lo stesso anno, lo portano in tour con alcuni dei musicisti presenti su album, a nome The Shit Creek Boys.
Al termine del breve, ma acclamato tour country (nel quale, comunque, vengono suonati anche i classici), i Ween riprendono a lavorare all'album acquatico di cui si accennava poco fa. Il disco, intitolato "The Mollusk", uscirà nel Giugno del 1997, prodotto ancora una volta da Andrew Weiss.
THE MOLLUSK
(Elektra, 1997)
Si tratta senza dubbio dell'album più raffinato dei Ween tra quelli prodotti fino ad ora. La passione per l'oceano e l'influenza che la vicinanza a esso ha avuto su di loro è palpabile e notevole. Sia Melchiondo che Freeman hanno spesso definito questo disco come il loro preferito e l'unico di cui siano pienamente soddisfatti. È senza dubbio l'album più costruito della discografia, fino a questo punto, e nemmeno i soliti brani sporchi o bizzarri ("Waving my Dick in the Wind", l'opener vaudevilliano "I'm Dancing in the Show Tonight" o l'affascinante canto di mare volgare "The Blarney Stone") riescono a intaccare l'atmosfera lirica e malinconica che permea il disco, grazie alle romantiche "The Mollusk", "It's Gonna Be (Alright)", "She Wanted to Leave" e "Mutilated Lips", all'intensa e inquieta "Buckingham Green" (probabilmente il capolavoro del disco), al ritmo minaccioso e inquietante di "The Golden Eel", alla sofferta e sincera reinterpretazione del canto folk popolare "The Unquiet Grave" (qua intitolato "Cold Blows The Wind"), ma anche all'orecchiabile e divertente "Ocean Man". Le sperimentazioni vengono quasi del tutto abbandonate (solo la produzione di "Ocean Man", rallentata di due toni per rendere il suono più "grasso" e bizzarro, un po' di pitch control in alcune parti vocali di "I'm Dancing in the Show Tonight" e "Mutilated Lips" e la strumentale "Pink Eye (On My Leg)"), e ci si concentra molto di più sulla costruzione dei brani, sulla produzione (la migliore in un album dei Ween fin'ora) e sulle melodie. Il risultato è senza dubbio un successo, e "The Mollusk" è uno degli album migliori del gruppo. Insieme a "Chocolate and Cheese" questo album potrebbe consistere in un'ottima introduzione per scoprire la musica dei Ween (in comune con quell'album ha anche il fatto di contenere molti classici che verranno riproposti nelle scalette dal vivo). È davvero questo lo stesso gruppo che ha prodotto classici del low-fidelty come "The Pod" e "Pure Guava"?
In questo periodo, i Ween formano il loro label (Chocodog), con l'intenzione di pubblicare qualche release speciale a prezzo abbordabile. A questo proposito viene preparato "Paintin' the Town Brown", un doppio live album che contiene performance che vanno dal 1990 al 1998, contenendo anche un paio di inediti e un paio di brani con gli Shit Creek Boys. Tuttavia, la casa discografica Elektra, non dà i permessi per pubblicare tale operazione sotto un altro label, e la fa uscire lei stessa nel Giugno del 1998, a prezzo normale. La reazione del gruppo a questo fatto sarà molto sobria...
CRATERS OF THE SAC
(distribuzione gratuita, 1999)
"Sul vostro desktop, in questo momento, possedete il peggior disco dei Ween di tutti i tempi. Si chiama "Craters of The Sac" ed è stato registrato tra il 1996 e il 1999. Trasferitelo su cassetta e ficcatevelo direttamente su per il culo". Con queste parole i Ween offrono gratuitamente in rete un album di 9 inediti, per ripicca contro le azioni scorrette della casa discografica Elektra. Che sia effettivamente il peggior disco dei Ween è discutibile: quello che è certo è che sicuramente molti di questi brani non sono finiti (e infatti, la cosa ci verrà confermata sei anni più tardi). Basti ascoltare i primi due brani di apertura ("All That's Gold Will Turn to Black" e "The Pawns of War"), melodicamente buoni, ma fin troppo brevi, poco più di un abbozzo. Per questo, come potete immaginare, l'album è molto low fidelty e suona quasi come un "Chocolate and Cheese" con le sonorità di "Pure Guava". Inoltre, probabilmente volutamente, è l'album con più profanità in assoluto: la copertina è un ingrandimento eccessivo di uno scroto (la sacca di cui si parla nel titolo), e guardando la scaletta troviamo titoli come "Put the Coke on My Dick" (notevole per essere cantata da Claude Coleman), "Big Fat Fuck" e "Suckin' Blood from the Devil's Dick". Tuttavia, l'album contiene comunque qualche perla: "Making Love in the Gravy" è un ottimo brano lounge blues e la quinta parte di "The Stallion" (ci siamo persi la quarta per strada...) è un rock solido e convincente. Inoltre, probabilmente, "Craters of the Sac" è stato il primo album di un gruppo famoso ad essere stato distribuito solo gratuitamente in rete ("Machina II" degli Smashing Pumpinks sarà rilasciato in questo modo solo l'anno successivo), e il che gli dà, se non altro, un po' di importanza storica.
Release gratuita a parte, la strada dei Ween si allontana sempre di più dal low-fidelty. Nell'album successivo, Coleman, Dreiwitz e McClelland vengono finalmente utilizzati in tutto il disco (prima, comunque, il più del lavoro in studio era eseguito dai due "fratelli"). La produzione dell'album (in preparazione da circa il 1998), è affidata a Christopher Shaw e al gruppo stesso. Il risultato uscirà nel Maggio del 2000, a nome "White Pepper", come omaggio ai Beatles ("White Album" e "Sgt. Pepper"), la cui influenza su questo album è sicuramente molto più alta del solito.
WHITE PEPPER
(Elektra, 2000)
Al momento della sua uscita, "White Pepper" fu causa di qualche sconcerto da parte dei fan. I testi erano più profondi, più complessi e meno volgari, la musica sempre più malinconica e il sound lontano mille miglia dal low-fidelty di "The Pod" e "Pure Guava". In effetti, in "Exactly Where I'm At", "Stay Forever","Flutes of the Chi", "Back to Basom", "She's Your Baby" e nella strumentale "Ice Castles" non c'è quasi nessun tipo di umorismo, solo un'atmosfera triste e sofferta, supportata da convincenti prove vocali e strumentali. Le melodie, comunque, sono solidissime, e questo è soltanto un'altra delle mille facce che il gruppo assume nei suoi album. Inoltre, sebbene si tratti di un album dall'atmosfera generalmente depressa, è pur sempre un disco dei Ween, e contiene alcuni tratti chiari della loro personalità Parliamoci chiaro: quale altro disco al mondo contiene un omaggio ai Motörhead ("Stroker Ace") e qualche traccia più tardi uno agli Steely Dan ("Pandy Fackler")? Vengono omaggiati, separatamente, anche John Lennon ("Falling Out", il cui testo riporta alla mente quelli Lennoniani più cinici e crudeli) e Paul McCartney ("Even if You Don't", con un videoclip diretto da Matt Stone e Trey Parker, i creatori di South Park). Completano l'album la dura "The Grobe" e la danzante "Bananas and Blow". Nonostante lo stupore dei fan all'uscita del disco, "White Pepper" è stato in seguito riconosciuto per l'ottimo album che è. In effetti, il fatto che sia un disco largamente melodico e triste, non può essere considerato un difetto a priori, soprattutto alla luce del fatto che le melodie sono eccellenti.
Nel 2001 cominciano le lavorazioni per il disco successivo, senza perdere troppo tempo, e comincia il distacco dalla casa discografica Elektra. Cominciano ad uscire le prime pubblicazioni per la già citata Chocodog, e si tratta dei due live "Live in Toronto Canada", registrato nel 1996 con gli Shit Creek Boys, e il triplo "Live at Stubb's", registrato nel 2000, e contentente anche alcuni inediti. Ma quando le cose sembrano andare per il meglio, ecco che arrivano alcune batoste. Il 7 Agosto del 2002, il batterista Claude Coleman rimane vittima di un incidente automobilistico quasi fatale che gli causa alcune settimane di coma, fratture all'addome, e ancora peggio, danni cerebrali. "Un camion ha sbattuto contro la mia macchina e mi ha catapultato attraverso la linea separatrice nella corsia successiva, dove sono stato schiacciato da due o tre macchine diverse" raccontò Coleman, due anni più tardi al giornalista David Weintraub del sito Jambase, "la macchina era un disastro di metallo e hanno dovuto tagliare la parte superiore per tirarmi fuori. È stato un calvario piuttosto violento e disgustoso. Per fortuna, non ho assolutamente memoria di tutto questo, e l'ultima cosa che mi ricordo è di aver mangiato una fetta di pizza tre ore prima di questo. Penso che sia una prova che c'è una sorta di Dio". "Ogni giorno era una tappa. Ero così messo male che non ero nemmeno depresso. Avevo troppo dolore e trauma per capire in qualsiasi modo cosa mi stesse succedendo" prosegue Coleman in un'altra intervista per il sito Stopsmilingonline "dal danno che ho avuto al cervello, ho continuamente freddo e insensibilità nella parte sinistra del mio corpo. Questo ha effetto sulla mia circolazione: quando c'è freddo, la parte sinistra è più fredda di qualche grado, quindi diventa gelata all'interno e fa molto male. Quando c'è caldo sudo e ansimo". Coleman, comunque, per fortuna, riesce a rassicurare tutti: "quando finalmente sono entrato in stato cosciente, la mia personalità generale è tornata a galla. Normalmente sono un tipo a cui piace intrattenere, e mi ricordo di essere stato molto gioviale con le persone che venivano a visitarmi. La mia camera era ricoperta di carte e palloncini da parte della mia famiglia, dei miei amici e dei miei fan. Ricordo di aver cercato di convincere lo staff ospedaliero che ero il cugino di Jay-Z, ma non mi hanno creduto. Tutto il gruppo mi è stato così vicino in quel periodo, e i fan sono stati incredibili". Infatti, il 7 e l'8 Ottobre 2002, i Ween fanno un concerto di beneficenza per Coleman, con Josh Freese alla batteria, per aiutarlo a rimettersi in sesto. Coleman presenzia, ma chiaramente non può suonare, anche se a fine anno si riprenderà alla grande e tornerà al suo posto dietro le pelli. Logicamente, comunque, non può partecipare alle registrazioni, e i Ween utilizzeranno il già citato Freese e altri turnisti. Oltre a tutto questo, Freeman sta affrontando il divorzio dalla sua moglie Sarah, da cui ha avuto una figlia, e entra in uno stato di depressione che lo porta a scrivere canzoni molto ponderate, e che, purtroppo, avrà altre conseguenze negli anni successivi. Il risultato uscirà nell'Agosto 2003, si intitolerà "Quebec", prodotto dal ritrovato Andrew Weiss (che suonerà anche sull'album), e sarà l'album più maturo dei Ween, cosa abbastanza ironica, visto che nel 2001 avevano dichiarato di voler registrare il disco più "marrone" dell'intera discografia.
QUEBEC
(Sanctuary, 2003)
Come già annunciato, il piano originale era di registrare un album "marrone" (ovvero, spaccone e immaturo) e di intitolarlo "Caesar", ma le cose non sono andate effettivamente così. La cosa divertente è che, parte dei demo registrati durante queste session (29 brani in tutto, con ben 13 inediti), sono stati rilasciati in rete da Melchiondo nel 2011, e dimostrano che, effettivamente, sono stati registrati molti brani demenziali, ma semplicemente non sono stati selezionati per l'album (a parte "The Fucked Jam" e "So Many People in the Neighborhood", che effettivamente, con dei suoni meno ricercati, non avrebbero sfigurato su "The Pod"). Comunque sia, "Quebec" risulta un disco meno triste di "White Pepper": le canzoni di Freeman, a parte la disperata "I Don't Want It", nuotano di più in un'aria di spiritualità ("Among His Tribe", "Tried and True") o di rassegnazione ("Zoloft", "If You Could Save Yourself (You'd Save Us All)", un brano che ha il pregio di riuscire ad essere maturo e serio pur contenendo l'immortale frase "I came in your mouth"). Tuttavia, nel brano "Chocolate Town", i Ween sembrano quasi fare il verso ai brani citati, alternando una melodia discretamente malinconica ad un testo chiaramente ironico, forse per non prendersi troppo sul serio. Questo brano, oltre alla già citata "So Many People in the Neighborhood", alla psichedelica "Happy Colored Marbles", all'orecchiabile e divertente "Ooh Vah Lah" (disponibile solo nell'edizione Giapponese e in quella i-tunes), all'opener "It's Gonna Be A Long Night" (secondo omaggio ai Motörhead, cantato da Melchiondo) e alla vaudevilliana "Hey There Fancypants" contribuiscono a alleggerire i toni del disco e a ricordarci che siamo pur sempre nel regno del Boognish. Sì, perché il resto del disco, sebbene non abbia altri brani che traggono la loro ispirazione dal divorzio di Freeman, comunque non sono per niente allegri e rassicuranti: "Alcan Road" e "Captain" sono, probabilmente, le cose più genuinamente inquietanti dell'intera discografia, "Transdermal Celebration" (con uno splendido videoclip) è un rock di cui i Foo Fighters sarebbero andati fieri, ed è un racconto di fantascienza per niente ironico in cui le persone vengono rapidamente trasformati in alberi, e, infine, la splendida "The Argus" è un sincero omaggio al rock epico pseudo medioevale dei primi anni 70. Questo album colpisce per la sua chiarezza e la sua versatilità: contiene l'eclettismo di "Chocolate and Cheese", l'anima di "The Mollusk" e la produzione di "White Pepper", riuscendo a superarli tutti e risultando, molto probabilmente, il disco migliore di tutta la discografia.
Con un ritrovato e di nuovo in forma Claude Coleman alla batteria, i Ween riprendono la loro attività dal vivo, e escono due nuovi live album, forse i più notevoli. Nel Novembre del 2003, edito dalla Chocodog, esce "All Requests Live": un live in studio la cui scaletta è stata interamente selezionata dai fan. Curiosa la selezione dei brani: uno a testa da "The Mollusk" e "White Pepper", due da "Pure Guava" e "Quebec", ben sei brani da "The Pod" (praticamente tutti superiori alla loro versione in studio, in particolar modo "Demon Sweat"), più alcune rarità e inediti. L'album è interessante anche perché contiene tutte e 5 le parti di "The Stallion" eseguite di fila (compresa la parte 4, precedentemente inedita) e "Where'd The Cheese Go?", un simpatico e rifiutato jingle pubblicitario per la catena Pizza Hut. Nel Maggio del 2004 esce, invece, "Live in Chicago", registrato durante il tour di Quebec e completo di DVD, essenziale per tutti i fan dei Ween, in quanto contiene una scaletta fenomenale e una performance molto più che eccellente (soprattutto i brani da "The Pod" e "Pure Guava" ci guadagnano in questa veste). Purtroppo, il destino è sempre in agguato, e nell'Ottobre 2004, con queste parole, il manager Greg Frey, annuncia sul sito ufficiale del gruppo la cancellazione del tour Americano dei Ween di fine anno: "C'è un problema all'interno del gruppo che richiede intervento immediato per la salute, il portafoglio e la sicurezza personale di uno dei suoi membri. Per questo componente del gruppo, anni di tour hanno preso il sopravvento. Questo è ovviamente molto triste, ma se non facciamo qualcosa adesso, le coseguenze potrebbero risultare ancora più gravi della cancellazione di queste date. Sappiamo che sarà duro per tutti accettarlo, ed è stata una decisione molto difficle per il gruppo, ma è necessario e importante. Per favore, scusateci, ma sappiate che questo non è stato fatto senza pensarci sopra: è una necessità ASSOLUTA". Tale membro del gruppo risulterà essere Aaron Freeman, che, probabilmente alla luce del recente divorzio, comincia ad abusare di sostanze lisergiche, ma soprattutto di alcool ed è costretto ad andare in terapia. Sebbene l'anno successivo i Ween si ripresentino sul palco senza troppi problemi, Freeman non riuscirà mai a staccarsi completamente dal suo vizio, e negli anni successivi, nonostante il suo comportamento e le sue performance sul palco siano impeccabili, il suo aspetto fisico lascia presagire che qualcosa non va: la sua corporatura comincia a fluttuare terribilmente (passa da grasso a scheletrico e da scheletrico a grasso nel giro di pochissimo tempo) e presto i suoi capelli diventano totalmente bianchi (nel momento in cui sto scrivendo questo articolo, nel 2012, Aaron Freeman ha solo 42 anni). Comunque sia, nel Luglio del 2005, esce "Shinola, Vol. 1", il decimo album in studio dei Ween, consistente in brani scartati o mai completati registrati nel corso della loro carriera e rifiniti solo quell'anno, ancora una volta sotto la produzione di Andrew Weiss.
SHINOLA, VOL. 1
(Chocodog, 2005)
La potenza dei Ween sta anche nel fatto di riuscire a produrre un album incredibilmente eccellente anche solo prendendo gli scarti o dei brani non rifiniti e completandoli e rifinendoli in epoca successiva. "Le canzoni su quel disco sono quelle che ci siamo pentiti di non avere pubblicato prima, non abbiamo dovuto cercarle in mezzo ai nastri per trovarle. Ci sono un sacco di cose che abbiamo lasciato fuori dai nostri album che sono meglio di quelle che abbiamo pubblicato" spiega Mickey Melchiondo in un'intervista per il sito Avclub. In effetti, è buffo che brani come la Floydiana "Did You See Me?", la funkeggiante "Monique The Freak" e l'ottimo rocker "Gabrielle", presto diventate patrimonio dei fan, non siano mai state incluse in un album in studio regolare. Probabilmente questo spiega anche il titolo, che deriva dal modo di dire Americano "You don't know shit from shinola", che in Italia si potrebbe adattare in "non sei capace di distinguere la merda dal risotto". Vengono recuperati e rifiniti anche tre brani da "Craters of The Sac": due vengono accorciati (la appena menzionata "Monique The Freak", un brano già eccellente nella sua prima versione, ma ulteriormente migliorato, e la stramba "Big Fat Fuck" che, accorciata di 4 minuti, acquista sicuramente fascino maggiore) e uno viene allungato ("How High Do You Fly?", bizzarra ballata dove Melchiondo offre un saggio della sua bravura, resa meno lamentosa in questa nuova veste). Altri brani di ottima fattura sono "Someday", una ballata sentimentale che potrebbe apparire quasi seria, se non fosse per i cori sguaiati e per l'epico verso "Sunday, Monday, Tuesday is pizza day", le rilassate "Transitions" e "I Fell in Love Today", la gay disco di "Boys Club" e l'ipnotica, velata critica religiosa di "Israel" (Freeman è di origini ebraiche), mentre brani come "Tastes Good on the Bun" e "Big Fat Fuck" ci riportano ai tempi di "The Pod". È necessario sottolineare ancora una volta, come questo album dei Ween, nonostante sia costituito da "scarti" (se vogliamo chiamarli così), non suona assolutamente inferiore agli altri nella discografia, e, come già detto da Melchiondo, alcuni dei brani inseriti in questo album sono superiori a quelli già pubblicati. Al giorno d'oggi, non è ancora uscito un volume 2. Nella stessa intervista già citata, Melchiondo afferma: "ho avuto emozioni contrastanti nel fare questo album. Non mi piace l'idea di fare qalcosa che suoni retroattivo o retrospettivo finché sto facendo comunque nuovi album. L'abbiamo chiamato Volume 1, ma non so se ho voglia di rifare la stessa cosa tanto presto", mentre nel 2012, intervistato dal sito Denver Westword, Freeman afferma che gli piacerebbe fare un secondo volume.
Nei due anni successivi, l'intensissima e acclamatissima attività dal vivo continua, e nell'Ottobre del 2007, esce "La Cucaracha", sempre sotto la produzione di Andrew Weiss. L'atmosfera, durante le registrazioni dell'album, a detta di Freeman e Melchiondo, è esattamente l'opposto di quella avvenuta per "Quebec" e l'album è generalmente a tema festivo. Purtroppo, come si sa, spesso i capolavori nascono dai momenti difficili di un artista e non da quelli facili...
LA CUCARACHA
(Rounder Records, 2007)
Per prima cosa, nonostante possa avervi fatto pensare questo con il mio commento precedente, questo disco non è brutto, ma è sicuramente un passo indietro rispetto agli album precedenti. Eppure, i motivi di orgoglio verso i Ween ci sono ancora: ottima produzione, varietà nell'album, eccellenti prove strumentali, persino un brano con special guest il famoso sassofonista David Sanborn. E non si può certo dire che manchino brani notevoli, primo tra tutti la lunga cavalcata di "Woman and Man", uno dei migliori pezzi del gruppo, grazie all'assolo in climax di Mickey Melchiondo e al riff epocale, ma anche "Your Party", nel quale il sassofono di Sanborn e la voce effettata di Freeman creano un'atmosfera sensuale e rilassata, le ottime "Blue Baloon", "Object" e "With my Own Bare Hands", brano violento liricamente, scritto da Melchiondo per la moglie. Eppure, nonostante tutto, manca qualcosa da questo album, che scorre tranquillo e piacevole, ma che non dà le dosi di adrenalina di quest'ultima fase dei Ween. Probabilmente, ascoltando il disco a digiuno dal resto della discografia appare come un album eccellente e variegato (cosa che effettivamente è), ma da un gruppo così intelligente ci si aspetta di più.
Freeman, che sembrava essere tornato alla normalità, ricomincia ad avere comportamenti strani fino a quando, il 24 Gennaio del 2011, all'Elizabeth Theater di Vancouver, si presenta sul palco completamente ubriaco e incapace di suonare o di cantare, in una delle performance più tristi del gruppo (sul finale, i suoi compagni di gruppo, abbandoneranno il palco e lo lasceranno da solo a umiliarsi con una chitarra scordata). "Aaron è il mio migliore amico e mio fratello. È anche un alcolizzato, e questo fa soffrire molta gente. Non so cos'altro dire, se non che io ho avuto una serata peggiore della vostra" affermò Melchiondo, in risposta ad una e-mail di chi gli chiedeva cosa fosse successo quella sera sul palco. La sera successiva, a Seattle, il gruppo sembra tornato in grande forma e il resto del tour scorre tranquillo senza troppi problemi, fino alla data finale al Fillmore Auditorium a Denver, il 31 Dicembre 2011. Per i primi mesi del 2012, tutto sembra tornato alla tranquillità: Freeman è finalmente diventato sobrio e fa pure uscire il suo primo album solista (a nome Aaron Freeman e non Gene Ween), intitolato "Marvelous Clouds", tributo alla musica del cantautore Rod McKuen.
Mickey Melchiondo, invece, nel 2009 ottiene la licenza di capitano e finalmente realizza il suo sogno di navigare in oceano. Inizia infatti il suo secondo lavoro, offrendo giri in barca e, soprattutto, lunghe sedute di pesca nel New Jersey, puramente professionali (nel suo sito internet non cita nemmeno una volta i Ween o il fatto di essere Dean Ween), e la cosa lo assorbe a tal punto da tenerlo un po' più distaccato dalla musica (ma non impedendogli di andare in tour e di continuare a suonare).
Poi, il 29 Maggio 2012, in un'intervista alla rivista Rolling Stone, arriva la notizia shock da parte di Aaron Freeman: "metto in pensione Gene Ween, è ora di andare avanti. Sì, questo significa la fine dei Ween, per me è una porta chiusa. Nella vita, nell'universo ci sono porte che devi aprire e porte che devi chiudere". La notizia, già raggelante di suo, viene aumentata ancora di più dal fatto che Mickey Melchiondo, nella pagina Facebook dei Ween avrebbe commentato dicendo: "questa è una notizia nuova per me, è tutto ciò che ho da dire per ora". Nei mesi successivi, Freeman, tramite il suo sito Facebook, ha cercato di smorzare un po' i toni, dicendo che i suoi rapporti con il resto del gruppo non sono cambiati, e che lo scioglimento dei Ween non è da pensare come qualcosa di negativo. Tuttavia, un tweet, ora rimosso, del batterista Claude Coleman, esprimeva abbastanza sconcerto per la decisione repentina di Freeman di ritirarsi dai Ween a mezzo stampa. Le acque sono ancora piuttosto agitate, ma è chiaro che Freeman si trova in un periodo confuso e difficile della sua vita, ed è particolarmente complicato capire se i Ween si sono davvero sciolti o se è soltanto un'altra fase della carriera. Quello che è certo, è che sicuramente, visti gli eccessi degli ultimi anni, è molto meglio che il gruppo finisca, piuttosto che continui ad andare in tour e si debba fermare definitivamente a causa di un overdose da parte di Freeman.
Per chiudere questa lunga panoramica sul mondo del boognish, devo esprimere un certo rammarico sul fatto che un gruppo come questo non sia conosciuto di più, soprattutto in Italia. Ma, per usare le parole del critico George Starostin (un sostenitore del gruppo): "A volte mi chiedo sempre lo stesso sciocco pensiero: "perché questi tizi non sono popolari come i Beatles?'. Poi ovviamente, mi do sempre la solita sciocca risposta: 'perché i Beatles, quando si sono presentati al mondo l'hanno fatto dicendo 'Well she was just seventeen - you know what I mean', ma quando l'hanno fatto i Ween, tutto quello che questi stupidoni sono riusciti a dire è stato 'You fucked up! You bitch - you really fucked up!'. Di quali altri motivi avete bisogno?"