venerdì 16 agosto 2013

Into Deep #9 - Strange Magic: Electric Light Orchestra







Gli Electric Light Orchestra sono stati uno dei gruppi più interessanti della storia del rock, e la loro genesi è, senza dubbio, una delle più inusuali. Siamo tra la fine degli 1969 e l'inizio del 1970. Roy Wood, geniale polistrumentista, un po' pazzo, ma con grande creatività, che, in quel momento suonava la chitarra, il sassofono e il flauto con l'acclamato gruppo di rock psichedelico The Move, aveva da tempo un'idea per un gruppo rock che usasse strumenti classici, come violini, violoncelli e corni. Jeff Lynne, l'altro chitarrista e pianista del gruppo, meno pazzo ma con un ottimo gusto e abilità nel comporre melodie semplici, orecchiabili ma non banali, era estasiato dall'idea e voleva seguire il compagno nel progetto. Per molto tempo, però, tutto ciò rimase solo nella testa dei due musicisti. Le cose cambiarono radicalmente solo quando il cantante dei Move, Carl Wayne, lasciò il gruppo. In quel momento, Wood e Lynne decisero di portare comunque avanti il gruppo e di scrivere musica più avventurosa.

Nel Luglio del 1970, il gruppo stava lavorando ad una composizione di Lynne, intitolata "10538 Ouverture", un ottimo brano rock pensato come B-side di un singolo, al quale Wood decise, per esperimento, di sovraincidere circa 10 tracce di violoncello. Il sound del gruppo che tanto cercavano era appena stato creato, e, nelle loro menti, "10538 Ouverture" non avrebbe mai potuto essere relegata nell'oscuro mondo delle B-side. Da questo semplice esperimento, nacquero gli Electric Light Orchestra. Ai due si aggiunse il pianta stabile anche il batterista dei Move, Bev Bevan, mentre la parte di basso del bassista Rick Price venne cancellata e rimpiazzata da una suonata dallo stesso Wood. Con l'aggiunta di Steve Woolam al violino e di Bill Hunt al corno, si poté finalmente iniziare a lavorare al disco. Mancava un bassista, Lynne e Wood decisero di non assumerne uno, alternandosi il compito a vicende. Roy Wood, suonò, inoltre il violoncello, la chitarra acustica, l'oboe, il fagotto, il clarinetto e vari strumenti a fiato (tra cui il cromorno), mentre Lynne pensò alle parti di chitarra elettrica e di piano. Con questa formazione venne registrato il primo, omonimo album, nell'arco di un anno (tra il Luglio 1970 e il Giugno 1971). L'idea era di continuare contemporaneamente con i Move e con gli Electric Light Orchestra, ma i primi presto si dissolsero, lasciando così l'intero campo ai secondi.


THE ELECTRIC LIGHT ORCHESTRA (Harvest, Dicembre 1971)

Eccoci dunque al tanto desiderato progetto di Wood e Lynne. Si tratta senza dubbio dell'album più avventuroso dell'intera discografia, e, nonostante qualche difetto dovuto forse all'eccessivo entusiasmo, tutte  le nove composizioni dell'album sono di qualità sopraffina, per un motivo o per l'altro. Interessante notare come le due personalità dei due leader abbiano molte cose in comune, ma siano allo stesso tempo completamente diverse e distinte. Lynne firma i brani più orecchiabili, come la già citata "10538 Ouverture" e la splendidamente malinconica "Mr. Radio", probabilmente il brano migliore dell'album, mentre Wood si occupa delle cose più sperimentali, come lo strumentale "First Movement (Jumping Biz)" oppure "The Battle of Marston Moor (July 2nd 1644)", un affresco in stile barocco che narra un episodio della prima guerra civile Britannica. Entrambi, comunque, cercano di esplorare il territorio dell'altro: Wood compone anche la conclusiva, delicatissima "Whisper in the Night", mentre Lynne è autore della strana "Nellie Takes Her Bow", un brano malinconico per piano e voce che sfocia in un lungo intermezzo strumentale che cita la canzone popolare natalizia "God Rest Ye Merry Gentlemen" e dello strumentale "Manhattan Rumble (49th Street Massacre)". Completano l'album la Beatlesiana "Look at Me Now" (similissima a "Eleanor Rigby") e "Queen of the Hours", un brano dove il violoncello sembra venire usato come una chitarra elettrica. Una curiosità: l'album venne pubblicato in America nei primi mesi del 1972 con il titolo "No Answer". Il motivo di questo cambiamento è un semplice errore da parte dei dipendenti della casa discografica, che fraintesero una nota che segnalava una mancata risposta alla telefonata come il titolo dell'album.

"10538 Ouverture" viene estratta come singolo e diventa una hit, così viene organizzato un tour che non manca di vari problemi tecnici, probabilmente dovuti alla complessa configurazione scenica che richiedeva il gruppo. Il basso dal vivo viene suonato da Richard Tandy. Al termine del tour, il gruppo torna in studio di registrazione per sfornare un secondo album. Purtroppo, però, a Wood non piace la piega che sta prendendo il progetto, così se ne va, portando con sé Hunt. I due formeranno il gruppo Wizzard. I giornali, a quel punto, diedero per spacciato il progetto: in fin dei conti, l'ideatore era Wood, non Lynne, ma quest'ultimo era ben deciso a portarlo avanti. In due brani del successivo disco vennero tenute le piste di basso originali di Wood, mentre Mike de Albuquerque si occupò del resto dell'album. Bevan rimase il batterista del gruppo, Tandy passò alle tastiere e al moog, mentre Wifred Gibson, Mike Edwards e Colin Walker costituirono la nuova sezione di violini e violoncelli.


ELO 2 (Harvest, Febbraio 1973)

Per quanto Lynne sia un eccellente autore e un personaggio pieno di carisma, qualcosa è andato decisamente storto con questo album, senza dubbio alcuno che questo fosse dovuto alla repentina dipartita di Wood dal progetto. Quasi tutto l'album ha dell'ottimo potenziale e dei momenti colmi di fascino e lirismo, ma ciò che eccelle nelle composizione, viene a mancare spesso nell'arrangiamento o nell'apparente incapacità di accorciare i brani. Questo disco è, infatti, quanto più vicino al progressive rock gli ELO siano potuti arrivare, senza però avere nessuna caratteristica del genere ben definita: per questo motivo, questo album, non è un successo completo. Il disco, comunque, comincia con due note decisamente liete: "In Old England Town" (uno dei due brani del disco dove compare anche Wood, al violoncello e al basso) apre l'album con freschezza, energia e tensione e la successiva "Momma...", un'affascinante ed eccellente ballata che ha il pregio di non risultare eccessivamente ed inutilmente drammatica mantiene alti i livelli musicali. Purtroppo, il lato A dell'album si conclude con una terribile versione di "Roll Over Beethoven" di Chuck Berry , alla quale viene associata la nona sinfonia di Beethoven. Se questo brano durasse due-tre minuti, sarebbe un innocuo e forse anche divertente scherzo musicale con la funzione di alleggerire e annacquare un po' i toni, ma con i suoi otto minuti di durata, non può che considerarsi un passo falso che abbassa il livello qualitativo dell'album. La seconda facciata dell'album è, inoltre, di qualità nettamente inferiore rispetto alla prima. "From The Sun to The World" (l'altro brano dove compare Wood) accosta qualche buona idea e qualche momento di sincera ispirazione ad una costruzione un po' pasticciata e claudicante, mentre la conclusiva "Kuiama" un'interessante ballata rock con una memorabile melodia vocale, purtroppo non riesce comunque a mantenere l'attenzione dell'ascoltatore fino alla fine con i suoi 11 minuti di durata, decisamente troppi per un brano come questo. In definitiva, si tratta del classico album di transizione, dovuto ad un cambiamento di strada forse un po' forzato dalle esigenze. Un prodotto decisamente dignitoso e piacevole, ma con i suoi difetti in pieno lustro.

Una versione tagliata di "Roll Over Beethoven" una volta pubblicata su singolo ebbe un moderato successo. La scelta di pubblicare proprio questo brano su 45 giri risulta decisamente obbligata, visto che nessun altro brano del disco si sarebbe prestato bene a questo scopo, tanto più che come singolo successivo si decide di proporre un inedito, la funkeggiante "Showdown", brano che riscuote un ottimo successo di critica e di pubblico (John Lennon la definirà uno dei brani migliori degli anni '70).



ON THE THIRD DAY (Warner Bros, Novembre 1973)

Nessun cambio di formazione rispetto all'album precedente (escludendo, ovviamente, la totale assenza di Roy Wood). In effetti, alcune parti di questo album (nello specifico la seconda facciata), erano state iniziate durante le session del disco precedente. Questo spiega anche il breve lasso di tempo che è passato tra questi due dischi. L'obbiettivo finale che il gruppo si è posto, dev'essere stato esattamente lo stesso sia per questo album che per il precedente, ma la realizzazione è stata interamente diversa. "On the Third Day" risulta, infatti, un disco più studiato e più maturo, nel quale si sono tenute le nozioni vincenti del lavoro precedente e si sono scartate quelle che non funzionavano. Infatti, invece di comporre canzoni lunghe, si decide di includere sulla prima facciata del disco una suite consistente di quattro brani di durata relativamente breve uniti e cuciti tra di loro dallo strumentale "Ocean Breakup" che apre e chiude la suite e si manifesta all'interno dei quattro brani. La suite in sé è uno dei momenti migliori dell'album e dell'intera discografia. La maestosa "King of the Universe" è un logico inizio alla suite, con aria trionfante e perfetta come Ouverture, alla quale segue la malinconica "Bluebird is Dead", contenente un assolo di chitarra registrato al contrario, chiaro riferimento all'amore di Jeff Lynne verso i Beatles. Si continua con la brillante "Oh No, Not Susan" (uno dei pochi brani dell'epoca trasmessi dalla radio contenente la parola 'fuck'), quasi sicuramente il momento migliore della suite, strana e allucinata (la melodia vocale ricorda vagamente "Green is the Color" dei Pink Floyd), introdotta e conclusa da una splendida fanfara in crescendo per archi. La suite termina con "New World Rising", un brano dal sapore fantastico la cui melodia vocale risulta essere un ibrido tra i Beatles e i Queen (band che si stava muovendo i primi passi proprio in quell'anno). Il secondo lato, meno ispirato del primo, risulta comunque di livello piuttosto buono. La strumentale "Daybreaker", posta in apertura alla facciata, fa suonare questa parte dell'album come un nuovo inizio completamente non relazionato, mentre sia "Ma-Ma-Ma Belle" (altra hit) e la più complessa "Dreaming of 4000" danno un tono decisamente più rock al disco, aiutando ad alleggerire i toni (sono state registrate due versioni iniziali di questi brani con Marc Bolan dei T-Rex alla chitarra, anche se le versioni pubblicate su album non includono la sua partecipazione). Il disco si conclude in maniera un po' sfarzosa con una versione di "In the Hall of the Mountain King" di Edvard Grieg contenente anche una citazione al primo movimento della Peer Gynt Suite, che non risulta essere mediocre quanto il pasticcio di Beethoven del disco precedente, ma che comunque risulta non necessaria. Un lavoro decisamente superiore, che mostra un gruppo che in soli due anni ha saputo reinventarsi con coerenza. Purtroppo, con questo album è possibile notare per la prima volta anche la qualità tecnica non eccelsa del batterista Bev Bevan (si noti, ad esempio, il suo drumming non efficace e inadatto su "Daybreaker"). Alla versione Americana del disco (pubblicata due mesi dopo) viene aggiunto il singolo "Showdown" in apertura al secondo lato, che da lì diventerà parte effettiva dell'album.


Il successo che fino ad ora è stato moderato in Inghilterra, diventa maggiore in America, soprattutto grazie a "Showdown" e "Ma-Ma-Ma Belle". Per questo motivo, venne organizzata una tournée che viene registrata dal gruppo. Il concerto del 12 Maggio 1974 alla Long Beach Arena viene scelto per diventare il successivo album del gruppo.



THE NIGHT THE LIGHT WENT OUT IN LONG BEACH (Warner Bros, Maggio 1974) 

Questo album è più famoso per la storia che lo circonda, più che per i suoi contenuti musicali. Una volta stampato su LP, infatti, per errore viene utilizzato un mixaggio sbagliato, che rende la qualità sonora del disco decisamente scarsa, a livello di bootleg. Le vendite furono decisamente basse, e per questo motivo, fu disponibile in Inghilterra e negli Stati Uniti solo come disco d'importazione (l'unico stato che vide una release ufficiale di questo disco fu la Germania). La ripubblicazione del disco originale in Inghilterra nel 1985, ebbe come risultato un rinnovato interesse verso questo album, che finalmente venne ristampato in tutto il mondo su CD nei primi anni 90, questa volta utilizzando i master giusti, che contenevano una versione un po' più breve del disco, ma con qualità sonora superiore e da album ufficiale. Per il resto, si tratta di un documento complessivamente senza infamia e senza lode. Non mancano le scelte bislacche: il medley tra "Hall of the Mountain King" e il classico rock'n'roll "Great Balls of Fire" e la cover di "Day Tripper" dei Beatles (zeppo di citazioni classiche, quasi un cliché a questo punto) sono elementi curiosi  e molto divertenti per un ascolto, ma che rubano spazio alla suite della prima facciata di "On the Third Day", che viene purtroppo esclusa dal disco. Ci sono, comunque, anche buone versioni di "Daybreaker" e "10538 Ouverture" (contenente anche citazioni della hit dei The Move "Do Ya", che verrà reincisa dagli ELO qualche anno più tardi) e, soprattutto, un eccellente "Showdown", di gran lunga superiore alla versione in studio. Tutto sommato, un disco decente, ma che non aggiunge assolutamente niente alla discografia. Come documento dal vivo, risulta di gran lunga superiore il doppio CD "Live at the BBC" uscito nel 1999, che include concerti dal tour di "ELO 2", "On The Third Day" e "Face the Music", quest'ultimo contenente una fantastica versione della suite già citata, della quale abbiamo lamentato l'assenza su questo album.


Per l'album successivo, un concept album, Lynne decide di non limitarsi ad usare delle sovraincisioni di archi, ma di assumere una vera e propria orchestra, diretta da Louis Clark. Durante le regisitrazioni, il bassista Mike de Albuquerque lascia il gruppo, così per la maggior parte del disco, il basso viene suonato da Jeff Lynne stesso. Questo piccolo incidente a parte, le session risultano memorabili e il risultato sarà semplicemente il capolavoro di questo gruppo.


ELDORADO (Jet, Settembre 1974)


Come tutti i concept album, "Eldorado" ha una storia. In questo disco si narra di un luogo fantastico che appare ad un uomo durante un suo sogno, abitato da leggende e personaggi di vario tipo. Al risveglio, l'uomo decide che Eldorado è molto più affascinante della sua realtà, e cerca di ritornarci. Un finale abbastanza negativo e atipico per questo genere di concept album. Comunque sia, si tratta di un lavoro straordinario, sicuramente il migliore fino ad ora e probabilmente il migliore dell'intera discografia. Se la cornice e l'aggiunta di un'orchestra vera rendono l'apparenza di quest'album un po' pomposa, la qualità compositiva delle canzoni è innegabile. Il lato A si apre con l'Ouverture, un tema affascinante, forse un po' sfarzoso, con narrazione, che apparirà qua e là durante il disco. Si segue senza soluzione di continuità (l'unica interruzione presente nell'album è tra le due facciate) nella malinconica "Can't Get It Out of My Head", un'eccellente ballata. Un intermezzo di raccordo, che comparirà anche in altri punti dell'album, introduce l'ottimista e allegra (ma con un velo di malinconia) "Boy Blue", senza dubbio uno dei brani più belli dell'album, dal ritornello irresistibile e una costruzione pressoché perfetta. La maestosa "Laredo Tornado" rallenta l'atmosfera, anche qua con un ottimo ritornello e un'aria di disperazione e malinconia unica. Chiude la facciata l'esplosiva "Poor Boy (The Greenwood)", con ottime armonie vocali e con brevi reprise dei temi dell'album, per dare un senso di continuità. Il lato B si apre con "Mister Kingdom", brano che deve moltissimo alla Beatlesiana "Across the Universe", che però riesce ad avere la sua personalità grazie ad un ritornello memorabile e ad un crescendo finale mozzafiato. Il climax del brano precedente viene saggiamente smorzato da un raccordo musicale che introduce "Nobody's Child", brano deliziosamente retrò. Con il rock'n'roll di "Illusions in G Major", si riduce al minimo la tensione e si riprende un po' di fiato per poi entrare nella title-track del disco, altro brano epico e maestoso, con una splendida prova vocale di Lynne. Infine, si arriva al Finale del disco, che altro non è che una ripresa dell'Ouverture, che chiude l'album così come era iniziato. Un disco che sposa benissimo le atmosfere romantiche e maestose della musica classica con un rock intelligente e ben studiato degli anni '70. Uno di quei dischi che devono essere ascoltati da ogni amante e studioso di rock classico.


Sebbene in Inghilterra il disco ottenne un ottimo successo di critica, non vende moltissimo e ancora una volta gli Stati Uniti si rivelano i principali alleati del gruppo, anche se mancano di un sound Americano. In particolare "Can't Get it Out of My Head", pubblicata come singolo, diventa un grande successo. Al basso viene reclutato Michael "Kelly" Groucutt, diventato nei cuori dei fan il bassista classico del gruppo e il violocellista Melvyn Gale sostituisce Mike Edwards.



FACE THE MUSIC (Jet, Settembre 1975)

Altro eccellente album, quasi ai livelli del precedente. Questa volta, però, non abbiamo più di fronte un concept album e si torna alla forma canzone. L'apertura, comunque, è affidata ad un altro brano maestoso, "Fire on High" strumentale composto da una introduzione inquietante e due sezioni diverse tra di loro, ma ugualmente potenti e drammatiche. Anche grazie ad un messaggio registrato al contrario a inizio brano (negli anni 80, gli ELO saranno uno di quei gruppi accusati di satanismo e di messaggi subliminali dai fanatismi cristiani, accuse alle quali Lynne risponderà in maniera intelligente, ma alla quale arriveremo più tardi), il brano diventa uno dei più popolari del gruppo, nonostante non sia mai stato pubblicato come singolo (se si esclude una fugace e tardiva apparizione come B-side nel 1978). "Waterfall" è il brano lento più riuscito degli ELO, con una melodia vocale mozzafiato, soprattutto nel ritornello, che contiene una delle migliori prove vocali di Lynne. "Evil Woman", brano semplice e d'impatto e molto ballabile e l'epica "Nightrider", brano dalla strofa memorabile e con una strofa cantata dal nuovo bassista Groucutt, concludono la prima parte del disco. Il lato B si apre con "Poker", un pezzo che suona vagamente punk, ma che non può esserlo per la presenza dei violoncelli, la parte vocale molto controllata e la sezione centrale melodica. "Strange Magic" è un'altra ottima ballata, e "Down Home Town" è un leggero divertissment country. Il disco si chiude, purtroppo, con un anticlimax, la lunga "One Summer Dream" che vorrebbe essere atmosferica, ma che risulta più che altro prolissa, unica pecca in un album altrimenti eccellente e senza macchia (a dire il vero l'altra pecca è, purtroppo, la debolezza e la scarsa inventività del drumming di Bev Bevan, notabile soprattutto su "Fire on High" e su "Poker", brani nei quali Bevan riempie ogni momento di vuoto con una rullata, spesso senza gusto).


Ancora una volta, le vendite eccellono di più negli Stati Uniti che in Inghilterra (anche se, per la prima volta, due singoli raggiungono stabilmente la top 10: "Evil Woman" e "Nightrider"). E' chiaro ormai che, quindi, gli ELO devono puntare molto di più sul pubblico Americano che su quello Inglese. "Face the Music" uscì in America due mesi prima che in Inghilterra, ma questo non basta. Il sound viene così quindi Americanizzato, cosa che permetterà agli ELO di ampliare ulteriormente il loro successo nella loro nuova patria, ma che farà perdere l'ottima vena creativa e il sound che avevano reso album come "On the Third Day", "Eldorado" e "Face the Music" così unici e così belli. Il successivo album viene così studiato a tavolino e commercializzato appositamente per gli Stati Uniti (anche se comunque, otterrà discreto successo anche in Inghilterra) e viene anche creato un logo speciale per il gruppo, che comparirà in tutti gli album da qua in poi. Il risultato sarà un disco professionale e tecnicamente solido, che riscuoterà un grande successo in America, ma che artisticamente risulterà molto inferiore agli ultimi lavori, mancando di quella creatività e passione che era possibile trovare nei dischi degli ELO fino a questo punto.


A NEW WORLD RECORD (Jet, Settembre 1976)


Come appena detto, si tratta di un lavoro studiato appositamente per accattivarsi ulteriormente le simpatie del pubblico Americano. Il risultato è senza dubbio molto professionale e non c'è un brano veramente brutto sull'album (a parte l'orrida "Rockaria", bislacco tentativo di mischiare rock'n'roll all'opera, che sarà l'unica hit Inglese del disco). Ecco quindi che l'album pullula di brani molto orecchiabili, da cantare tutti in coro, come "Tightrope""So Fine""Do Ya" (un singolo dei The Move, il gruppo precedente di Jeff Lynne, scritta da Lynne stesso) e "Livin' Thing", grandi successi, brani rispettabili, scritti e arrangiati bene, a volte anche di ottima qualità (come nel caso di "So Fine"), ma che sarebbero stati considerati materiale inferiore nei dischi precedenti. Mancano infatti cose veramente memorabili: sebbene "Telephone Line" sia stato un singolo di enorme successo negli Stati Uniti (tanto da certificargli un premio d'oro), questa ballata non è minimamente paragonabile a capolavori come "Waterfall", "Can't Get It Out of My Head" e "Bluebird is Dead". In effetti, gli unici due brani che risultano compatibili con quanto pubblicato finora sono "Mission (A New World Record)" e la conclusiva "Shangri-La", che risentono ancora delle atmosfere di "Face the Music" e che non avrebbero affatto stonato in quell'album. Si tratta comunque di un disco importante, perché è stato il primo a certificare bene il successo degli ELO in America e a lanciarli definitivamente oltreoceano, e perché rappresenta l'inizio della seconda fase della carriera del gruppo, ma che  risulta molto più forzato e inferiore comparato a quanto pubblicato fino ad ora. Ad ogni modo, generalmente è ancora possibile sentire il sound classico degli ELO, cosa che non si potrà più dire tra qualche tempo, ed è comunque un buon album sul quale si può tornare più di una volta senza troppo imbarazzo.


Viene organizzato un tour in America, che riscuote ottimo successo di pubblico e di critica. Con questa nuova carica, e con questo successo di critica e di pubblico enorme che improvvisamente cominciano a riscuotere, gli ELO si convincono di essere sulla strada giusta e si affrettano a tornare in studio di registrazione, questa volta per sfornare addirittura un doppio album, cercando di sposare questa nuova direzione con le intenzioni originali del gruppo, per cercare di non perdere coerenza.



OUT OF THE BLUE (Jet, Ottobre 1977)

La domanda spontanea, fin dal primo ascolto, è se fosse veramente necessario che questo album uscisse in doppio LP. Sebbene sia un buon lavoro, probabilmente superiore a "A New World Record", non c'è molta diversità. La cosa che sicuramente ha colpito di più l'occhio dei fan è stata l'aggiunta di una nuova suite, che occupa l'intera terza facciata dell'album, intitolata "Concerto for a Rainy Day". Divisa in quattro parti, si inizia con "Standin' In The Rain": brano molto interessante con un'introduzione abbastanza inquietante (e qualche effetto sonoro) che non si discosta molto da certe sperimentazioni strumentali dei primi tempi, ma che in definitiva risulta forse un po' sgualcito dalla melodia vocale. La seconda parte, "Big Wheels", è anche la meno interessante: si tratta di una discreta ballata che cerca di ricreare le atmosfere di "Waterfall", senza riuscirci; molto meglio la successiva "Summer and Lightning", perfetta a ricreare le atmosfere temporalesche, nonostante un discutibile break che ricorda un po' "Louie Louie" di Richard Berry. La suite viene conclusa da "Mr. Blue Sky" che, pubblicata come singolo, diventa una delle più grandi hit del gruppo e risulta divertente e leggera, anche se un po' appesantita dalla parte finale.  Insomma non si può parlare di una "Eldorado" in miniatura e non la si può nemmeno paragonare alla "Ocean Breakup" suite di "On the Third Day", ma rimane comunque di buona fattura. Il resto del disco risulta migliore di "A New World Record" in quanto, perlomeno, si è cercato di dare un senso artistico al materiale, senza farlo apparire come un semplice lavoro artigianale usa e getta. Abbiamo quindi brani come "Night in The City", introdotta da degli effetti sonori, un buono brano la cui parte finale ricorda la coda di "You Never Give Me Your Money" dei Beatles, il duo "Believe Me Now" e "Steppin' Out", due brani collegati che insieme formano una delle ballate più strane mai composte da Lynne, "Sweet is the Night" e "Starlight" due brani con una melodia a la McCartney, quest'ultima vicina alla discomusic che sarà protagonista del prossimo album, "Birmingham Blues" fresca, energica e divertente, la discreta "Turn to Stone", molto simile a "Tightrope" e "The Whale" uno strumentale atmosferico molto interessante, rovinato dall'uso del vocoder. Sull'altro versante abbiamo "Wild West Hero", brano diviso in due sezioni carine ma che non si sposano bene tra di loro, "It's Over", tentativo farlocco di creare una ballata come quelle classiche e "Jungle", forse il brano più stupido e brutto degli Electric Light Orchestra registrato fino ad ora. Si tratta di un disco professionalmente buono e probabilmente il migliore di questa seconda fase del gruppo, ma non il capolavoro che potrebbe apparire esteriormente.


Dopo due anni di tour, che esasperano Jeff Lynne, il gruppo torna in sala di registrazione per un altro album, ma stavolta il trio di archi, nello specifico Mik Kaminkski, Hugh McDowell e Melvyn Gale, vengono licenziati, in quanto ritenuti non indispensabili al nuovo sound del gruppo. Questo significa che, ormai, l'Electric Light Orchestra non è più un'orchestra (anche se dei session man condotti da Louis Clark vengono assunti per argomentare un po' il sound del gruppo) e il progetto ha preso una piega distante anni luce da quella che aveva a inizio progetto.


DISCOVERY (Jet, Maggio 1979)

Poco da dire su questo album, purtroppo, se non che sembra essere stato studiato a tavolino per poter fare più singoli di successo possibli. Non a caso, cinque brani su nove ("Shine a Little Love", "Don't Bring Me Down", "Last Train to London", "Confusion" e "The Diary of Horace Wimp") escono su 45 giri e diventano tutti grandi successi. Delle cinque, l'accattivante "Last Train To London" e la Beatlesiana e divertente "The Diary of Horace Wimp" sono le migliori e le uniche che sopravvivono a più di qualche ascolto sporadico. Il resto dell'album è composto da brani che servono ad allungare la durata dell'album, per giustificarne l'uscita in LP e non in EP. Non è difficile quindi pensare a cosa passasse per la mente di Lynne ormai: l'orchestra che non è più un'orchestra, composizioni studiate per essere di gradimento al pubblico, vicinanza perpetua verso le nuove mode e tendenze, brani singolo studiate al minimo dettaglio ma resto del disco decisamente riempitivo, ecc ecc. Insomma, pare che ormai gli ELO siano diventati una macchina da soldi, un progetto matematico, ben studiato, ma non sincero e artisticamente poco interessante. Certo, potrebbe essere molto peggio, ma questo è un album che si ascolta per divertimento una o due volte e poi si accantona. Inoltre, pessimo il continuo uso del vocoder e il suono dei sintetizzatori (si ascolti l'inizio di "Midnight Blue", in grado di fare esplodere i timpani ad un'intera città).


Anche se la mania verso gli ELO dilaga sempre di più, Lynne non sembra essere del tutto soddisfatto, forse perché conscio del calo compositivo degli album,  forse per lo stress, ma decide di non organizzare un tour per promuovere "Discovery". Al suo posto, vengono girati alcuni video promozionali per i singoli. Tuttavia, nel caso non si vada in tour, bisogna comunque lavorare per tenere in attività il gruppo. Ecco quindi che Lynne riceve un'offerta di lavoro da parte dei produttori di un musical, con protagonista Olivia Newton-John, intitolato "Xanadu".


XANADU (Jet, Agosto 1980)

Il film è brutto. Decisamente, e senza possibilità d'appello, oggi appare come una testimonianza del kitsch e delle mode passate di un tempo che se n'è andato. Il lato A di questo LP è formato da canzoni di Olivia Newton-John e a noi non interessa. Il lato B, interamente degli ELO, purtroppo offre comunque poco o nulla di interessante. Le sonorità ormai sono decisamente e irreversibilmente cambiate, le composizioni laccate e fredde, le melodie non molto interessanti. Le prime tre canzoni non sono specialmente brutte, ma non lasciano niente di che: letteralmente, entrano da un orecchio ed escono dall'altro. Le ultime due, invece, si fanno notare ma, purtroppo, lo fanno per la loro bruttezza: "All Over The World" è la classica canzone cantata in coro, allegra, spensierata, con sintetizzatori e, onestamente, insopportabile. La title-track (unica hit degli ELO a raggiungere il primo posto in Gran Bretagna) non sarebbe specialmente brutta (ma nemmeno specialmente bella), ma la partecipazione vocale di Olivia Newton-John, che con gli ELO non c'entra assolutamente niente: vocalmente o stilisticamente, la rende assolutamente odiosa, soprattutto nel ritornello. Un lavoro brutto, datato e dimenticabile che testimonia quanto prodotti del genere invecchino male col tempo.


Con il successo crescente del gruppo (e ancora una volta senza un tour), Jeff Lynne torna in studio di registrazione per un secondo concept album, molto diverso da "Eldorado". La formazione è la stessa, ma i brevi interventi orchestrali questa volta sono condotti da Rainer Pietsch e non più da Louis Clark.



TIME (Jet, Luglio 1981)

Questo album, in tipico stile fantascientifico di quegli anni,  narra della storia di un uomo che, dal 1981 si trova di colpo catapultato nel 2095, e dei suoi tentativi di tornare indietro nel tempo. Questa volta, forse perché provvisto di un po' di coerenza dovuta al fatto che si tratta un concept, però, l'album risulta abbastanza buono, con brani degni di nota e una produzione tutto sommato pulita e cristallina (nonostante l'orrendo suono di sintetizzatore e il solito uso spropositato di vocoder). Non si tratta di un capolavoro, ed è inferiore anche a album come "A New World Record" e "Out of the Blue", ma c'è solo un episodio mediocre ("Hold on Tight"). Per quanto riguarda il resto dell'album, è popolato da brani memorabili come "Yours Truly, 2095", "Here is the News" e il singolo "21st Century Man". "Twilight" è il brano più famoso del disco, e forse è anche il migliore, molto intenso e ben scritto, e molto degne di nota sono anche le quasi strumentali "Another Heart Breaks" e "Epilogue" che contribuiscono a dare un sapore di diversità al disco. Nonostante sia un concept album, non c'è quasi niente di progressive qua, e perlopiù si tratta di un album di synth pop, ma è synth pop intelligente e di buona fattura e non semplice prodotto usa e getta. Certo, non si tratta di "Eldorado", ma le impressioni finali sono senza dubbio positive ed è un album per niente banale, nonostante la storia del concept, un po' abusata.


Per la prima volta in due anni, un tour viene finalmente organizzato, con la solita line-up, ma con l'aggiunta di Clark alle tastiere e del session man Dave Morgan ai cori e alla chitarra acustica. Le cose sembrano andare bene per il gruppo, ma a questo punto si aggiunge una nota stonata che colpisce più o meno tutti gli artisti di quell'epoca. In questo periodo, infatti, comincia una battaglia contro i cosiddetti messaggi subliminali che sarebbero facilmente rilevabili ascoltando l'album al contrario. Tra i vari artisti che cadono a questa mania (inutile, ridicola e diffamatoria), ci sono anche gli Electric Light Orchestra, la cui "Eldorado" conterrebbe un'ode a Satana se ascoltata al contrario. In realtà non si tratterebbe che di pareidolia, ovvero la capacità subcosciente di riconoscere forme familiari all'interno di una struttura casuale, in parole povere, di riconoscere volti o altre immagini simili all'interno di venature, oppure, appunto, di riconoscere messaggi sensati ascoltando una registrazione al contrario e in questo caso nemmeno di pareidolia di alto livello. L'autore Inglese William Poundstone, nel suo libro "Big Secrets" dedica un capitolo al discorso pareidolia/"messaggi subliminali", e cita l'esempio di "Eldorado" come un messaggio nemmeno facilmente riconoscibile e in metrica con la musica associata. Se da un lato è pur vero che, comunque, gli ELO hanno sempre usato nastri al contrario come effetti, dall'altro è anche vero che nessuna delle cose riprodotte al contrario ha un contenuto satanico e che, comunque, è dimostrabile scientificamente che anche se fosse, non avrebbe alcun effetto sulla psiche umana. La reazione di Lynne a questo fu abbastanza divertente. Inizialmente, si limitò a definire queste cose "etazzac" ("skcollob"), in seguito decise di dedicare l'intero prossimo album a deridere questo fenomeno. Per la realizzazione, Louis Clark viene reclutato di nuovo come direttore d'orchestra, Morgan incide qualche coro e il vecchio compagno d'avventure Mik Kaminski suona un assolo di violino. Inizialmente, l'album seguente, intitolato "Secret Messages" sarebbe dovuto uscire come doppio LP, ma la casa discografica si oppose al progetto, dichiarandolo troppo costoso e viene così tagliato e ridotto ad un LP singolo.


SECRET MESSAGES (Jet, Giugno 1983)

Sulla falsariga di "Time", "Secret Messages" continua la strada appena interrotta, con un pop non troppo laccato e di buon livello, non interessante come il disco precedente, ma decisamente gradevole e piacevole, con una produzione buona e, stavolta, suoni di sintetizzatore tollerabili. Sebbene non manchino brani discutibili ("Time after Time", "Four Little Diamonds" e "Rock'n'Roll is King", la cui unica attrattiva sta nella curiosa presenza di Kaminski al violino), pezzi come la title-track, "Loser Gone Wild", "Danger Ahead", "Train of Gold" (contenente qualche elemento che fa tornare alla mente i tempi di "Face the Music") e "Stranger" risultano molto piacevoli e apprezzabili. Anche gli effetti sonori sono molto interessanti, soprattutto le voci al contrario disseminate nell'album, che sono allo stesso tempo inquietanti e umoristiche (conoscendo il motivo per cui sono state inserite). Magari non c'è molto da dire su questo album e magari non è essenziale, ma non è certo un'aggiunta fastidiosa alla vostra collezione di dischi nel caso decidiate di acquistarlo.


Lynne, sempre più stressato e non interessato all'attività dal vivo, decide anche questa volta di non fare un tour per questo album. Non solo, ma il bassista Kelly Groucutt, con loro da "Face the Music" e ormai divenuto una presenza tangibile nel sound del gruppo, viene licenziato. Groucutt, a questo punto, fa causa legale contro Lynne per mancato pagamento di royalties (e vince). Per questo motivo, Jeff per qualche anno mette in ibernazione il progetto ELO. Nel 1986, la formazione, ormai ridotta ad un trio (consistente da Jeff Lynne, che, come nel primo album e in "Eldorado" suona anche il basso, Richard Tandy e Bev Bevan), senza nemmeno più un'orchestra che argomenta le composizione, incide quello che sarà l'ultimo album per 15 anni, soltanto per adempiere alle esigenze di contratto. La svogliatezza e la stanchezza, come immaginabile, sono alle stelle e nel risultato finale si percepisce non poco.



BALANCE OF POWER (Jet, Marzo 1986)

Come già detto, si tratta di un album preparato appositamente per adempiere a obblighi contrattuali, senza nessuna voglia da parte del gruppo di parteciparvi veramente e quindi, con il minimo impegno. Purtroppo, la cosa è abbastanza evidente: sia nella produzione, che nella composizione, che nell'esecuzione, che, addirittura, nella copertina questo è l'album più spento e impersonale del gruppo. Con questo non si vuole dire che sia suonato male o che sia prodotto male, ma che semplicemente non abbia niente di distintivo o di memorabile. "Heaven Only Knows" apre il disco in maniera blanda e poco interessante, e così si continua per tutto l'album, con una parziale eccezione di "Sorrow About to Fall", grazie al sassofono di Christian Schneider, che le dà un suono inusuale, fino ad arrivare alla conclusiva "Send It", uno dei brani più brutti degli ELO. Il disco è il più breve della discografia (34 minuti), ma è così noioso e vuoto che è come se fosse il più lungo. Un brutto episodio, da dimenticare, che chiude la discografia classica in maniera triste e grigia.


Stranamente, per questo album viene organizzato un tour in Europa, ricevuto in maniera abbastanza entusiasta, con una comparsata di George Harrison in qualche data, ma è chiaro che Lynne ormai ha perso interesse nel progetto e annuncia la decisione di non voler più continuare. Bevan, non rassegnato, un paio d'anni più tardi chiede a Lynne di registrare un nuovo disco, ma questo declina. A questo punto, Bev decide di andare avanti da solo, ma Lynne non è d'accordo che usi il nome Electric Light Orchestra. Per questo motivo, da adesso in poi, Bevan comincia un nuovo gruppo chiamato Electric Light Orchestra Part II reclutando ex membri del gruppo, e pubblicando due dischi (a mio parere poco interessanti e che non analizzeremo qua, poiché si tratta di un gruppo diverso) con nuovo materiale. Nel 1999, Bevan abbandona questo progetto che da lì in poi si tramuterà in The Orchestra.


Dopo aver pubblicato qualche disco solista e fatto varie collaborazioni (soprattutto con gli ex-Beatles), Jeff Lynne, per qualche motivo, nel 2001 decide di fare uscire un nuovo prodotto a nome Electric Light Orchestra. Bevan non è presente, per la prima volta, e nella maggior parte dei brani Lynne suona tutti gli strumenti, ma ricompaiono i violoncelli e comparsano nel disco l'ex ELO Richard Tandy e due degli eroi di Lynne: Ringo Starr e George Harrison (una delle sue ultimi incisioni prima della morte).



ZOOM (Epic, Giugno 2001)

OK, magari non si tratta di un lavoro degli ELO vero e proprio, visto che Lynne suona tutti gli strumenti, anche se non bisogna dimenticarsi che il 98% dei brani degli Electric Light Orchestra sono stati scritti e arrangiati da Jeff Lynne e che senza di lui non si può parlare di Electric Light Orchestra (proprio per questo il gruppo di Bev Bevan si chiama ELO pt.II), ma è certamente molto meglio di quasi tutto quello che è stato pubblicato dal 1980 in poi. Il disco suona fresco e entusiasta, il contrario di "Balance of Power", e offre un nuovo finale alla discografia, più energico, allegro e ottimista. Ecco quindi che spuntano ottimi brani rock come "State of Mind" (dal riff potentissimo), "Easy Money", "Alright", "Melting in the Sun" e ballate convincenti come "Moment in Paradise", "Just for Love", "Ordinary Dream" e "A Long Time Gone". Questo disco non è esente da difetti: ad esempio, la produzione non è eccelsa, e complessivamente suona un po' monotono, ma sono facilmente sopportabili. Per quanto sia brutto dirlo, l'assenza di Bevan non si nota molto: né batteristicamente (e qua, purtroppo, si conferma quanto ho detto prima), né a livello di imput creativo (per quanto Bevan non ottenga molto credito, sicuramente ha contribuito a più di una cosa: in fin dei conti, assieme a Lynne, è stato l'unico ad aver vissuto l'intera epoca storica del gruppo), segno che Lynne è in grado di fare tutto perfettamente da solo (ma magari non di ricreare capolavori come "Eldorado" o "Face the Music").


Un tour, con Richard Tandy e Matt e Greg Bissonette nella line up, viene programmato, ma solo una data viene effettivamente fatta e il resto del tour viene inspiegabilmente cancellato, forse per scarse vendite. Con questo, il progetto viene ibernato ancora una volta, per più di 10 anni. Proprio quest'anno (2013) e l'anno scorso, l'interesse verso gli ELO si è timidamente riacceso, e stanno uscendo remaster e compilation varie. Non abbiamo mai analizzato nessuna compilation, in quanto nessuna conteneva inediti, ma ce n'è almeno una che vale la pena prendere in considerazione.



MR. BLUE SKY: THE VERY BEST OF ELECTRIC LIGHT ORCHESTRA (Frontiers, Ottobre 2012)

Non si tratta di un disco vero e proprio, ma ogni brano di questo best of è stato reinciso dal solo Lynne (che suona tutti gli strumenti, in maniera anche abbastanza egregia) e questa differenza è tale da renderlo considerabile valido e degno di analisi come un live album. Secondo Jeff Lynne, queste versioni dei brani sono superiori agli originali. Chiaramente no, ma è bello sentire queste alternative e constatare che non sono molto differenti dalle versioni sugli album. La voce di Jeff Lynne non è cambiata minimamente, forse leggermente più sofferta nelle note più alte, ma comunque incredibilmente somigliante alla voce che aveva 40 anni prima. A fine album, come premio, troviamo anche l'inedita "Point of No Return", un buon rock simile a quelli di "Zoom". Questa compilation è un sampler perfetto per chi vuole avvicinarsi alla musica degli ELO, perché rappresenta fedelmente gli originali senza sostituirli. Anche la scaletta è interessante, incentrata maggiormente sul periodo d'oro del gruppo.



Probabilmente, adesso il capitolo Electric Light Orchestra è chiuso, a meno che Lynne e Bev Bevan non decidano di riunirsi e fare qualcosa insieme (Kelly Groucutt è tragicamente scomparso nel 2009), ma le probabilità sono estremamente basse, a quanto pare. In definitiva, si tratta di una band molto interessante, che nel suo primo periodo ha inciso dischi assai belli e innovativi che non mancavano di melodie brillanti e perfettamente orecchiabili. Anche il periodo più commerciale del gruppo è rispettabile sotto molti punti di vista, anche se non molto soddisfacente. Jeff Lynne è senza dubbio un musicista con grande senso melodico, in grado di scrivere melodie brillanti e che, quando è entusiasta di partecipare a un progetto, è in grado di offrire grandi cose.



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