Pionieri del Progressive Metal, i Dream Theater sono una delle migliori espressioni del genere soprattutto negli anni '90. Amatissimi ed odiatissimi, il pubblico si divide in chi li apprezza in tutte le loro sfumature e in chi li considera ripetitivi ma in particolare “senza cuore”, puntando solamente a quella che è l'esaltazione della tecnica che spesso va a discapito della melodia. L'ipertecnicismo simile a quello degli Emerson, Lake And Palmer e in effetti le principali ispirazioni della band partono esattamente dagli albori del Progressive Rock anni '70: Genesis, i già citati ELP, Yes, Pink Floyd e King Crimson soprattutto. La componente Hard/Metal facendo sempre riferimento ai passati Black Sabbath, Deep Purple e Led Zeppelin, arriva grossomodo dagli anni '80 con lo sviluppo del Trash tipico Metallica e dell'Heavy Metal degli Iron Maiden. Tappa fondamentale di ispirazione della band sono i Rush a cui Portnoy è molto attaccato. Iniziando sotto il nome di Majesty (poi sostituito con l'attuale a causa di diritti), i Dream Theater hanno realizzato una demo con il cantante Chris Collins poi sostituito da Charlie Dominici. Con lui è arrivato il primo album sotto il nome storico della band: When Dream And Day Unite (1989). In realtà anche se il disco rimane di pregiata fattura, la band troverà il suo sound tipico solamente con l'arrivo di James LaBrie, ex Winter Rose, sfornando quello che da sempre è considerato il più grande capolavoro della band: Images And Words. Gli anni '90 continueranno ad essere gloriosi per la band. Ad Images And Words succede Awake che sfocia in sonorità più cupe e tenebrose. Da lì in poi i DT continueranno a mantenere il proprio stile ma passando verso una fase più Progressive Rock (Falling Into Infinity (1997)), fino all'avvento di Jordan Rudess che sostituisce Derek Sherinian già a sua volta rimpiazzo di Kevin Moore durante il tour di Awake. Proprio con Rudess arriva il capolavoro che si contende il trono di pietra miliare del gruppo con il già citato IAW: Metropolis Pt.2 "Scenes Form a Memory" (1999), un concept album apprezzatissimo e profondissimo, seguito poi dal meravigliosoSix Degrees Of Inner Turbulence (2002) (incredibile l'esecuzione dell'omonima suite con l'Octavarium Orchestra nel live Score). Era il 2002, ed è proprio da lì e dal successivo Train Of Thought (2003) che iniziano a girare critiche. Gli appassionati si dividono, chi li critica da Train Of Thought e reputa Octavarium (2005) un album non rilevabile tranne per la suite omonima e chi li etichetta come ripetitivi e avvicinati troppo al metal da Systematic Chaos (2007) in poi. In effetti, gli americani, cominceranno da SC ad intraprendere sonorità più “metallare” fino poi ad alimentare perplessità con l'ispirazione quasi Black Metal che caratterizza l'ultimo, pessimo album Black Clouds & Silverlinings (2009). Da notare che a partire da Train Of Thought, ogni album, nonostante possa essere poco apprezzato, ha sempre la sua canzone di riferimento, quella che in un certo senso aiuta a trovare positività nel disco. A partire da In The Name Of God, Octavarium, passando per In The Presence Of Enemies e The Count Of Tuscany. Quello che succede successivamente è ancora più discutibile degli avvenimenti passati. Il 9 settembre 2010, Mike Portnoy, membro fondatore con John Myunge John Petrucci, storico batterista apprezzatissimo a livello mondiale, abbandona la band. Alla fine della sua partecipazione con gli Avenged Sevenfold alcune fonti testimoniano il fatto che lo stesso Portnoy abbia richiesto di tornare nei DT ma a quanto pare è stato rifiutato. E' un momento di difficoltà su cui i Dream Theater si mostrano nello stesso tempo simpatici e ridicoli. Infatti verranno provati 7 batteristi di fama mondiale che daranno vita a un documentario stile sitcom dal titolo “The Spirit Carries On”, come l'omonima canzone simbolo della band. Nonostante la grandissima prova di Marco Minnemann, uno dei più grandi batteristi moderni con Gavin Harrison dei Porcupine Tree; LaBrie e compagni scelgono Mike Mangini (ex Annihilator e Steve Vai) che più si avvicina alle caratteristiche di Portnoy e dimostra di avere un'umiltà rara per persone che lavorano a questi alti e pregiati livelli. La nuova formazione dopo alcune date pre-nuovo album attraversando l'Europa darà vita ad A Dramatic Turn Of Events.
Questo excursus d'introduzione sulla storia riassunta della band e sui fatti che riguardano l'abbandono di Portnoy è fondamentale per riuscire a percepire cosa si cela dietro gli aspetti e i temi di questo nuovo lavoro in studio.
L'album rappresenta un grande passo avanti rispetto agli ultimi, le sonorità tornano simili a quelle già espresse negli anni '90, ma nonostante tutto non c'è nulla di nuovo nello stile della band che da anni rimane radicato sullo stesso livello. Ma andiamo ad analizzarlo passo per passo. Canzone di apertura è On The Backs Of Angels, pubblicata sul canale della casa discografica (Roadrunner Records) in modo da essere già presentata nelle date del tour di Luglio. Per questa canzone è stato registrato anche un video, simile alla struttura di A Rite Of Passage, e con un LaBrie spiccante per un paio di occhiali abbastanza inguardabili. Comunque sia, il brano ha come tutte le canzoni della band un inizio coinvolgente dove man mano entrano i membri uno per volta. Per primo Petrucci che esegue un intro simile a quello di Endless Sacrifice o In The Name Of God però in questo caso abbiamo un evoluzione diversa, infatti, si addentrano all'interno del brano insieme Rudess e Mangini fino all'esplosione iniziale. Il riff è tipico, nulla da segnalare, ma quello che notiamo fin da subito è lo stato vocale di LaBrie. In quest'ultimo lavoro della band si percepisce più di ogni altro quanto sia calato il cantante canadese e quanto l'età influisca anche sulla prestazione vocale. Non c'è un acuto e come analizzeremo, le parti cantate sono spesso fin troppo statiche e melodiche per una band di questo livello. La canzone è estremamente orecchiabile ed ha il sound tipico di un singolo ma la parte strumentale nel centro della canzone è virtuosa tanto quanto le altre. Come vedremo Rudess e Petrucci spesso si scambieranno soli in diversi tipi di sfumature, mentre John, come anche in questa canzone, manterrà lo stesso stile che lo ha caratterizzato fino ad adesso, Jordan spazierà su tutti gli strumenti che gli competono, grazie soprattutto alla sua immensa qualità; quindi il pianoforte rappresenta la breve fase di stand-by del brano che a sua volta introduce il solo di Petrucci. Successivamente avremo la ripresa del ritornello con la chiusura che riprende il motivo del riff iniziale. Il secondo brano, Build Me Up, Brake Me Down, è di sicuro, obiettivamente, il più banale dell'intero album. La canzone sembra avere lo stesso ruolo che A Rite Of Passage ha in Black Clouds & Silverlinings, ovvero una traccia inizialmente accettabile ma a lungo andare, davvero stancante. In questa canzone si evidenzia quella che è una struttura spesso ripetuta e riutilizzata dai DT. Si articola in queste fasi: Introduzione, strofa, ritornello, strofa (spesso con una base diversa da quella della precedente), ritornello, strumentale e conclusione. Anche se in questo caso lo strumentale ha poca importanza, la struttura si ripresenta anche in Lost Not Forgotten, terzo brano. E' il primo dei quattro che superano i 10 minuti, quindi uno dei più articolati. Anche qui l'introduzione in piano permette l'esplosione iniziale e i toni, come si evince dalla sonorità più macabra della chitarra, si fanno più pesanti. La voce di LaBrie è leggermente più cattiva dei brani precedenti ma sempre statica e incapace di trasmettere emozioni. Una delle fasi principali del brano è il ritornello, se così lo vogliamo chiamare, che si struttura in quattro frangenti inframezzati da piccole sezioni strumentali. Dopo questo, come di norma, c'è l'evoluzione virtuosa della canzone. Inizia Petrucci, con uno dei classici soli in cui il ritmo cambia continuamente, procede Jordan Rudess, che in questo caso usa la sua tipica sonorità, senza richiami al passato. Come già specificato in precedenza, ancora una volta viene riproposto il ritornello seguito dalla conclusione che qui non è altro che la riproposizione dell'introduzione. Non può mancare così come in ogni album dei Dream Theater, la cosiddetta “ballata”, qui addirittura ne abbiamo tre. La prima è This Is The Life e già il titolo fa pensare alla reazione della band nei confronti dell'abbandono di Portnoy. A differenza di esperimenti mal riusciti come Wither, questa è una delle canzoni più emozionanti dell'album. Da notare la presenza del “Morphwiz”, un applicazione creata direttamente da Rudess per Iphone e Ipad che in effetti è un vero e proprio strumento musicale. E' una delle innovazioni più importanti che permette di creare sonorità mai sentite non solo nei DT ma anche al di fuori del genere. Emozionante anche il solo di Petrucci, simile allo stile di Peruvian Skies, poco Metal ma molto melodico, infatti notiamo come John si impegni a rendere gli assoli più significativi emozionalmente e meno fini a se stessi tecnicamente. Come avete notato i protagonisti sono sempre loro due. La traccia successiva, dal titolo Bridges In The Sky, che in realtà inizialmente doveva chiamarsi The Shaman's Trance, ha un inizio che molti probabilmente hanno inteso come un eruttazione accentuata, chiamata da alcuni scherzosamente in “tempi dispari”, è praticamente impossibile non riuscire a mantenere un aspetto serio inizialmente. Prima del riff iniziale, che ricorda i toni oscuri e cupi di Awake, c'è un ulteriore introduzione con un coro religioso che altro non fa che incutere ancora più terrore. L'inizio è di quelli travolgenti, la sonorità è cattiva, come quella già ascoltata in brani come Honor Thy Father. Nulla da segnalare nella strofa cantata, discreto il ritornello anche se stona leggermente con il suono più tenebroso del resto del brano. Ottima la sezione strumentale, mentre John dà ancora ampio spazio all'esaltazione della sua tecnica personale, Jordan subentra con le sonorità di un organo hammond alla Jon Lord, con richiami ai Deep Purple e a tutti i più grandi Hammondisti. Segue il cambio dall'Hammond al Continuum Fingerboard, il “tappeto magico” già protagonista per esempio nel finale di The Dark Eternal Night. In conclusione senza ripeterlo, torna il ritornello, e ritorna l'eruttazione iniziale. A Bridges In The Sky segue Outcry, un brano altamente pieno di sorprese e incredibilmente tecnico. Come in tutte le altre tracce, Mike Mangini si comporta degnamente, interpretando a pieno le parti scritte da Petrucci. Questo in effetti è il problema; anche se il chitarrista rimane un grande compositore, Mangini sicuramente avrebbe aumentato il livello dell'album se avesse avuto carta bianca. Si tratta di un batterista ultra veloce (detiene due record mondiali) e perfetto per un gruppo come i Dream Theater, riguardo allo stile che hanno adottato fino ad adesso. La canzone si concentra in particolare nella parte centrale dove avvengono cambi di ritmo in continuazione e spesso poco omogenei tra di loro, un po' a ricreare i passi che caratterizzano un Metropolis Pt.1 o un Take The Time. Alcuni di questi passaggi sono altamente stimolanti, basti pensare ai numerosi unisoni che rappresentano una delle caratteristiche fondamentali della band e allo scambio di battute dove Myung accompagna da solo Mangini. Inizialmente la canzone potrà parere confusionaria ma in seguito incomincerà a piacere di più. Esattamente da questo punto inizia il capitolo perfetto dell'album. Far From Heaven è una splendida canzone romantica, in cui anche LaBrie si comporta bene. Il tutto è affidato al pianoforte piangente di Rudess e ai violini di sottofondo, è un atmosfera commovente. La canzone è la più corta dell'album ma è proprio da questa in particolare che si scopre l'animo sensibile della band. In definitiva non è assolutamente da sottovalutare ma da apprezzare a pieno, in particolare perchè introduce il brano più significativo di tutto il lavoro dal gruppo americano. Breaking All Illusions è la ciliegina sulla torta che rievoca i bei momenti passati. Un bellissimo pezzo che richiama inizialmente per struttura e per tono, Learning To Live. Dopo l'accelerazione che avviene successivamente, avviene un intenso scambio. Nel primo Rudess rievoca i suoni del flauto traverso, strumento storico del Progressive Rock e portato in alto grazie anche a Ian Anderson dei Jethro Tull, nel secondo passa al pianoforte, nel terzo all'Organo; tutti divisi da un esplosione che dopo il terzo spunto, quello dell'organo, si placherà lasciando le redini del brano a Petrucci. Il solo che scaturisce da tutto questo è tipico del chitarrista; parte dal soft per aumentare sempre di più. Un po' come in The Spirit Carries On, dove si riprendevano sonorità Pink Floydiane, anche se qui è completamente diverso. Tornerà alla ribalta il tastierista della band che utilizza un suono simile a quello che si poneva prima della chiusura di Beyond This Life, dopo i precendenti assoli. Il finale della canzone è in stile epico, ma è perfetto per il ruolo che assume, ovvero è una degna conclusione sì, ma che non ancora trova il lieto fine che arriva con Beaneath The Surface. In questo finale c'è tanta allegria, la “drammatica serie di eventi”, finisce con l'inizio di una nuova vita e questo rispecchia il carattere di Mangini e compagni.
Come detto tutto questo rappresenta un netto miglioramento rispetto agli ultimi lavori in studio. E allora la domanda che alcuni si chiedono è: “Ma era davvero Portnoy il problema?” “Era lui che spingeva la band verso sonorità eccessivamente Metal?”. Questo non lo sappiamo, ma siamo a conoscenza del fatto che lo stesso Portnoy ha commentato l'album definendolo troppo simile ad Images And Words, non sappiamo se per invidia o se per giudizio, anche perchè qualche mese prima aveva preannunciato di non voler fare nessun commento sul nuovo lavoro. In ogni caso Mangini rappresenta ciò che fa al caso della band, è simile a Portnoy ma si comporta diversamente. Appunto perchè è simile, i Dream Theater hanno voluto non rischiare e decidere di mettere sotto contratto un batterista che non stravolgesse lo stile del gruppo. In effetti Marco Minnemann probabilmente avrebbe portato qualcosa in più, non dal punto di vista tecnico (qualcuno potrebbe anche pensare questo), ma soprattutto per la novità. Tuttavia Mike Mangini si è dimostrato una persona incredibile, chiedendo scusa al pubblico di Roma per aver mancato l'attacco di Fatal Tragedy il 4 luglio e mostrando tantissimo affetto nei confronti dei fan, quindi in quanto a lato umano è una garanzia, anche per il lato professionale ovviamente. L'unica pecca, che rimane una questione di abitudine, è la nuova sonorità che lui offre. La sua Pearl ha un suono differente e forse peggiore rispetto alla Tama di Portnoy.
Il voto finale di quest'album scaturisce da diversi fattori e da diverse motivazioni che adesso vado a spiegarvi.
Le domande che potrebbero essere poste sono due:
Perchè non un voto superiore?
Perchè l'album anche se molto apprezzabile non presenta nulla di nuovo e la grandezza di una band sta anche nella novità. E' normale comunque sia, dopo 25 anni di carriera, avere un calo di creatività ma nonostante tutto, le melodie e la tecnica non mancano.
Perchè non un voto inferiore?
Perchè i Dream Theater hanno attraversato un momento difficile. Dopo l'uscita di Portnoy, è venuto a mancare di fatto il membro che più è amato dal pubblico. Nonostante tutto, la band si è messa subito al lavoro cercando un nuovo batterista e presentando in poco tempo un album che rappresenta comunque una svolta positiva.
Il voto più importante però rimane quello che voi sentite dentro e le emozioni rimangono una questione di puro apprezzamento personale.
Voto:7