giovedì 20 aprile 2017

Margherita Zanin - Zanin (Platform Music, 2017)

"Zanin" della savonese Margherita Zanin è una recente uscita discografica di Platform Music, etichetta indipendente lombarda nuova di zecca. Una pubblicazione non attualissima, che soffre un po' per le influenze antiquate (blues, canzone d'autore italiana fuoriuscita delle prime edizioni di Sanremo, rock folkloristico statunitense), un po' per l'alternanza linguistica inglese-italiano che continua ad essere sempre più canonica nei lavori di artisti particolarmente giovani, vuoi per la maggior consapevolezza nell'uso della lingua anglosassone, ma anche per quella visibile confusione identitaria che permea un po' tutto il mondo musicale odierno nel nostro paese, più teso ad imitare che a creare. A sopperire alle mancanze causate da queste debolezze, intervengono il calore della voce dell'interprete, la precisione chirurgica di alcuni innesti strumentali, gli arrangiamenti generalmente azzeccati e ben concepiti. Nell'eterogeneità del prodotto, che rimane evidente nonostante ogni singolo pezzo sia ben oltre la sufficienza, spiccano momenti tra loro collegati  da una sana matrice emotiva ("Piove", "Travel Crazy"), ma anche una sorprendente attualizzazione di "Generale" di Francesco de Gregori, pallino di molti negli ultimi decenni ma pane per i denti della ventitreenne Margherita, che la fa sua in una maniera del tutto originale. 

Ciò che non si capisce di questo lavoro è la finalità, l'obiettivo. Si vuole fare pop, richiamando l'esperienza ad Amici, oppure si vuole stupire con un prodotto underground? Il risultato è borderline, ondivago, galleggiante tra i due estremi, e ciò lascia spazio ad un giudizio un po' ambiguo: da un lato, i cenni ad un'evidente formazione blues ci fanno sentire ed apprezzare una Janis Joplin dei nostri tempi, dall'altro i brani più acustici come "You're Better Out" non riescono ad emozionare. 
In ogni caso, viste le virtù tecniche di questa ragazza, è possibile vedere molto di più nei futuri dischi, e un album come "Zanin" può trovare posto nelle discografie di molti fanatici di tutto quello che sta in mezzo tra Celentano, la Vanoni, Bob Dylan e Patti Smith.

mercoledì 5 aprile 2017

Michele Cristoforetti - Muoviti (Stivo Records, 2016)

Michele Cristoforetti è un nome pressoché sconosciuto nel panorama musicale italiano, ma non sconcerta nessuno reperire nel suo "Muoviti" una professionalità degna di artisti ben più navigati. Il suo è un cantautorato semplice, genuino, confezionato meticolosamente nei suoni e nelle parole, impreziosito da inflessioni dialettali trentine nella pronuncia che gli donano un'aria di spontaneità non indifferente. Dove non arriva a stupire è invece negli intenti di essere pop, un'urgenza espressiva evidente in molti punti della tracklist ma che sembra forzata, tradendo forse la vera ubicazione di genere che potrebbe essere la canzone d'autore classica à la Francesco de Gregori (di cui troviamo una timida ma convincente reinterpretazione di "La Storia Siamo Noi"). 
Il brano più pregno di sonorità rock tradizionali è il singolo "Sigaro Cubano", che vede anche la partecipazione alla chitarra di Maurizio Solieri, forse incidentalmente il momento più gioioso, divertente e spassionato, anche grazie alle influenze ska. Un altro pezzo degno di nota è "Il Mio Tempo", al primo ascolto già martellante, una profonda analisi interiore di spessore autobiografico. La rivisitazione di "Gente Metropolitana" di Pierangelo Bertoli, ultima delle due cover presenti nel disco, stupisce per la sfacciataggine e la leggerezza con cui si appropria della grande voce dell'interprete di "Sera di Gallipoli" e "Povera Mary", riuscendo a rendergli onore e a non risultare né un imitatore né un wannabe delirante. 
Il missaggio del disco, affidato al conterraneo Jacopo Broseghini dei Bastard Sons of Dioniso, è tagliente e preciso, forse un po' da smussare sulle frequenze alte, ma comunque azzeccato per la tipologia di prodotto. I contenuti molto intimistici lo rendono un album, come già dicevamo, non troppo radiofonico, ma nella scrittura Cristoforetti dà il meglio di sé e se qualcuno si ricorderà di questo lavoro sarà proprio per le parole.

domenica 2 aprile 2017

Rossella Aliano - Blood Moon (Autoproduzione, 2017)

"Una Statua sulla Cattedrale". Citiamo subito il pezzo più classico e tradizionale nel lavoro della siciliana Rossella Aliano, anche perché l'unico, al netto di inflessioni dialettali e riferimenti espliciti, a rivelare la provenienza della cantautrice. Il disco, in verità, ha pochissimi tratti siculi e mediterranei, e vira più verso una musica d'autore moderna, sporca di elettronica, lasciando da parte le influenze più folk, da decenni tipiche dei songwriter di queste terre. In "Ali di Ferro" subentra anche un gusto quasi omerico, una narrativa da epopea, che allontana le sonorità elettroniche sintetiche à la Battiato per rientrare nel mondo del folklore, già circumnavigato dalla stessa Aliano nel suo precedente progetto Liberadante. In generale, il punto forte del disco è sicuramente la virata verso suoni contemporanei, synth, beat, contaminazioni interessanti e che sferzano via il sentore di essere di fronte all'ennesimo racconto di paese messo in musica dal cantastorie di turno. L'interpretazione vocale è ottima, con un unico tasto dolente - la chiusura in inglese - e tantissimi picchi d'intensità. Non virtuosismo barocco ma sentimentalismo, convinzione nel messaggio, emotività. Il singolo "Giuda", come si addice ai brani tipicamente radiofonici, è ballabile, banale, ma rimane in testa, e le soluzioni ritmiche scelte appaiono semplicistiche quanto martellanti ed efficaci.
"Blood Moon" pecca di mancanza di entusiasmo, di dinamiche, di saliscendi emozionali. Risulta un po' piatto, anche nelle scelte estetiche extra-musicali, ma in ogni caso si presenta come un pacchetto interessante, sicura anticamera di qualcosa di più denso e concreto. 

Charlie - Ruins of Memories (Incadenza, 2017)

"Ruins of Memories" di Carlotta Risso, aka Charlie, parte azzoppato da un titolo leggermente maccheronico, anche se meno della media e con dalla sua parte un'aura di evocatività. Del resto, chi sa l'inglese in Italia? Detto questo, il prodottino della giovane cantautrice genovese trasuda freschezza e genuinità post-adolescenziali, pur con un pesante fardello ideologico che sembra fare capolino dietro gli arrangiamenti più americani: portare in Italia il folk, il country e la musica d'autore statunitense senza farla sembrare né derivativa né scopiazzata. Il risultato è un po' a metà strada, ma sarebbe indelicato parlare di un brutto lavoro.
I punti di forza sono sicuramente l'immediatezza e la spontaneità dei brani. Si perché questo "RoM" è in grado di rimanere in testa già dal primo ascolto e per quasi tutta la sua durata, in particolar modo i ritornelli e le linee vocali che si sforzano di più di uscire dagli stilemi stereotipati dei generi affrontati ("Cigarette", "Superior"). Il range di suoni e di stili è molto ampio, a tratti quasi bizzarro, ma i momenti migliori sono quelli folk ("Ash and Arrow"), complice un'interpretazione impeccabile di tutti gli strumentisti.
Dove non arriva a stupire, Charlie ha dalla sua una personalità forte e un songwriting maturo, sebbene nel complesso il disco lasci un po' l'idea di aver ascoltato i Cranberries di "No Need to Argue" con un po' di Bob Dylan e Deborah Allen. E' un po' difficile, solo con questo materiale, capire se ci saranno evoluzioni di portata storica o dischi-replica che lasceranno il tempo che troveranno, ma per adesso la Risso se la scampa con una buona sufficienza complessiva, e un certificato d'eccellenza per quanto riguarda la sua vocalità.