domenica 14 aprile 2019

Miza Mayi - Stages of a Growing Flower (Altermusic, 2019)

Sound dal respiro internazionale, contaminazioni intelligenti e genuine, un'interpretazione splendida e fresca: è quello che troviamo nel primo lavoro di Miza Mayi, cantante italo-africana sicuramente ancora da dirozzare ma già indirizzata verso una direzione ben precisa. "Stages of a Growing Flower" è molto ben confezionato, e i suoi ingredienti più "ovvi", mi si passi il termine, passano dalla voce di Miza, sempre gradevole, raffinata, impeccabile, abilissima a calare sul piatto tutti gli assi a disposizione: soul, blues, jazz, gospel, una verve pop di notevole caratura, infine la capacità di riversare tutto questo in territori anche distanti, come l'elettronica o la canzone d'autore. 

L'episodio più spendibile sul mercato radiofonico è certamente "In My Dreams", seguito da "Walk Away", chiaramente per ascoltatori di altre regioni del mondo, sebbene pure in Italia, indubbiamente, un'intensità espressiva di questo calibro può andare a segno con facilità. "Burn Down My Soul" sfodera anche l'arma dell'erotismo, come altri momenti dell'album, e ipnotizza con le sue tonalità scure, quasi noir tanto quanto il testo ancora più eloquente di "Kundalini Love", un altro dei passaggi più riusciti dell'intero disco. Un po' fuori fuoco le scelte timbriche e tonali di "The Third Way", anche se probabilmente volontarie e sensate dal punto di vista della costruzione, mentre andrebbe riposta maggiore cura nel tentare di scatenare il ballo forzatamente, come con "Flowers" e "Tom Tom Town", un po' artificiose ma in ogni caso sufficienti.

In conclusione, questa uscita risulta fresca, in linea con i gusti di una generazione che nel soul e nei decenni passati prova un perno per scegliere cosa ascoltare ancora oggi. Per evitare di diventare l'ennesima voce da applausi e lacrime nelle audizioni di un talent, sarà sufficiente seguire la stella giusta tra le tante che brillano nel suo cielo. Se poi sarà quella di "Burn Down My Soul" tanto meglio. 

giovedì 11 aprile 2019

Andrea Giraudo - Stare Bene (Rossodisera, 2019)

"Stare Bene" è il titolo di questo disco del cantautore e musicista cuneese Andrea Giraudo, e forse anche il suo intento principale. Sospeso tra frivolezze citazioniste, una richiesta viscerale di contaminazioni che si appropria dei pezzi più di quanto lo facciano le parole, e un uso della voce che ondeggia sapientemente tra l'impostato e il giocoso, il tono di queste canzoni è spesso alto, aulico, come a nobilitare intenti velatamente pop. 

In qualche modo, il connubio tra intenzione radiofonica e ricerca di una cornice più prestigiosa, è forse l'operazione più riuscita di Giraudo dentro al contesto di questo lavoro. "La Guarnigione" è il momento più ruvido, dove fa capolino il rock'n'roll, ma nel complesso emerge la necessità di una maggiore intensità e presenza sonora che la può far comparire sgonfia (e poi qualcuno ci sente Ray Manzarek?). Gli apporti strumentali, tutti ottimi, spiccano quando finiscono nel piatto ingredienti fuori dall'ordinario come le fisarmoniche, gli organi Hammond, oppure le capatine nel jazz di "L'Isola in Due", dove il vero protagonista è il pianoforte. Anche il blues di "Potere Volere", un elemento se vogliamo più banale rispetto ad altre scelte, risulta in realtà un esperimento riuscito, con quelle coriste che un po' vorremmo cancellare dalla faccia della terra e un po', all'ennesimo ascolto, ci risultano fondamentali per la buona riuscita del pezzo. Andrea si sposta molto velocemente tra interpretazioni teatrali, talvolta vetuste nell'impronta, come in "Poker", e una versione più moderna, forse à la Vinicio Capossela (ma non è detto), di quel cantautorato istrionico, scherzoso, a volte buffonesco, che ebbe origine con i poeti comico-realistici del Duecento, come Folgóre di San Gimignano e Cenne de la Chitarra, meno noti di Cecco Angiolieri ma già ricordati, nel mondo della canzone d'autore più diffusa e popolare, da Guccini. 

In linea di massima, non c'è molto da aggiungere. La verve e il pathos di Giraudo sono componenti insostituibili di tutti quei pezzi che necessitano di doti vocali, liriche e interpretative un po' più spiccate, dove si rischia di sfiorare la pretenziosità. La buona notizia è che quasi sempre, Andrea, è riuscito ad aggirare l'ostacolo. Ci troviamo davanti all'eccellenza nei suoni, nella scrittura, nell'esecuzione, meno nell'arrangiamento, ma non si può chiedere troppo ad un lavoro di questo tipo, già di per sé completo nell'evidente soddisfazione del suo creatore: l'arma più potente a disposizione di un musicista. 

domenica 7 aprile 2019

Babil On Suite - Paz (Puntoeacapo Srl, 2019)

Torna il collettivo Babil on Suite e si riaccende subito l'interesse per questo pop multiforme, caleidoscopico, votato a una ricerca di contaminazioni che non risulterà mai artificiosa, grazie all'originalità, ai suoni, in generale ad una produzione di tutto punto. Dance, rap, folk, musica africana ma anche sudamericana, mood che fluttuano continuamente tra la festa e la riflessione, le parole come perno. E' incredibile quanto il mescolamento di tantissimi elementi funzioni se fatto da musicisti consapevoli delle proprie capacità, in grado di evitare quel fastidioso caos che molti progetti world music hanno messo in campo, anche nel tripudio della stampa di settore.

I racconti sono centrali, come quello del ragazzo di "You Can Be Free" o la coraggiosa rilettura, ai confini tra filosofia e storia, di un canto di Joseph Tamaru che fonde politica e analisi sull'ordine delle cose. I momenti più funk, più sostenuti, fanno davvero scatenare e danno leggerezza al lato "impegnato" del disco, come "Agora", "Call Another Boy" o quella "2 Loose 2 Loose" che cela a fatica un lato romantico che potremmo vedere approfondito in future uscite della band. Esperimento di rilievo è anche il mashup "Sing It Back", che prende i Moloko e lo sposta nell'universo multietnico dei siciliani.

Merita senz'altro un ascolto approfondito questo "Paz", e per coglierne tutte le sfumature occorre dedicarci il tempo, l'attenzione che spesso oggi abbiamo smarrito durante la fruizione della musica. Complimenti ai Babil on Suite.