sabato 23 giugno 2018

Rita Zingariello - Il Canto dell'Ape (Volume!, 2018)

A volte il mondo della discografia indipendente risulta ridondante, saturo di proposte tutte identiche, generalmente poco a fuoco. Troppi i dischi che parlano di impegno politico senza le capacità liriche e analitiche necessarie, troppi i dischi che ancora riformulano hard rock e grunge nello stesso modo di sempre, oltremodo esagerato il numero degli imitatori di Bob Dylan che pensano che nominare la Route 66 e Kerouac faccia ancora figo. Rita Zingariello, in totale dissociazione dai tanti artisti mediocri recensiti su queste pagine di recente, presenta una raffinatezza squisita quanto sofisticata, data da una sapiente integrazione tra un sound pop moderno e radiofonico, e le prepotenti contestualizzazioni indie che sono comunque sempre più preponderanti nella nostra produzione nazionale, sia underground che overground
Il termine che più descrive questo "Il Canto dell'Ape" è "delicato": si parla anche di coffee shop olandesi in "Amsterdam" ma con un romanticismo leggiadro e ispirato, così come quel controerotismo soffuso di "Preferisco l'Inverno", che nel messaggio non-convenzionale di preferenza del freddo rispetto alla calura estiva, sovverte un concetto che indiscutibilmente ha stancato, tanto forti e ripetitive sono state le sue riproposizioni dentro e fuori i tormentoni estivi (facendolo però, con sprazzi di flamenco che suonano tanto forzati quanto riusciti, un generoso plus ad uno dei pezzi più riusciti). 
Quando compaiono jazz, musica latina, western, accenni di folk italiano, Rita esprime meglio la sua voce, ed è il caso delle interconnessioni reggae di "Simili e Contrari" o delle incursioni intimiste quasi ermetiche della conclusiva "Risalire", con la sola Zingariello al Rhodes. Il finale di "Ribes Nero", invece, con quei cori quasi spiritual / gospel può cogliere di sorpresa, spiazzare, colpire, ma a ripetuti ascolti non lascia compiutamente un segno, andando a rammollire il pezzo. 

Solitamente sono i dischi più evidentemente "personali" ad assumere quel valore aggiunto di cui abbisognano per uscire dalla palude del già sentito, quando l'artista produce arte nel verso senso della parola, confrontando la realtà che lo attornia con il suo lato privato. Rita sa come scrivere, sa cantare, sa interpretare, e avvalendosi di ottimi musicisti e arrangiatori produce una piccola perla di cui nel duemiladiciotto stantìo di cui sopra sentivamo l'esigenza. 

domenica 10 giugno 2018

Riccardo Maffoni - Faccia (La Pare Music, 2018)

A dieci anni dal precedente "Ho Preso Uno Spavento", ritorna sulle scene italiane il bresciano Riccardo Maffoni, mettendoci la proverbiale "Faccia" per riuscire a rimanere in equilibrio tra coerenza e novità, riuscendo contemporaneamente ad accontentare chi già lo conosceva e a raggiungere certamente più di qualche nuovo proselita. Le influenze sono molto variegate, e questo aiuta ad identificare l'ampiezza del pubblico che si desidera agganciare, o forse solamente i tanti ascolti dell'autore: rock, blues, la combinazione springsteeniana dei due ("Cambiare...") musica popolare italiana, country, beat elettronici ("Mi Manchi di Più"), momenti di follia psichedelica, una linea che zigzagando tra tutta la nostra storia recente congiunge Adriano Celentano e i Subsonica, sbattendo a tutte le curve quando si sofferma ad elogiare/imitare Ligabue, Vasco, il primo Grignani. I contenuti sono ormai uno standard in qualsiasi nuova pubblicazione: impegno sociale, amore ("Le Ragazze Sono Andate" la più originale in questo contesto), autoanalisi, disillusione. Il modo in cui si affrontano gli argomenti, ormai, qui, è sempre lo stesso, e non merita particolare approfondimento neanche in questo caso. ù
Musicalmente, tutti fanno il loro lavoro, ma nessuno spicca. E' come se stessimo ascoltando in loop uno dei qualsiasi dischi rock fotocopia che sono seguiti a "Buon Compleanno Elvis" e "Nessun Pericolo per Te", quando gli anni '90 hanno fatto schiantare nel mare della banalità l'aliante dei Litfiba, che pure qui si sentono.
In sintesi, Maffoni è bravissimo a inserire tutto sé stesso in un lavoro a lungo atteso, ma non si percepisce quell'autenticità che forse ci si aspetterebbe a dieci anni dal precedente disco.