sabato 14 ottobre 2017

Iron Mais - The Magnificent Six (Maninalto!, 2017)

Sono già passati due anni da quando milioni di telespettatori incollati davanti a X Factor sono stati investiti dal "rock agricolo" degli Iron Mais. Non andarono molto oltre le selezioni, ma la loro caratterizzazione molto forte ed ironica, un'estetica a dir poco sopra le righe, così come la diversità dal mucchio di aspiranti popstar modaioli e commoventi, li ha sicuramente fatti rimanere nella memoria di molti, a dire il vero più di alcuni vincitori. Si, perché con banjolele, violini, banjo, contrabbassi e un po' di ritmica, questi ragazzi sono un sestetto fuori dagli schemi, che punta tutto sulla simpatia e su una notevole capacità strumentale che gli permette di riarrangiare grandi classici come "Nothing Else Matters" dei Metallica e "Another Brick in the Wall" dei Pink Floyd senza mancare di rispetto agli originali. 
Il risultato è un misto di folk, bluegrass, musica western, che loro chiamano ora "cowpunk" e come definizione è pure calzante. Sono sei gli inediti, sei piccole perle di verismo moderno ritagliate sui personaggi che interpretano, in primis il frontman Testa di Cane, gonfie di un sarcasmo intelligente e che non fa leva sugli stereotipi di oggi per far ridere. Per intenderci, si riesce a scherzare sulla necessità di fare il tagliando al trattore, senza ricorrere a battute sui social network o sui talent show. Non poteva mancare un tributo agli Iron Maiden, da cui prendono nome e font del logo, con una "Can I Play with Madness?" veramente azzeccata, forse la miglior rivisitazione dopo "Rhythm of the Night" dei Corona che vince su tutti gli altri brani quanto ad orecchiabilità. Visto che questo pezzo, dai Bastille a retrocedere negli anni, lo hanno rifatto centinaia di artisti, vogliamo dargli uno spazio in rotazione? I ragazzi lo meritano veramente. 

"The Magnificent Six" inquadra perfettamente quello che vogliono gli Iron Mais. Divertirsi, divertire, suonare. Non serve gingillarsi con assoli, tempi dispari, urla sperticate. Basta la voglia di salire sul palco e spaccare tutto. Quando si è in grado di farlo, si arriva, anche se non si suona come i Radiohead. Congratulazioni, veramente. 

mercoledì 4 ottobre 2017

Gizmodrome - Gizmodrome (Ear Music, 2017)

Un supergruppo è un progetto musicale composto da personaggi che precedentemente facevano parte di altre band importanti o note. Facendo qualche esempio (Blind Faith, Asia, Emerson Lake & Palmer) si noterà che per lo più si tratta di progetti con una matrice molto seriosa, quasi si trattasse di forze sovrannaturali che si sono unite per creare qualcosa di un gusto superiore. Come spiegato nel libretto dal batterista Stewart Copeland, la premessa con cui i Gizmodrome si sono formati è semplicemente quella di quattro amici che si sono trovati insieme per divertirsi creando un po' di musica: il fatto che questi amici siano stati in giro con gente come i Police, i Talking Heads, David Bowie, Frank Zappa e  i King Crimson passa quasi in secondo piano. Di certo,  comunque, ascoltando la musica non si ha quel timore reverenziale che si ha con altri progetti del genere e che, qualche volta, tende a scadere nella pretenziosità. 

Dei quattro membri del gruppo, il predominante è di sicuro Stewart Copeland che scrive quasi tutti i testi, compone molte delle musiche e canta tutte la voci soliste. Questo ultimo fatto può sembrare curioso, considerando che due degli altri membri del gruppo, oltre che come strumentisti, sono famosi anche come cantanti solisti mentre Stewart, all'interno dei Police si limitava principalmente a suonare la batteria; in effetti, sicuramente non possiede le capacità canore dei suoi colleghi e certamente ha un'estensione limitata e una timbrica non particolarmente pulita. Eppure, il suo modo di cantare è personale e decisamente piacevole e ben si sposa con i testi ironici che scrive. Non dimentichiamoci, inoltre, del suo progetto solista coevo ai Police, Klark Kent, nel quale cantava e suonava tutti gli strumenti, con pezzi che come atmosfere erano molto simili a quelli dei Gizmodrome; a dire il vero, due brani facenti parte di quel progetto ("Stay Ready", "Strange Things Happen") vengono riproposti anche in questo album, in versioni di gran lunga superiori agli originali per via degli arrangiamenti e delle esecuzioni più brillanti. Ovviamente, però, Stewart Copeland dà il meglio di sé alla batteria: il suo drumming potente e caratteristico che aveva dato tanta personalità ai brani dei Police è intatto anche nei Gizmodrome, con l'aggiunta di un sapiente utilizzo di pattern Africani e di un buon uso delle percussioni. Al basso troviamo Mark King, il frontman del celebre gruppo pop funk Level 42, famoso per il suo massiccio uso della tecnica dello slap che dava un colore più "nero" alla musica. Tuttavia, secondo chi scrive, King dava il meglio di sé quando suonava in pizzicato: si ascoltino, ad esempio, le geniali parti di basso di brani come "The Chinese Way" o "True Believers". Nei Gizmodrome, King opta appunto per questa seconda tecnica, forse per non fare la figura del bassista stereotipato: il risultato è eccellente, solido e creativo e lui e Copeland formano una sezione ritmica di lusso. Ovviamente, il suo marchio di fabbrica si può comunque ascoltare in brani come "Spin This" e "Summer's Coming" ma il fatto che non sia così persistente la rende molto più apprezzabile. Per chi è appassionato di rock classico, il nome di Adrian Belew non necessita di presentazioni: chitarrista e cantante geniale al servizio di Frank Zappa, David Bowie, Talking Heads, Tom Tom Club, King Crimson, Nine Inch Nails (tanto per fare alcuni nomi) e con una sua carriera solista di grande prestigio. Come già accennato, in questo album il ruolo di cantante solista è affidato a Stewart Copeland e la voce di Belew quasi non si sente, se non schiacciata giù nei cori. Questa scelta, apparentemente inconcepibile, riesce ad evitare di cadere nel tranello del supergruppo, togliendo l'ascoltatore dalla zona comfort che l'avrebbe legato una voce famosa e distinguibile come quella di Belew. Comunque, se Ade canta poco, la sua chitarra canta molto ed è uno degli elementi più riconoscibili del disco, con alcuni assolo memorabili, tra i quali si segnalano quelli su "Stay Ready" e "Amaka Pipa". Infine, il gruppo è completato da un Italiano: Vittorio Cosma, tastierista e arrangiatore attualmente membro degli Elio e le Storie Tese ma già in passato con Premiata Forneria Marconi. Cosma è un personaggio sicuramente meno conosciuto a livello globale degli altri tre ma con delle capacità tali che non lo fanno sparire di certo accanto a loro. Le tastiere e gli arrangiamenti di Cosma sono un punto solido di tutto l'album e, a dire il vero, l'idea di formare i Gizmodrome è partita proprio da lui, amico di lunga data di Stewart Copeland e suo collaboratore da un bel po' di tempo. Non deve stupire, quindi, che il disco stesso sia stato registrato in Italia, agli studi Officine Meccaniche di Milano e che sia prodotto da Claudio Dentes, ovvero l'Otar Bolivecic che ha lavorato a diversi album di Elio e le Storie Tese. A dire il vero, Elio stesso compare come ospite in un brano: l'africaneggiante e spassosa "Zubatta Cheve" che non avrebbe certo stonato all'interno dell'album "Figgatta de Blanc" degli Elii.

L'album, come già accennato, ha un piglio molto leggero e divertente, grazie soprattutto ai testi ironici e scanzonati di Copeland e alla sua interpretazione. Tra i brani migliori, oltre alla già citata "Zubatta Cheve", si segnalano le trascinanti "Stay Ready" e "Ride Your Life", la movimentata e ben costruita "Sweet Angels (Rule The World)", la potente "Amaka Pipa", l'orecchiabile "Man in the Mountain" e lo strumentale di chiusura "Stark Naked" che Copeland aveva composto ai tempi dei Curved Air e di cui si può ascoltare una versione completamente diversa sul disco "Live at the BBC". La produzione è generalmente buona con tutti i suoni nitidi e chiari ma in alcuni brani la voce è un po' troppo presente ("Strange Things Happen") e, forse più per via del mastering che del mixaggio, l'ascolto ad alto volume a volte risulta un po' affaticante e fastidioso. Comunque, musicalmente, ci si trova di fronte ad un prodotto accessibile e facilmente assimilabile, magistralmente eseguito e magistralmente arrangiato. Chiunque si aspetti un disco maestoso e artistico per via delle connotazioni con i King Crimson e per la portata delle persone coinvolte, è destinato a rimanere deluso: questa è musica senza pretese, anche se non superficiale. Di conseguenza, chi, invece, vuole semplicemente ascoltare un disco solido, fatto bene e che mette di buon umore, troverà pane per i suoi denti. Del pane molto gustoso e leggero.

martedì 3 ottobre 2017

Giulia Pratelli - Tutto Bene (Rusty Records, 2017)

Giulia Pratelli è una giovane, ma per nulla acerba, cantautrice toscana, giunta alla prova di questo "Tutto Bene"con un carnet di storie da raccontare davvero notevole. Per farlo, si circonda di nomi di un certo spessore, da Zibba a Diego Esposito, passando per uno dei più grandi drummer italiani (Fabio Rondanini, già con Calibro 35, Afterhours, ecc.), creando un pot-pourri in alcuni frangenti troppo eterogeneo ma comunque espressivamente concreto, valido, diretto. 
Il linguaggio è principalmente quello del pop nostrano, quello sempre un po' sottovalutato dalle radio, tagliando una bisettrice che partendo da Gino Paoli e Luigi Tenco arriva, ai giorni nostri, a Daniele Silvestri e Niccolò Fabi, senza tralasciare il periodo iniziale di Carmen Consoli e alcune uscite recenti di Marina Rei. Proprio un brano di quest'ultimo, realizzato assieme all'amico Max Gazzé, viene rivisitato dalla Pratelli in uno dei momenti più eclatanti del disco, una "Vento d'Estate" modernizzata ed elettrificata, tratteggiando quella cifra stilistica che è propria e unica di quest'autrice: la capacità di realizzare un sano electro-pop senza cadere in nessun stilema già sentito ("Resto Ancora Un Po'"). Musicalmente, abbiamo identificato dunque l'anima nazionalpopolare immancabile e della quale onestamente siamo un po' saturi, più che altro perché il mercato non è evidentemente in grado di accogliere con l'attenzione meritata nemmeno i progetti più degni, a causa di un disastroso sovrannumero di sforzi similari. 
Liricamente, Giulia ci prova a differenziarsi da altri autori, a tratti riuscendoci, comunicando una passionalità e una profondità di vedute che possono spiazzare se fatte combaciare con la realtà anagrafica.  "Nodi", "Se" e "Penelope" spiccano sicuramente, anche se non si distingue tra le undici tracce un episodio davvero superiore agli altri. 

Che dire, qualche singoletto di sicuro appeal radiofonico, una gran voce, testi scritti bene e brani arrangiati a dovere. Manca però qualcosa che sia in grado di farla uscire dal mare magnum, dal calderone di musica italiana e italiota. Speriamo che tutti gli elementi luminosi e di classe sparpagliati in "Tutto Bene" riescano ad essere convogliati in un seguito a maggior densità di originalità. Non una critica, ma un auguri