domenica 21 febbraio 2021

Beppe Cunico - Passion, Love, Heart & Soul (Autoproduzione, 2020)

Beppe Cunico, per il suo esordio nel panorama discografico italiano, investe del tempo e rilascia il suo "Passion, Love, Heart & Soul" a tre anni dal concepimento del primo brano. La stesura di un lavoro così sfacciatamente convoluto, lungo, dispendioso in termini di energie sia per la composizione che per l'esecuzione, richiede per l'ascoltatore un notevole investimento di tempo e una soglia dell'attenzione altissima, che solo gli estimatori del prog duro e puro conservano ancora nell'epoca in cui spopolano principalmente pezzi al di sotto dei tre minuti. Sono invece tutti sopra i cinque minuti di durata gli undici episodi di un lavoro che assume immediatamente caratteristiche epiche nelle sonorità, rifacendosi ai suoi numi tutelari, dichiaratamente Steven Wilson (citato nel titolo della traccia numero quattro, "An Evening with Steven Wilson")), i Genesis, i Marillion ("The Beginning"), sicuramente anche i Pink Floyd e la seconda metà della loro carriera ("Silent Heroes", ambientato a Chernobyl). In realtà, ciò che sorprende maggiormente è l'impasto sonoro che si genera grazie alla contaminazione con il pop rock di formazioni come U2 e i The Cure ("Reinvent Yourself", il momento più leggero e orecchiabile del lotto), in particolar modo nelle orchestrazioni e nei frangenti più tranquilli e posati, come la ballad "My Life", doveroso capitolo romantico che risulta, in fondo, il più riuscito. Stupiscono i cambi d'atmosfera, la capacità di usare musica e parole come un caleidoscopio, mettendo in scena tonalità cupe ma anche solari, tragedie e guizzi di speranza e candore, oscurità, malinconia,  ma anche gioia di vivere, di esserci, di avere la possibilità di dire la propria con questi mezzi. 

Testi, arrangiamenti, pasta sonora, missaggio, interpretazioni strumentali e vocali: tutto quadra, tutto è al suo posto, senza mai uscire dagli schemi. Una perfezione che può risultare quasi un difetto, quasi il mascheramento di un'umanità che invece, ripetendo gli ascolti, pervade tutto l'album e di fatto serve a rappresentare un amore per la musica che solo un compositore come il vicentino Cunico poteva incanalare in una maniera così emozionante, senza mai annoiare nonostante la prolissità e la verbosità di alcuni costrutti. Un album necessario, per capire che la musica non è solo istantanee mordi e fuggi, ma anche elaborazioni complesse, da digerire con cognizione di causa. 

domenica 14 febbraio 2021

Boavista - Lì Dove Ci Sono le Stelle (Nutone Lab, 2020)

I bolognesi Boavista debuttano sul mercato discografico con un piacevole pop/rock scanzonato e leggero, senza pretese. "Lì Dove Ci Sono Le Stelle" strizza l'occhio a quella contaminazione tra rock ed elettronica orecchiabile e radiofonica che ha fatto la fortuna di formazioni come i Subsonica, senza tralasciare l'hard rock e il grunge degli esordi di Afterhours, Scisma, Timoria e Ritmo Tribale e un po' di indie britannico, per i momenti più allegri e ballabili. 

In otto brani, c'è modo di sentirli ruggire e pestare in brani più aggressivi ("Alibi"), dare più importanza alle parole pur mantenendo un tappeto strumentale notevole (cosa che, a dire il vero, non capita in tutti i pezzi), come nel splendido synth-pop di "Il Mondo Che Vorrei" e nella title-track, e spiazzare con la visione antitetica dell'uomo e della donna di "Penelope". Liricamente, c'è un bel vocabolario, qualche immagine forte e qualcuna più annacquata, ma in ogni caso risalta un'identità ben distinta e facilmente individuabile, che se non altro fa assaporare originalità e freschezza. Alcuni arrangiamenti fanno forse percepire troppo nitidamente quali sono i numi tutelari e le influenze di questi ragazzi ("Ruggine" e "Vedrai") ma guardando il lavoro nel complesso nessuna canzone suona male, sicuramente grazie anche alle giuste scelte sonore e ad un mastering che rende giustizia. Anche l'interpretazione vocale dona lustro alle parole in maniera ineccepibile, con un timbro che da solo riesce ad arrivare anche dove alcune scelte nel songwriting avrebbero rischiato di impoverire il risultato finale. In tutto questo, il tema del ricordo affrontato in "Come Supereroi" riesce ad emozionare, elevando questo capitolo alla posizione di brano più riuscito e toccante. 

Ci vorrebbe più grinta, ma per questa hanno tempo. Del resto è solo il primo album. Avanti così. 

domenica 7 febbraio 2021

Gregorio Mucci - Non È Un Problema EP (Agnus Records, 2020)

"Non È Un Problema" per il cantautore toscano Gregorio Mucci debuttare in maniera così ambiziosa sul mercato discografico, farlo con un EP coraggioso, breve ma intenso. L'immagine di un artista impavido sovviene alla mente dello scrivente più che altro per la forza che Mucci trasmette con le sue parole, un messaggio di resistenza, di speranza, di sopravvivenza, perfetto contrasto al grigiore del periodo storico che stiamo, e sta, vivendo. 

In verità, le tematiche sono banali, seppur trattate in un modo personale e con un lessico ricco, che permette all'autore di spaziare in diversi umori, non disdegnando nemmeno qualche capatina nel cinismo e nel sarcasmo. L'amore è quasi obbligatorio in un prodotto d'autore di questa risma ("E Aspetto Te", il brano più radio-friendly dell'EP), ma la sua versione più angelicata sorprende meno di quella più generalista, non necessariamente legata ai rapporti di coppia ma più alle relazioni come concetto cardine delle nostre vite, del pezzo che più colpisce emotivamente, forte di un'interpretazione molto accorata e quasi aggressiva negli intenti e nella realizzazione: "Non E' Un Problema", la title-track, mette in chiaro la cifra stilistica di questo artista, dotato di una penna mordace ma chiara, resa vocalmente senza inutili svolazzi e riuscendo a delineare con timbro, intonazione e variazioni armoniche il contesto emotivo/sentimentale da cui ha tratto spunto, con tutta probabilità (noi non lo sappiamo) la sua vita. Sì perché ciò che arriva forte e chiaro di questo esordio è proprio la personalità presente in maniera preponderante in ogni nota, quella sensazione di spontaneità ed autenticità cui il panorama musicale nostrano ci ha disabituato. 

Con un'apertura ("Il Jaguaro") e una chiusura ("Bambola Gonfiabile") forse meno a fuoco del corpo centrale, nasce e muore un'inizio di carriera al fulmicotone, curato in tutti i suoi dettagli, che sfugge alla stravaganza per rimanere con i piedi a terra, nella quotidianità in cui tutti ci possiamo riconoscere. Si può tranquillamente prenotare l'ascolto dei futuri lavori con relativa curiosità, dove si spera il nostro abbia modo di esprimersi in un discorso più articolato, magari approdando al suo primo full-length e con un budget maggiore per dare più lustro anche ai suoni, forse il punto debole di questa produzione. 

giovedì 4 febbraio 2021

Celeste Caramanna - Antropofagico III (Offline Artistic Productions, 2020)

"Antropofagico III" è il terzo capitolo della trilogia concepita dalla cantautrice Celeste Caramanna, artista trapiantata a Londra che si porta dietro chiari ascolti latini, pop e folk da condensare in un prodotto fresco, quantomeno nelle intenzioni. In cinque brani, questo EP ripresenta i tratti giocosi, quasi caraibici, già sentiti nella prima parte, sicuramente levigati e ripuliti da una produzione più limpida e in grado di valorizzare maggiormente le sue capacità canore e di scrittura. Un percorso di miglioramento già intrapreso e commentato dalla critica in "Antropofagico II", di appena un anno più vecchio, a testimoniare che il processo di crescita di questa autrice è rapido ed evidente

Scendendo nel vivo delle tracce, "Fill It Up" osa e colpisce col funk, fa sculettare e quindi funziona. "Hilarious" scaccia la noia e le preoccupazioni dati dalla nostra situazione attuale con un buonumore contagioso, mentre con "Let Me Pray" Celeste si e ci trasporta in un universo parallelo, molto distante dalle altre sonorità del disco con tonalità più buie e travolgenti, per il frangente di intimità più profondo dell'intera tracklist. Meno efficaci gli altri brani, senza comunque togliere niente al risultato finale. 

Fin dalle interviste e dalle presentazioni per la stampa, la Caramanna viene comunque ripetutamente dipinta come un'artista variegata, ed è tipico di chi si fregia di tale titolo voler strafare e fare la fine di Icaro. Non è assolutamente il caso di "Antropofagico III", che chiude (?) una terna divertente, quasi sempre spensierata, ma multiforme come l'anima della sua compositrice. I leitmotiv ci sono, e questo è senz'altro positivo, com'è ovviamente positivo riuscire ad individuare una personalità coerente nel deus ex machina di un progetto artistico.  Rimane un po' da limare qualche volume, anche in termini di mastering, e di songwriting, perché qualche arrangiamento risulta troppo spoglio. In ogni caso, un lavoro di buon livello che grazie anche alla sua breve durata arriva forte e chiaro. 

mercoledì 3 febbraio 2021

Daniele Fortunato - Quel Filo Sottile (Believe Digital, 2020)

Musica e amore. Amore e musica. Un fil rouge unisce questi due concetti da sempre, in tutte le forme artistiche in cui l'uomo ha saputo esprimersi nella storia. Due mondi che riescono ad abbracciarsi e ad assumere molteplici tonalità, filtrate attraverso le sensibilità e gli animi più differenti, incarnando percezioni soggettive con le sfumature che solo esistenze vissute da attori e non da spettatori possono saper dipingere con cognizione di causa. "Quel Filo Sottile, l'ultima produzione del cantautore romagnolo Daniele Fortunato, fuori da Settembre 2020, è un disco totalmente incentrato sui vari stadi del romanticismo, da quando sboccia timido con le prime tenere manifestazioni adolescenziali a quando, dopo aver attraversato le sofferenze e le delusioni più lancinanti, l'essere umano gli attribuisce significati più maturi, tinteggiando ricordi e cimeli con colori più tenui ma non per questo meno brillanti, regalandogli un'importanza che trova una collocazione ancor più individuale, un senso mai replicabile, unico per ognuno di noi. 

Grazie all'apporto di musicisti validi, decisamente sul pezzo in tutte le sette tracce, e la sapiente regia di Daniele Marzi, il nostro Fortunato mischia country (in "Aurora"), pop elegante ("Le Prime Pagine") a tratti sporcato da venature jazz di rara ricercatezza ("L'Intelligenza delle Sfumature"), e tutta la tradizione folk e cantautorale italiana, mantenendo sempre il giusto bilanciamento tra la doverosa centralità delle parole e la presenza di momenti strumentali e più studiati, sia per dimostrare capacità tecniche che potrebbe non essere necessario esibire in un disco del genere, ma anche per donare varietà e policromia al tutto. Il brano con più mordente, stilisticamente, liricamente ma anche in termini di arrangiamento, contenuto e messaggio è "Barafonda", richiamo ad un avvenimento realmente accaduto di una balena spiaggiatasi sul litorale riminese nel 1943, qui descritta dagli occhi di due innamorati che si interrogano sulle conseguenze dei comportamenti umani sulla natura con uno sguardo quasi noir.

Daniele Fortunato non espone niente di nuovo in questa interminabile galleria di dischi d'amore che in tutto il globo permea tanto i vertici delle classifiche quanto le produzioni emergenti, ma si fregia di capacità espressive e di scrittura notevoli, che possono inscriverlo senz'altro sopra quell'oceano sterminato di artisti mediocri, gonfi di stereotipi sporchi di finzione. Il timbro vocale funziona quasi sempre, ed è da segnalare senz'altro anche l'interpretazione, emotivamente trasparente, credibile. Un viaggio in un cuore che ha molto da raccontare, e ne sente l'esigenza. Chissà se il filo sottile che lega le esistenze di tutti noi porterà tanti ascoltatori ad affezionarsi alle sue parole. Qui, per oggi, ha funzionato.