mercoledì 4 marzo 2020

Hot Poop - Numero 6 - Iarin Munari

PREMESSA

La gestazione di questo articolo è stata lunga quasi quanto le registrazioni del disco stesso. Ci sono varie ragioni. Prima di tutto, come ha detto John Lennon: "la vita è quello che ti accade quando sei occupato a fare altri progetti" (e scaramanticamente, facciamo i dovuti scongiuri, dato che è una frase tratta dal suo ultimo lavoro "Double Fantasy", pubblicato meno di un mese prima della sua tragica dipartita). In secondo luogo, non solo conosco l'artista di persona ma uno dei musicisti che hanno prestato i propri servigi e il proprio talento a Iarin reca il mio stesso cognome e non è una coincidenza. Detto questo, dopo due anni dalla pubblicazione di questo album, i suoi meriti artistici non solo sono sopravvissuti all'impietoso giudizio del tempo ma sono emerse anche alcune qualità nascoste che si sono rivelate a successivi ascolti. Questi due motivi mi hanno spinto, in sostanza, a disinteressarmi a qualsiasi accusa di nepotismo mi possa essere rivolta perché questo è un lavoro che merita effettivamente di essere ascoltato e analizzato. Inoltre, per scelta dell'artista, il disco non è disponibile nelle piattaforme streaming e l'unico modo per poterlo ascoltare è acquistarlo. In sostanza, "I'm" merita tutta l'esposizione possibile. 

Nel corso dell'articolo verranno citate alcune dichiarazioni di Iarin Munari stesso tratte da un'intervista da me realizzata all'interno del programma "Danze D'Architettura" che ho condotto su Radio Voce nel Deserto dal 2017 al 2019.


SVOGLIMENTO

Classe 1975, Iarin Munari è un batterista, compositore, arrangiatore e produttore in attività dal 1996. Il suo curriculum vanta collaborazioni con artisti tra cui Roberto Vecchioni, Stadio, I Nomadi (per i quali ha composto il brano "Non so io ma tu" nell'album "Allo specchio") e Free Jam, band della quale è membro fondatore e con cui ha pubblicato l'apprezzato "What About The Funky?" nel 2012. Questo "I'm" uscito a maggio del 2018, però, è il primo disco che pubblica a nome solista. Il progetto grafico che accompagna l'album può far pensare, più che ad un batterista, ad un cantautore indie. Da un punto di vista musicale, siamo assolutamente distanti anni luce ma concettualmente forse non siamo così lontani: secondo le intenzioni di Iarin, questo lavoro dovrebbe rappresentare una ideale colonna sonora rappresentativa della sua vita. Il titolo stesso, non sarà sfuggito sicuramente ai lettori, è un gioco di parole tra la contrazione di "I am" (io sono) e le iniziali del nome del musicista. Le composizioni sono esclusivamente strumentali, a parte una piccola eccezione, e l'album è improntato su una matrice jazz fusion, brillantemente eseguita da un ensemble che, oltre a Munari stesso alla batteria, include Daniele Santimone alla chitarra, Alfonso Santimone alle tastiere, Nick Muneratti al basso e altri vari ospiti illustri tra cui Piero Bittolo Bon e Enrico di Stefano al sax, Fabrizio Luca alle percussioni e Antonello del Sordo alla tromba. "Si tratta di grandi amici con cui ho trascorso momenti musicali molto importanti e che condividono con me un grande rispetto verso l'arte" dice entusiasticamente Iarin.

Sebbene, come già detto, questo lavoro sia il primo disco ad uscire a nome di Iarin alcuni temi erano presenti anche in "What About The Funky?": il più esplicito è "Towards That Light", composta da Munari in ricordo della scomparsa del padre, originariamente un breve e sofferto intermezzo per archi di poco più di un minuto di durata, qua presentato come malinconica ma meditativa ballad jazz dalla durata di sette minuti e mezzo impreziosita da una pregevole introduzione di piano ad opera di Alfonso Santimone e da un ispirato assolo di sassofono di Enrico di Stefano. Curiosamente, esiste una terza versione di questo brano, non ancora incisa ufficialmente, con un testo cantato da Annalisa Vassalli, talentuosa vocalist che, purtroppo, è entrata a far parte di questo organico solo al termine della lavorazioni del disco e, in quanto tale, non compare su album. Nel caso Munari decida di incidere un secondo album, un'ulteriore rivisitazione di questo pezzo sarebbe puramente giustificata. Nell'album dei Free Jam, "Towards That Light" si collegava ad una canzone intitolata "That Light", il cui testo, scritto dal tastierista e cantante Davide Candini, trattava dell'ultima conversazione avvenuta tra Iarin e il padre. Anche il tema di quella composizione, stavolta in chiave strumentale, compare su questo "I'm" a nome "Settimo". "Si tratta di un brano che ho scritto tanti anni fa", spiega Munari " 'Settimo' è la versione originale, 'That Light' è l'ultima ma ci sono anche versioni intermedie". La versione su "I'm" è più scanzonata e tirata e contiene un arrangiamento per fiati, una irresistibile linea di basso slap di Nick Muneratti e interessanti assolo di chitarra, tastiere e batteria. "Nella forma originaria il brano suona più funky, più felice e più spensierato perché quello era il modo in cui era uscito a livello compositivo ma il tema del ritornello è comunque un po' introspettivo. Quando lo scrissi abitavo ancora con i miei genitori. Un giorno lo stavo provando con la chitarra e mio padre, passando per di lì lo sentì e commentò, in dialetto Ferrarese, 'sa tiè rumantic!'". 

Il disco contiene anche variazioni su uno stesso tema, poste sapientemente a inizio, metà e a fine scaletta ("Sunrise", "Twilight" e "Sunset"). La prima e l'ultima versione sono arrangiamenti malinconici per archi, mentre quella intermedia è eseguita dalla band in chiave molto più jazzata ed energica. Riguardo alla genesi del brano, Iarin rivela che la composizione sarebbe dovuta essere il tema principale della colonna sonora di un film in seguito mai prodotto: "tra l'altro, 'Sunrise' e 'Sunset' sono pensati proprio nella forma di intermezzo che sarebbe apparsa sulla pellicola". 

Due pezzi vedono Iarin nella veste di polistrumentista: la prima, "Chasing Butterflies", è una composizione basata sul tema di "Twilight", senza però riprenderlo pari pari, mentre "Afrita" è l'unico brano dell'album ad avere un testo: "sto cercando una vita migliore e vedo Afrita" in linguaggio Igbo, la lingua tradizionale nigeriana. "Sono delle frasi che, in prima persona, mi sono immaginato possano pensare quei ragazzi che scappano da zone di guerra e che, dopo ore di viaggio, si ritrovano davanti le terre Italiane: mi sono immaginato quali emozioni possano provare. La canzone vuole omaggiare un continente dal quale proveniamo tutti e che negli ultimi secoli ha subito molte violenze". Il brano vede la partecipazione del percussionista Bolognese Fabrizio Luca con cui Munari collabora da diversi anni e con il quale ha condiviso l'esperienza con la band ska The Strike. La versione su disco, sebbene sia molto affascinante e abbia sonorità molto particolari, però, forse risulta un po' penalizzata a noi che abbiamo seguito questo progetto anche nelle date dal vivo. Sul palco, infatti, "Afrita" presenta un arrangiamento forse un po' più tradizionale di quello presente su "I'm" ma dà spesso sfogo a improvvisazioni di vario tipo che a volte si estendono per una durata di oltre un quarto d'ora, che, per mia esperienza personale, spesso ispirano particolarmente i musicisti e li portano ad andare fuori controllo. Ricordo, in particolare, una versione eseguita proprio durante la presentazione live ufficiale dell'album al locale Il Clandestino a Ferrara, durante la quale era intervenuto anche ospite il percussionista Paolo Caruso con il quale la band aveva creato un'atmosfera tribale e cabalistica.

Il disco è completato dalla malinconica "Camilla", contenente uno splendido assolo di basso di Nick Muneratti, e dalla trascinante "Fifth Wave" che riesce, incredibilmente, a rendere orecchiabile un tema che sembra un misto tra Pat Metheny (armonicamente) e Frank Zappa (ritmicamente) e che, sul finale, contiene un brillante assolo di batteria che farà venire voglia alla metà dei batteristi ascoltatori di vendere il proprio kit o di usarlo come carburante per la stufa durante le notti gelide (l'altra metà, invece, opterà per un più dignitoso seppuku pubblico usando un ride come arma contundente). 

"I'm" è un lavoro di classe, realizzato molto bene sia da un punto di vista compositivo, sia come sequenza: l'album risulta, infatti, molto dinamico, merito anche dell'ottima produzione e del brillante lavoro di registrazione effettuato agli Over Studio di Cento. Soprattutto, nonostante le premesse apparentemente molto cerebrali, l'obiettivo dell'album è comunque quello di mettere la musica in primis e, quindi, il disco risulta estremamente godibile anche separato dal suo contesto. 

(l'album è acquistabile a questo indirizzo)