"Stare Bene" è il titolo di questo disco del cantautore e musicista cuneese Andrea Giraudo, e forse anche il suo intento principale. Sospeso tra frivolezze citazioniste, una richiesta viscerale di contaminazioni che si appropria dei pezzi più di quanto lo facciano le parole, e un uso della voce che ondeggia sapientemente tra l'impostato e il giocoso, il tono di queste canzoni è spesso alto, aulico, come a nobilitare intenti velatamente pop.
In qualche modo, il connubio tra intenzione radiofonica e ricerca di una cornice più prestigiosa, è forse l'operazione più riuscita di Giraudo dentro al contesto di questo lavoro. "La Guarnigione" è il momento più ruvido, dove fa capolino il rock'n'roll, ma nel complesso emerge la necessità di una maggiore intensità e presenza sonora che la può far comparire sgonfia (e poi qualcuno ci sente Ray Manzarek?). Gli apporti strumentali, tutti ottimi, spiccano quando finiscono nel piatto ingredienti fuori dall'ordinario come le fisarmoniche, gli organi Hammond, oppure le capatine nel jazz di "L'Isola in Due", dove il vero protagonista è il pianoforte. Anche il blues di "Potere Volere", un elemento se vogliamo più banale rispetto ad altre scelte, risulta in realtà un esperimento riuscito, con quelle coriste che un po' vorremmo cancellare dalla faccia della terra e un po', all'ennesimo ascolto, ci risultano fondamentali per la buona riuscita del pezzo. Andrea si sposta molto velocemente tra interpretazioni teatrali, talvolta vetuste nell'impronta, come in "Poker", e una versione più moderna, forse à la Vinicio Capossela (ma non è detto), di quel cantautorato istrionico, scherzoso, a volte buffonesco, che ebbe origine con i poeti comico-realistici del Duecento, come Folgóre di San Gimignano e Cenne de la Chitarra, meno noti di Cecco Angiolieri ma già ricordati, nel mondo della canzone d'autore più diffusa e popolare, da Guccini.
In linea di massima, non c'è molto da aggiungere. La verve e il pathos di Giraudo sono componenti insostituibili di tutti quei pezzi che necessitano di doti vocali, liriche e interpretative un po' più spiccate, dove si rischia di sfiorare la pretenziosità. La buona notizia è che quasi sempre, Andrea, è riuscito ad aggirare l'ostacolo. Ci troviamo davanti all'eccellenza nei suoni, nella scrittura, nell'esecuzione, meno nell'arrangiamento, ma non si può chiedere troppo ad un lavoro di questo tipo, già di per sé completo nell'evidente soddisfazione del suo creatore: l'arma più potente a disposizione di un musicista.
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