Da un punto di vista tecnico, un nuovo album in studio dei Toto è sempre un evento memorabile: la famosa band Americana si è sempre distinta per aver creato una serie di dischi che sono un po' il compendio di come si registra e si suona un perfetto album rock, aiutati anche dal fatto di avere sempre in formazione la crème de la crème dei musicisti. In questo caso, questa sensazione si mischia anche, inevitabilmente, ad un po' di tristezza, dovuta alla prematura scomparsa del loro storico bassista Mike Porcaro, malato da tempo di sclerosi laterale amiotrofica, pochi giorni prima della pubblicazione dell'album. Il precedente "Falling In Between", pubblicato nel 2006, sembrava un'uscita di scena perfetta, e, effettivamente, un messaggio del 2008 sul sito ufficiale di Steve Lukather aveva decretato la fine del gruppo. A quanto pare, ci sbagliavamo tutti. Curiosa la formazione; oltre all'immancabile chitarrista e cantante Steve Lukather, ormai il vero leader del progetto, il resto dei Toto è composto da ex membri che sono tornati all'ovile: David Paich e Steve Porcaro alle tastiere, Joseph Williams alla voce solista e David Hungate al basso. Il ruolo di batterista è affidato a Keith Carlock, eccellente turnista già al servizio di giganti come James Taylor, Steely Dan, John Mayer e Sting. Tra gli ospiti abbiamo alcune facce già note, tra cui Leland Sklar al basso, Lenny Castro alle percussioni e Michael McDonald ai cori. Praticamente, non è nemmeno quasi più lo stesso gruppo di "Falling in Between" e, a questo punto, viene spontaneo chiedersi se questo sia davvero un disco dei Toto o se forse sia più simile ad un progetto solista di Steve Lukather. Abbiamo già fatto un discorso simile parlando di "The Endless River" dei Pink Floyd e, principalmente, la stessa soluzione è applicabile anche qua: nessuno di noi ha il diritto di stabilire chi siano i Toto o no, se non i diretti interessati e, in fin dei conti, Lukather è stato l'unico a essere presente nel gruppo fin dall'inizio per cui nessuno ha più diritto di lui di essere il capitano. Ciò che differenzia la sua carriera solista da quella dei Toto è che, in questo secondo caso, il poliedrico chitarrista si è circondato da persone che hanno vissuto vari momenti importanti della storia della band che, sicuramente, meritano di avere voce in capitolo.
Fin dalla sua presentazione (la copertina con la famosa spada, ormai il loro marchio di fabbrica e il titolo che si rifà al celebre "Toto IV"), "Toto XIV" sembra percorrere la carriera del celebre gruppo Americano. Tuttavia, considerando anche una recente intervista a David Paich nella quale ammette che le lavorazioni del disco sono iniziate solo per adempiere ad obblighi contrattuali, più che un riepilogo pare essere una cosa inevitabile. Le atmosfere generali sono molto vicine a quelle di "Mindfields" e "Falling in Between", ma la voce di Joseph Williams è tipicamente caratteristica dei loro album anni '80, mentre i momenti dove Hungate e Porcaro sono in prima fila, ci riportano alle sonorità dei primi album. Tutto sommato, un mélange piuttosto interessante che, in alcuni casi, funziona piuttosto bene: la potente "Running Out of Time" è sicuramente un buon modo di iniziare un album, "Unknown Soldier (For Jeffrey)" è ben riuscita e ha un bel climax, "Fortune" è un brano rock dal giusto mordente e "Chinatown" è un pezzo raffinato, che ricorda un po' gli Steely Dan, altro gruppo leggendario Americano nel quale hanno militato alcuni membri dei Toto; tale influenza è evidente anche in "21st Century Blues", che ricorda vagamente la title-track di "Pretzel Logic". Altre volte, invece, il risultato è più carente, come nel caso di "The Little Things" (cantata da Steve Porcaro) e "All The Tears That Shine", due brani che si fanno notare per la loro mancanza di direzione, più che altro. Curiosamente, i tre singoli scelti per questo album, pur essendo dignitosi, non sono tra i pezzi migliori: "Orphan" è decisamente troppo stucchevole, "Holy War" si fa notare più che altro per il break strumentale centrale e la power ballad "Burn", anche se piuttosto orecchiabile, è un po' troppo ovvia e scontata.
Generalmente, si arriva a fine album senza aver molto da dire, forse perché è il disco in sé che ha poco da dire. Intendiamoci, si tratta sempre di un prodotto di classe e di una certa qualità, ma l'impressione globale è quella di un complesso che è diventato confinato nel suo stesso nome e, di conseguenza, lavora sempre con gli stessi limiti senza nessun desiderio di uscirne e di superarli. In questo ambito il gruppo, sicuramente, eccelle: d'altra parte, chi meglio dei Toto può fare i Toto? Eppure, tutto questo ragionamento viene rovesciato dalla traccia conclusiva, "Great Expectations", un brano complesso ma ben costruito, trionfale, decisamente energico e convinto, nel quale tutta la tensione e la compostezza che ha caratterizzato il resto dell'album viene rilasciata. Durante queste note finali, viene spontaneo chiedersi se forse abbiamo interpretato male il disco. Certo, potrebbe essere un "semplice" gran finale, ma anche una dimostrazione che i Toto, da un punto di vista compositivo, possono ancora dire qualcosa e che "Toto XIV", nonostante tutto, è solo un necessario album di transizione per farci abituare ad altre sorprese per il futuro. Magari è un pensiero troppo ottimista arrivati a questo punto, ma il titolo del brano sembrerebbe comunque puntare in quest'ultima direzione. Tornando al presente, questo disco potrebbe essere un buon investimento per chi si avvicina ai Toto per la prima volta, ma a chi li conosce già superficialmente, consigliamo di ascoltarsi prima gli altri album in studio. A tutti gli altri, invece, qualsiasi tipo di consiglio è totalmente superfluo!
Fin dalla sua presentazione (la copertina con la famosa spada, ormai il loro marchio di fabbrica e il titolo che si rifà al celebre "Toto IV"), "Toto XIV" sembra percorrere la carriera del celebre gruppo Americano. Tuttavia, considerando anche una recente intervista a David Paich nella quale ammette che le lavorazioni del disco sono iniziate solo per adempiere ad obblighi contrattuali, più che un riepilogo pare essere una cosa inevitabile. Le atmosfere generali sono molto vicine a quelle di "Mindfields" e "Falling in Between", ma la voce di Joseph Williams è tipicamente caratteristica dei loro album anni '80, mentre i momenti dove Hungate e Porcaro sono in prima fila, ci riportano alle sonorità dei primi album. Tutto sommato, un mélange piuttosto interessante che, in alcuni casi, funziona piuttosto bene: la potente "Running Out of Time" è sicuramente un buon modo di iniziare un album, "Unknown Soldier (For Jeffrey)" è ben riuscita e ha un bel climax, "Fortune" è un brano rock dal giusto mordente e "Chinatown" è un pezzo raffinato, che ricorda un po' gli Steely Dan, altro gruppo leggendario Americano nel quale hanno militato alcuni membri dei Toto; tale influenza è evidente anche in "21st Century Blues", che ricorda vagamente la title-track di "Pretzel Logic". Altre volte, invece, il risultato è più carente, come nel caso di "The Little Things" (cantata da Steve Porcaro) e "All The Tears That Shine", due brani che si fanno notare per la loro mancanza di direzione, più che altro. Curiosamente, i tre singoli scelti per questo album, pur essendo dignitosi, non sono tra i pezzi migliori: "Orphan" è decisamente troppo stucchevole, "Holy War" si fa notare più che altro per il break strumentale centrale e la power ballad "Burn", anche se piuttosto orecchiabile, è un po' troppo ovvia e scontata.
Generalmente, si arriva a fine album senza aver molto da dire, forse perché è il disco in sé che ha poco da dire. Intendiamoci, si tratta sempre di un prodotto di classe e di una certa qualità, ma l'impressione globale è quella di un complesso che è diventato confinato nel suo stesso nome e, di conseguenza, lavora sempre con gli stessi limiti senza nessun desiderio di uscirne e di superarli. In questo ambito il gruppo, sicuramente, eccelle: d'altra parte, chi meglio dei Toto può fare i Toto? Eppure, tutto questo ragionamento viene rovesciato dalla traccia conclusiva, "Great Expectations", un brano complesso ma ben costruito, trionfale, decisamente energico e convinto, nel quale tutta la tensione e la compostezza che ha caratterizzato il resto dell'album viene rilasciata. Durante queste note finali, viene spontaneo chiedersi se forse abbiamo interpretato male il disco. Certo, potrebbe essere un "semplice" gran finale, ma anche una dimostrazione che i Toto, da un punto di vista compositivo, possono ancora dire qualcosa e che "Toto XIV", nonostante tutto, è solo un necessario album di transizione per farci abituare ad altre sorprese per il futuro. Magari è un pensiero troppo ottimista arrivati a questo punto, ma il titolo del brano sembrerebbe comunque puntare in quest'ultima direzione. Tornando al presente, questo disco potrebbe essere un buon investimento per chi si avvicina ai Toto per la prima volta, ma a chi li conosce già superficialmente, consigliamo di ascoltarsi prima gli altri album in studio. A tutti gli altri, invece, qualsiasi tipo di consiglio è totalmente superfluo!
David Paich, Joseph Williams, Steve Lukather, Steve Porcaro |