Innanzitutto un po' di chiarezza: Jovine è una persona o una band? Jovine è il cognome di Valerio, fondatore di questo progetto, e Massimo, membro dei 99 Posse e fratello del primo. Dal 1998 a oggi sono usciti sette album e gli Jovine si sono affermati come una reggae band da sette elementi, che tornano anche nel nuovo sforzo Parla Più Forte, oltre a molti ospiti. Recente è la parentesi nei talent di Valerio, concorrente della squadra di J Ax a The Voice of Italy, ma forse è bene continuare parlando di un unico gruppo. In diciassette anni di carriera è sempre stato evidente, nei testi e nei circuiti in cui sono andati a presentare la loro musica (in primis il network dei centri sociali italiani, ma in particolare del Meridione), l'impegno sociale, la voglia di utilizzare le parole per mandare dei messaggi e per diffondere attorno al collettivo una coltre di coerenza musicale e politica. Gli Jovine fanno un reggae dai sapori mediterranei, onesto, fresco, influenzato nelle liriche dalla città di provenienza, Napoli, che come un faro illumina tutto il nostro Sud Italia, diventando simbolo delle sue bellezze e delle sue sfortune. In Parla Più Forte, l'hip-hop classico risalta forse di più in passato, così anche gli impianti dei brani si fanno più rock, ma ciò che spicca è l'intensità dei testi anche nei featuring con Clementino e Dope One, che al posto di fare - come spesso accade - semplici comparsate, fungono da collante per dare ai pezzi un'ulteriore identità. Dell'esperienza al talent Rai rimane il coraggio, visto ad esempio quando in TV Valerio ha interpretato "Like A Virgin" di Madonna in versione reggae, e nasce spontaneo un paragone con la spontaneità, la genuinità e l'originalità dimostrata nel disco, dove momenti più radiofonici si sposano con vere e proprie sfuriate, ma anche arrangiamenti più complessi finiscono ben spalmati su brani dall'appeal pop. Così si possono permettere veloci incursioni nella dubstep e nel funky, ma senza che nulla sembri fuori luogo, grazie alle capacità di scrittura dei singoli strumentisti.
Questo disco non farà strappare i capelli né ai fan del reggae né a quelli del hip-hop italiano, ma sicuramente mette in chiaro due cose: che quando nasci in una terra come la Campania e provi a fare musica, spesso le tue radici lasciano una traccia indelebile in come suoni e in quello che dici, e che basta un po' di levare e se i pezzi sono costruiti bene il culo lo muovi. Dopotutto, in un'estate così calda può bastare questo.