Dalla storia recente, si apprende che l'artista olandese Maurits Cornelis Escher si è ispirato ad alcune forme arabeggianti - come quelle del palazzo dell'Alhambra di Granada, in quella porzione di Spagna che fu terra dei Mori - per le sue cosiddette "figure impossibili". Escher e la cultura araba risultano nelle influenze autoriferite anche di Silversnake Michelle, all'anagrafe Micaela Battista, quarantunenne torinese che con "Her Snakeness" presenta un vero e proprio manifesto. Tonalità dark, cupezza a palati, l'abolizione totale della luce. Serpenti, metafisica, una grinta che sa di punk, ancora serpenti.
Il risultato è un disco quasi rapsodico, solenne, che prende dall'epica quanto certo metal britannico, ma lo riversa su strutture più propriamente classic rock. Difficile inquadrarne gli orizzonti senza capire i punti di vista dell'autrice: tornano spesso i concetti di tempo e di spazio, di viaggio, come anche il sentire dei corpi inanimati (in un brano si immaginano i pianeti avvertire emozioni e sensazioni), e un'erotismo non troppo spinto ma comunque marcato che, sebbene non sia contenuto vividamente nei testi, ha seguito in tutto quello che è l'artwork e il mondo grafico visibile nei social.
Comunque, nonostante gli ottimi musicisti che accompagnano Michelle, l'evidente investimento economico, e la potente dichiarazione d'intenti che tutto il lavoro spara in faccia all'ascoltatore minuto dopo minuto, sembrano mancare almeno due elementi: il mordente, quella componente in grado di fissare la sua musica aggredendo chi ne usufruisce con qualcosa di nuovo e dirompente, e il collante, che tenga unite le sue varie parti. Rimane dunque ai posteri un'opera magniloquente, con un rivestimento argenteo che rischia di lasciarsi invadere dagli agenti esterni senza un sequel che sia in grado di dimostrare chi veramente sia Silversnake Michelle, rivalorizzando anche il suo sforzo precedente.