La canzone d'autore di Francesco Camin riverbera timidi raggi di sole in questo 2018, una profusione di luce, di melodie, di colori che non solo non sentivamo da tempo, ma abbiamo anche sentito l'esigenza di ascoltare quando mancava. In "Palindromi" ci prova, con una scrittura vivace, ariosa e un lessico di livello medio (non troppo ampio, per intenderci, ma nemmeno da chiacchiera da bar), a trasformare tematiche che molti altri hanno trattato in maniera pesante ed oscura in qualcosa di leggero, gradevole, digeribile.
E' salubre sentire musica così, sentire "Verde" e "Palindromi" celebrare la natura con gli occhi di un suo amante che ne ha fatto anche oggetto di studio, e "Tasche" elogiare prontamente i luoghi della propria privacy, dove analizzare il proprio io e nascondere per poi ritrovare i frammenti del proprio passato, quasi come nei Poemetti di Pascoli, ma con un linguaggio - logicamente - più moderno e adatto ai tempi. "Abisso" è tra i pochi momenti che risentono e gioiscono di maggiore inquietudine, facendo andare in solluchero in più di qualche istante, anche se l'apporto dei fiati è di difficile inquadramento. Non male, in ogni caso. "Dovrei" spicca invece per un passo più sostenuto, incalzante, battente, ed è proprio il divario con i tanti momenti più rilassati a donarle lustro.
In linea di massima, l'interpretazione vocale e strumentale è sempre all'altezza, così come la produzione, con una riserva parziale su alcune scelte di mastering che in ogni caso non pregiudicano il risultato. Il prodotto del trentino, in sé, porta chiari e trionfali i segni dei suoi grandissimi pregi che vale la pena citare per concludere la recensione: 1) non scade mai nel banale, proponendo soluzioni a cui il nostro orecchio traviato dal pop e dal cantautorato contemporanei si era disabituato; 2) gode di una coerenza testuale, tematica, musicale, che in un'epoca dove essere eterogenei nei dischi fa sembrare artisti di spessore ha un po' ribaltato il concetto di concept, seppur questa attitudine origini da logiche prettamente discografiche; 3) non costringe noi recensori a fare gli ascolti successivi al primo, necessari per scrivere di un'opera artistica, con il rischio di stancarsi, come spesso accade, già a metà del secondo. E non è poco.