Torna con il quinto full-lenght Michele Salvemini, uno dei veri geni della musica italiana che rischiano, tutt’oggi, di non essere capiti e di essere considerati dalla mediocre critica i “soliti alternativi finto-comunisti”. La verità è che, come dimostra di nuovo in questo Il Sogno Eretico, Caparezza è l’unico rapper italiano che, dopo aver raggiunto il successo, continua a comunicare qualcosa, permettendosi magari di proseguire con quella corrosiva miscela di rap, rock ed elettronica, aperta a contaminazioni di ogni tipo, che lo contraddistingue da due dischi a questa parte, puntando comunque soprattutto sulla genialità delle sue liriche.
Stavolta nella confezione troviamo sedici tracce, di cui le prime due, in pura tradizione “caparezziana”, sono semplici incipit, che servono in questo caso a comprendere una delle nozioni che sta alla base di questo disco: non solo l’eresia del titolo, ma la schizofrenia del Caparezza-artista, concetto che porterà fino alla fine dell’album in una sorta di crescendo che si conclude con la folle “Ti Sorrido Mentre Affogo”.
Analizziamo questo disco dal punto di vista letterario: l’abilità di scrittura di Michele è sempre stata ottima, dimostrando e confermando progressivamente sempre più la sua capacità di rimare e incastrare giri di parole incredibilmente sottili sia sul piano del significante che del significato, non disdegnando espedienti retorici o fonici che senz’altro un esperto di linguistica noterebbe più di un ascoltatore medio. Le tematiche sono sempre le stesse del disco precedente, Le Dimensioni del Mio Caos, mischiando politica italiana, cultura generale “pop” e vita personale dell’artista, sviluppando così delle vere e proprie cavalcate rap che quasi nessuno si può permettere di fare come fa lui, e questo lo dobbiamo, per forza, ammettere.
Il primo singolo è la splendida “Goodbye Malinconia”, ballata anni ’80 dedicata all’Italia, con riferimenti alla “fuga dei cervelli” e alla rovina, effettivamente già avvenuta, del nostro paese, aiutato, nel ritornello, da Hadley degli Spandau Ballet, ospite perfetto per un brano del genere. Altro momento perfetto dal punto di vista commerciale è “Legalize the Premier”, reggae ballad che farà senz’altro scintille nelle date del buon Capa, mirata ad un target di pubblico che è lo stesso di molte band punk e reggae italiane (Alborosie, che infatti sono ospiti, Skardy, Sud Sound System, Punkreas, ecc.), con un ritornello che è un vero e proprio inno e un testo incredibilmente facile da memorizzare e cantare. L’approccio easy-listening porta Caparezza ad osare un po’ troppo con le basi ballabili, quei synth quasi techno che sentiamo in “La Fine di Gaia”, ottimo brano sulla bufala del 2012 che riprende per struttura “Abiura Di Me” e forma un’eccellente combinazione rock insieme a “Messa In Moto”, quest’ultima, però, leggermente meno efficace.
Un altro brano dal ritornello molto radiofonico è “Chi Se Ne Frega della Musica”, probabile futuro singolo, che parla dei problemi di una discografia che bada più all’immagine che al contenuto. Tema particolarmente caro a Caparezza, che citerà talent e reality show (es. “House Credibility”) anche altre volte all’interno di altri episodi. Il brano-manifesto del disco è “Il Tuo Sogno Eretico”, al primo ascolto uno dei pezzi più fragili insieme alla graffiante filippica “La Marchetta di Popolino”, ma con un impianto veramente molto “epico” che solleva un testo a suo modo troppo autoreferenziale per gli standard di Caparezza.
Il miglior brano a livello letterario è l’incredibile requisitoria contro la politica italiana, “Non Siete Stato Voi”, veramente una delle più belle mai scritte da Caparezza. Sconvolge, infine, la genialità nell’inventare una canzone come “Kevin Spacey”, vero e proprio inno al cinema (ma al contrario, spoilerando i finali di tutti i film più celebri) che difficilmente si dimenticherà: ascoltare per credere.
Analizziamo questo disco dal punto di vista letterario: l’abilità di scrittura di Michele è sempre stata ottima, dimostrando e confermando progressivamente sempre più la sua capacità di rimare e incastrare giri di parole incredibilmente sottili sia sul piano del significante che del significato, non disdegnando espedienti retorici o fonici che senz’altro un esperto di linguistica noterebbe più di un ascoltatore medio. Le tematiche sono sempre le stesse del disco precedente, Le Dimensioni del Mio Caos, mischiando politica italiana, cultura generale “pop” e vita personale dell’artista, sviluppando così delle vere e proprie cavalcate rap che quasi nessuno si può permettere di fare come fa lui, e questo lo dobbiamo, per forza, ammettere.
Il primo singolo è la splendida “Goodbye Malinconia”, ballata anni ’80 dedicata all’Italia, con riferimenti alla “fuga dei cervelli” e alla rovina, effettivamente già avvenuta, del nostro paese, aiutato, nel ritornello, da Hadley degli Spandau Ballet, ospite perfetto per un brano del genere. Altro momento perfetto dal punto di vista commerciale è “Legalize the Premier”, reggae ballad che farà senz’altro scintille nelle date del buon Capa, mirata ad un target di pubblico che è lo stesso di molte band punk e reggae italiane (Alborosie, che infatti sono ospiti, Skardy, Sud Sound System, Punkreas, ecc.), con un ritornello che è un vero e proprio inno e un testo incredibilmente facile da memorizzare e cantare. L’approccio easy-listening porta Caparezza ad osare un po’ troppo con le basi ballabili, quei synth quasi techno che sentiamo in “La Fine di Gaia”, ottimo brano sulla bufala del 2012 che riprende per struttura “Abiura Di Me” e forma un’eccellente combinazione rock insieme a “Messa In Moto”, quest’ultima, però, leggermente meno efficace.
Un altro brano dal ritornello molto radiofonico è “Chi Se Ne Frega della Musica”, probabile futuro singolo, che parla dei problemi di una discografia che bada più all’immagine che al contenuto. Tema particolarmente caro a Caparezza, che citerà talent e reality show (es. “House Credibility”) anche altre volte all’interno di altri episodi. Il brano-manifesto del disco è “Il Tuo Sogno Eretico”, al primo ascolto uno dei pezzi più fragili insieme alla graffiante filippica “La Marchetta di Popolino”, ma con un impianto veramente molto “epico” che solleva un testo a suo modo troppo autoreferenziale per gli standard di Caparezza.
Il miglior brano a livello letterario è l’incredibile requisitoria contro la politica italiana, “Non Siete Stato Voi”, veramente una delle più belle mai scritte da Caparezza. Sconvolge, infine, la genialità nell’inventare una canzone come “Kevin Spacey”, vero e proprio inno al cinema (ma al contrario, spoilerando i finali di tutti i film più celebri) che difficilmente si dimenticherà: ascoltare per credere.
Per la forte qualità evocativa, questo disco, si potrebbe definire una filippica satirico-surreale. Ghigliottine, Andrea Doria, Sindona, citiamo e accostiamo di tutto e di più purché la finalità sia quella di desarrollar, come direbbero nella penisola iberica, concetti che arrivino a tutti con qualche riserva, perché dobbiamo pur ammettere che l’intelligenza con cui alcuni paragoni, metafore e similitudini sono costruiti ne riduce sensibilmente il target.
Facendo un bilancio, musicalmente questo disco perde terreno rispetto all’approccio rock che sembrava voler prevalere in Le Dimensioni del Mio Caos, costringendosi ad inserimenti elettronici che, a volte, sembrano un po’ forzati., seppur contribuiscano a rendere il disco sostanzialmente il più completo della sua carriera. In realtà la qualità delle basi è ancora in via di miglioramento, con alcuni espedienti che soprattutto dal vivo funzioneranno benissimo, sia per la resa tecnica che per il coinvolgimento emotivo e fisico del pubblico. I testi sono, come già dicevamo, perfetti dal punto di vista della costruzione e le tematiche di Caparezza continuano ad essere sviluppate con sagace coerenza e capacità di analisi. Il tema dell’eresia, che si concretizza citando anche personaggi come Giordano Bruno e Galileo (“Il Dito Medio di Galileo”), è forse piuttosto debole rispetto all’impianto molto godibile del disco, che mette in fila una serie di aspre critiche ma sempre con quel paragone a figure dell’immaginario culturale nazionalpopolare che le rende più “divertenti” che “piccanti”.
In ogni caso, questo disco è veramente l’essenza di quello che Michele Salvemini, come artista, può proporre nel duemilaundici, una straziante e malinconica visione del nostro paese dagli occhi di uno dei più brillanti musicisti che quest’ultimo ci può offrire.
Voto: 8
In ogni caso, questo disco è veramente l’essenza di quello che Michele Salvemini, come artista, può proporre nel duemilaundici, una straziante e malinconica visione del nostro paese dagli occhi di uno dei più brillanti musicisti che quest’ultimo ci può offrire.
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