mercoledì 20 maggio 2015

Tempi Duri - Canzoni Segrete (Saifam, 2015)


La storia dei Tempi Duri parte all'inizio degli anni ottanta. Il fondatore Carlo Facchini conobbe Fabrizio de André e una catena di eventi presto portò alla nascita di questa band, in cui militava, oltre al chitarrista Loby Pimazzoni e al batterista Marco Bisotto, lo stesso figlio del Faber, Cristiano. Così nel 1982, per la Fado di Fabrizio de André e Dori Ghezzi, usciva il successo di critica e pubblico "Chiamali Tempi Duri". Il seguito di quel disco, con la formazione originaria - ad eccezione di Cristiano de André presente in un unico brano - esce a trentatré anni di distanza per il gruppo Saifam di Mauro Farina.


Le corde di Pimazzoni sono la prima cosa che rimane in testa di questo "Canzoni Segrete". Con Mark Knopfler come stella guida, splendide in quei fraseggi eleganti e mai troppo complessi, sono le chitarre le principali responsabili dell'attualizzazione di un sound comunque ancora legato a quegli esordi, ma che il pubblico a cui si rivolge non potrà che trovare azzeccato. L'interazione tra Loby e l'ospite ed amico Massimo Germini (celebre per i suoi lavori con La Carboneria, Vecchioni, Van De Sfroos, Milva e molti altri) non può che impreziosire quello che è l'assetto melodico del disco, con Claudio Fiorini e Gino Marcelli al piano a completare egregiamente il quadro. Cristiano De André interviene in "Con Le Nostre Mani", uno dei pochi brani non politicizzati, mentre è forte l'influenza del padre anche in quanto a impegno dei testi e utilizzo delle metafore in "Italia Parte 2" e "La Sfida", i due pezzi forse più riusciti e in cui il nome della band rappresenta anche il messaggio veicolato dalle parole.
La geografia e il viaggio sono altre tematiche ricorrenti: in "Hong Kong", alla ricerca della pace interiore, oppure in "Giulietta", dove il tragico personaggio shakespeariano ci ricorda anche il legame della band con la loro Verona. Echi di Ivano Fossati o perché no, di Lucio Dalla, risuonano dalle corde vocali dell'abile e poliedrico frontman Facchini, sempre perfetto nell'interpretare una malinconia di fondo che lascia comunque spazi per riflettere ai margini della commozione e della rabbia sociale. Spiace un po' sentire un batterista come Marco Bisotto relegato a mero accompagnamento, ma è questo che accade nel 99% dei dischi pop.

Sospeso tra musica popolare, storia della canzone d'autore e pop rock raffinato di ispirazione americana, questo album riesce a far riflettere su quella che è una delle più naturali urgenze di chi ascolta musica: la spontanea identificazione con le liriche, con il mondo che narrano e che raccontano, possibile perché in risalto rispetto all'immagine, distrazione rispetto al messaggio (se esiste) nel pop di oggi.
Non era essenziale, e ci perdonino i Tempi Duri per questo giudizio, ma quando una band si ripresenta sulle scene con un prodotto di qualità, per quanto anacronistico, la scena tutta dovrebbe solo gioirne, al netto delle incertezze di tutti quelli che vedono nelle reunion un mezzo di facile guadagno (che visti i tempi, duri appunto, non sarà certo così abbondante).
La speranza è dunque quella che Facchini e soci continuino a produrre dischi del genere, magari senza lasciar passare altri tre decenni.

giovedì 14 maggio 2015

Patrizia Laquidara - RovigoRacconta, Piazza Vittorio Emanuele, 10/5/2015

Patrizia Laquidara
Foto di Andrea Mazzetto
Apro questo articolo chiedendo scusa ai miei lettori perché, stavolta, sarà necessario che io parli in prima persona. Non amo molto farlo quando parlo di musica perché, oltre ad essere un po' sgradevole, si rischia spesso e volentieri di cadere nell'autoreferenzialità. In questo caso però è necessario farlo perché, anche se a denti stretti, sono costretto ad ammettere che prima di assistere al suo concerto in Piazza Vittorio Emanuele II a Rovigo (all'interno della rassegna RovigoRacconta), non conoscevo Patrizia Laquidara. Questa cosa la dico  con ancora più rammarico dopo aver scoperto una sua collaborazione con Ian Anderson dei Jethro Tull, uno dei gruppi a me più cari, come chi segue questo blog saprà bene, ormai. Per fortuna, non è mai troppo tardi per imparare.

Patrizia LaquidaraDaniele Santimone
Foto di KaOs-Art
Devo premettere che non ero presente a RovigoRacconta in veste di giornalista ma, più semplicemente, in quella di spettatore, per cui, benché io abbia assistito a molti altri eventi degni di nota (i JapaneseButGoodies con Enrico Brizzi nel reading del suo libro "Jack Frusciante è uscito dal gruppo", gli Psycodrummers, una lettura di Charles Bukowski dell'attore Alessandro Haber con il duo elettronico Alfa Romero...) non c'era niente che mi vincolasse ad una particolare performance. Questo per dire che, il piano iniziale era, molto volgarmente, di guardare un po' del concerto e poi di trascorrere il resto della serata altrove. Ovviamente, non è stato così. Per prima cosa, noto sul palco la presenza di due eccellenze: il chitarrista Daniele Santimone, che avevo già avuto il piacere di conoscere grazie al suo bellissimo CD "A Little Bartok" inciso in collaborazione con Ares Tavolazzi e Riccardo Paio, e il bassista Stefano Dallaporta, musicista per Ricky Portera e Maurizio Solieri, tra gli altri. L'inizio del concerto è particolarmente interessante, con la ninna-nanna Cubana "Durme Negrita" a cui, nel finale, si è sovrapposta quella Veneta "Nana Bobò", omaggio alla madre e alla nonna di Patrizia in occasione della festa della mamma. Il resto della serata è stato un miscuglio di brani originali, tra cui "Rose", "Senza Pelle", il cui testo è stato scritto da Giulio Casale, anche lui presente a RovigoRacconta, e "Mielata", e reinterpretazioni personali di brani del repertorio popolare moderno, come "Smells Like Teen Spirit" dei Nirvana e "Can't Get You Out of My Head" di Kylie Minogue.


Patrizia Laquidara
Foto di Andrea Mazzetto
Patrizia non tiene un atteggiamento da diva sul palco, eppure riesce a catturare totalmente l'attenzione del pubblico, in maniera garbata anche se molto presente. Ciò che ha ipnotizzato gli spettatori, comunque, è stato il cantato: oltre ad avere una timbrica molto particolare, la Laquidara utilizza la sua voce come uno strumento musicale vero e proprio e non solo come un mezzo per musicare le parole, grazie anche alla sua notevole estensione vocale, che le permette di passare da alti a bassi estremi in maniera assolutamente naturale. I due musicisti che l'hanno accompagnata si sono dimostrati certamente all'altezza del loro compito ( ...come se avessimo avuto dubbi!). Daniele Santimone ha esibito un playing raffinato, gustoso e perfettamente funzionale alla musica, mentre Stefano Dallaporta ci ha riconfermato di essere un eccellente bassista, offrendo un sostegno solido, mai invasivo, ma presente e portante: impossibile dare questa qualità alla musica senza di lui. Insomma, un connubio invidiabile. Immediatamente dopo il concerto, della durata di circa un'ora e un quarto, corro subito al banchetto del merchandising. Dei tre album in vendita, scelgo di comprare "Funambola" uscito nel 2007, dalla cui scaletta mi sembra di scorgere la maggior parte dei brani che ho preferito durante la serata, e mi reco dietro al palco per congratularmi con i tre personaggi che ci hanno regalato (letteralmente: la serata era ad ingresso gratuito) dell'ottima musica. Oltre a fare i meritatissimi complimenti a Dallaporta e a Santimone, decido di avvicinare Patrizia Laquidara per farmi autografare il recente acquisto. Mentre firma la copertina, sono costretto a sputare il rospo: "Devo purtroppo ammettere che non ti conoscevo prima di stasera" spiego "ma credo di essermi innamorato di te. Vuoi sposarmi?". Lei mi guarda e ride. Accidenti, non mi ha preso sul serio!

Stefano Dallaporta, Patrizia Laquidara, Daniele Santimone
Foto di Andrea Mazzetto