giovedì 13 agosto 2015

Margherita Pirri - Looking for Truth (Atwisted Nerve, 2015)

Il nuovo lavoro di Margherita Pirri si presenta denso di spunti musicali, geografici, culturali. Linguisticamente, stupisce ed incuriosisce la stesura di testi in francese, inglese e italiano, oltre alla partecipazione di due ospiti che aggiungono altre due nazionalità al melting pot, ovvero la spagnola Shani Ormiston e il tedesco Fabrian Goroncy. Tra pop e folk, canzone d'autore all'italiana, world music e indie, il brano che colpisce di più è "Un Giorno di Maggio", brano teso e monumentale, ma anche le uscite catchy di stampo britannico di "Sinner". I luminari della vocalità di Margherita non sono di facile individuazione, ed è un bene, perché se in alcuni passaggi può ricordare Enya, Loreena McKennitt o Sarah Brightman, nel corso delle quindici tracce viene delineato un percorso personale ed originale, dove il timbro caldo e la versatilità della cantante sono i veri protagonisti. Le emozioni che trasudano da questo "Looking for Truth" sono invece cupe, misteriose, malinconiche, e nella brillantezza dei cantati si perde forse un po' questo senso di agonia, come a voler porre le due caratteristiche in una dicotomica contrapposizione. Se fosse voluto, sarebbe un'intuizione geniale, per com'è riuscita. 
Un paio di pecche: una produzione poco colorita, che lascia un vago retrogusto di insipidezza, ma soprattutto le strutture raramente estrose dei pezzi, che sovente richiamano prodotti già sentiti. Perché non citare ad esempio Tori Amos, anche se in alcuni dei lavori meno noti (tipo "From the Choirgirl Hotel" del 1998).

In sintesi, Margherita ha fatto un ottimo lavoro, con i suoi musicisti e con le sue parole, ma solo proseguendo nel lavoro di composizione e di scrittura potrà trovare la quadra per esprimere al meglio le grandi capacità che indubbiamente possiede. 

mercoledì 12 agosto 2015

Andrea di Giustino - Il Senso dell'Uguale (Hydra Records, 2015)

Andrea di Giustino, sulmonese, sfoggia già dalla biografia nel suo sito internet un curriculum di tutto rispetto. Speaker di pubblicità, autore di testi e musiche, arrangiatore, insegnante di canto, pianista, già al lavoro con l'inviato di Striscia La Notizia Max Laudadio e il violinista e chitarrista Giulio Fonti per la colonna sonora del film "Dalla Vita in Poi", una vita nel mondo della musica, tutto ciò rappresenta un ricco bagaglio che pesa come un macigno nell'analisi di un disco che ha come supervisore artistico nientemeno che Mauro Mengali (lo stesso di Caterina Caselli, Marco Masini, Stefano Bollani, Paolo Benvegnù, tra gli altri).

Nel giudicare con razionalità un album di canzone d'autore come "Il Senso dell'Uguale" occorre un approccio totalmente scevro di pregiudizi, perché i linguaggi sono quelli del pop italiano come chi ascolta musica più ricercata ha imparato a bistrattare impietosamente, perché troppo uguale a sé stesso, incapace di rinnovarsi. Non che il disco di cui stiamo parlando sia del tutto originale, ma complessivamente è esente da alcuni degli schematismi triviali della musica italica, a partire dalle melodie quasi infantili del neomelodico da classifica, dagli assoli di chitarra tra secondo e terzo refrain che pretendono di fare rock con ghirigori obsoleti, dal quattro quarti forzato. Se non nella musica, vitale ed energica, per quanto patinata, l'energia del disco si sprigiona dai testi, incentrati sul tema dell'uguaglianza (e del suo opposto, la diversità), scritti in un italiano mai troppo sofisticato ma pure senza cliché. Per la grazia di alcune frasi, la mente corre al miglior Samuele Bersani ("Controindicazioni"), o a Max Gazzé ("L'Alchimista di Parole"), dall'altro lato "Morire Vivo" ricorda i tanti tentativi falliti di molti artisti di nicchia di fare il tormentone estivo che però non sfonda. Evitabile. Nell'osare con l'elettronica, ma anche con il rock più classico e modesto, il disco è di per sé molto equilibrato, bilanciando bene tutti gli ingredienti senza mai ostentare nulla. E' nella sua misura che si trova il punto di forza di Andrea di Giustino, che nel parlare di amore, di nostalgia, di rimpianti, come chiunque ha provato a fare, ha tuttavia un quid personale, caratteristico.

Nel complesso, convince il messaggio ma meno la musica, che come spesso accade sta dietro la voce ed in questo caso è sicuramente un vantaggio per la riuscita dell'album. Un artista con un curriculum del genere può certamente mirare a traguardi più ambiziosi e riascoltando più volte il lavoro appare evidente come la strada tracciata possa condurre ad esiti felici in un futuro relativamente prossimo.  

lunedì 10 agosto 2015

Misfatto - Rosencrutz is Dead (Orzorock Music, 2015)


I piacentini Misfatto, dal 1990, sono impegnati nella creazione di un'opera unitaria, formata al momento di tre capitoli, fusi tra loro da un'inestricabile coerenza tematica, musicale ed atmosferica. "Rosencrutz is Dead" è il terzo capitolo, e segue a "Heleonor Rosencrutz", personaggio di cui si continua - come appare ovvio - a parlare, anche qui. 
I sette brani, di nuovo, si attaccano a quei linguaggi che dall'inizio i sei hanno messo sul piatto, tra psichedelia acida e pop rock, anche se stavolta serpeggiano in maniera più presente (e più matura), disseminati qua e là, momenti ambient di sicuro effetto sul piano dell'evocazione di immagini. Lo scopo evidente appare quello di dare alla produzione discografica finora pubblicata il senso di un viaggio continuativo, probabilmente ora terminato con la morte della protagonista, utilizzando i propri idoli - dichiaratamente Doors e Beatles - come luminari e come punti di partenza. Sono nomi immediatamente distinguibili, ascoltando i brani, ed è inevitabile notare qualche richiamo che ricade fortunatamente più nella citazione involontaria che nel plagio. 
La title-track e "Kamaleon" risultano, al terzo ascolto, i pezzi che più esaltano le qualità della band, i veri punti di forza del disco, forse anche per l'energia sprigionata dai momenti di apertura che ci ricordano le origini rock dell'album di esordio, finora il più aggressivo del sestetto. Il leader Gabriele Finotti, da filosofo della band, è quello che si nota di più, e non è strano notare che dal libro di cui è autore ("La Chiesa Senza Tetto"), tutto il percorso sia stato compatto e uniforme, fedele ad una linea seguita senza contraddizioni, con la coesione necessaria a lasciare ai posteri l'opera omnia sua e dei suoi Misfatto come una costruzione artistica monolitica e complessa. Un merito che travalica la musica e che rimarrà riconoscibile negli anni.