Emanuele Gallo e la sua Manu Production irrompono sul mercato con "Distanza 0", un lavoro vago, di difficile interpretazione, per la sua propensione a sfuggire alle definizioni più ovvie pur avendo una base rhythm'n'blues modaiola che può ricordare sia boyband in voga ormai vent'anni fa (N' Sync, Backstreet Boys, Westlife) che i vari fuoriusciti, Justin Timberlake e Ronan Keating, per citarne due. In realtà, trasuda anche di italianità ma sono i linguaggi eccessivamente pop a prendere il ruolo di protagonisti, riversati in brani che come il singolo e title-track fanno dell'orecchiabiltà il loro unico punto di forza. Il discorso vero è il senso di anacronistico, di già sentito, su cui non si può passare sopra ogni anno per centinaia di dischi. Se anche gli arrangiamenti dei brani più delicati, come "Sempre per Sempre" e "Sarai la Sola", sono di gran classe, ritorniamo sempre al palo con "Flashback", una versione underground - nel senso che la celebrità ancora non è arrivata - dei più pessimi Benji & Fede.
Quando si sconfina nell'elettronica, vedi "L'Ultimo Rintocco", sentiamo Emanuele dove vorremmo realmente sentirlo, cavalcare synth e ritmiche dispari con quel piglio pop che suona alla perfezione. Altro momento alto è "Un Piccolo Bacio", che forse meritava una spinta maggiore dal punto di vista ritmico, una ballad di grande livello che ricorda il migliore Baglioni, e soprattutto, se analizzata nell'ambito del radiofonico, può certo risaltare e farsi notare.
La cura nei testi c'è, così come l'interpretazione. L'uso delle parole non è magistrale, ma è raffinato al punto giusto, rimanendo dentro la cornice del pop senza scadere nel banale e senza nemmeno addentrarsi nel barocco.
La cura nei testi c'è, così come l'interpretazione. L'uso delle parole non è magistrale, ma è raffinato al punto giusto, rimanendo dentro la cornice del pop senza scadere nel banale e senza nemmeno addentrarsi nel barocco.
Intendiamoci, qui tutto è curatissimo, dai testi all'esecuzione, passando per songwriting, missaggio, mastering, concezione, confezione. Ascoltare Baglioni, Venditti, Mengoni e poi tuffarsi nella scena italiana con queste capacità è senz'altro degno di nota, ma anche inutile. I contenuti, infatti, sono quello che sono, forse solo all'orecchio del sottoscritto, ma certo è che non c'è più alcuna necessità di musica di questo tipo.
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