I Grizzly Bear sono quattro musicisti di Brooklyn che hanno avuto la brillante idea di sperimentare con il pop, il folk, miscelando questi generi con derive alternative ed ingredienti di rock più classico. Questa non sembra una novità, nell'epoca degli Animal Collective e della moda del ritorno all'antico (moda che tocca più i Joy Division che altro), ma rispetto ai ragazzi di Baltimora i newyorkesi sembrano molto più “avanguardisti” nel loro intento. Al loro terzo lavoro, proprio mentre le sperimentazioni procedono verso altre direzioni in tutto il mondo della musica “alternativa”, continuano sulla loro strada, producendo un vero e proprio gioiellino. Il nome criptico “Veckatimest” può ingannare. In realtà si tratta di un gran disco, ma vediamolo meglio nel dettaglio.
L'incontro per nulla insipido di numerose influenze crea squisite convergenze sonore in canzoni stratificate dalla composizione piuttosto complessa, lontane dai cliché e dall'unidirezionalità di certe band-revival. Si rifugge nel beatlesiano, come nel prog anni settanta, per passare dai Beach Boys e ai più recenti Arcade Fire (senza mai citare direttamente nessuno di questi). Stupende armonie vocali e giri di piano che sanno di orecchiabile quanto di vintage (come se le cose non potessero andare d'accordo), come nel pezzo di apertura Two Weeks, che parte con un limpido giro di piano facilmente memorizzabile per sguazzare poi negli intrecci di voce-basso-piano che sono uno degli ingredienti principali di questo Veckatimest. Ci sono anche la componente epica di una canzone come I Live With You e la pop-consapevolezza di While You Wait for the Others. E anche i pezzi riempitivo non suonano per nulla scontati: parlo di piccole perle come Hold Still e About Face, riempitivi perché farciture rimpastate di sonorità che i Grizzly Bear già esplorarono nei lavori precedenti, seppur questo non è un difetto, e ascoltando questo disco nella sua interezza lo si può pienamente appurare.
Ottimo il lavoro sui suoni, a volte più legati al passato (anche questo per nulla negativo) pur senza sembrare “vecchi”, e la produzione, a confermare le esigenze di un'etichetta comunque di spessore come la Warp. Per parlare dell'aspetto tecnico non serve sprecare molte parole; si tratta di musicisti con una certa esperienza, e questa trasuda da ogni nota, da ogni inaspettato passaggio e da ogni colpo di batteria, in questo disco particolarmente presente (rispetto all'album di debutto Horn of Plenty ad esempio) ed originale.
Non ci si aspettava così tanto, davvero complimenti ai quattro ragazzi. Ascoltate questo disco, perché merita davvero (non solo per chi apprezza le band sopracitate).
Voto: 8
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