venerdì 16 marzo 2012

Phil Collins - Face Value (Virgin, 1981)


Dopo aver parlato di Peter Gabriel, mi pare quanto meno giusto dedicare una recensione a quello che (a torto, a mio avviso) è considerato l'altro grande protagonista dei Genesis: Philip David Charles, in arte Phil, Collins.

Da sempre c'è una diatriba accesissima tra i fan dei Genesis: meglio i Genesis con Peter Gabriel alla voce o con Phil Collins? (Per amor di cronaca, va anche ricordato che c'è stato anche un terzo frontman nel 1997, il bravo Ray Wilson). In realtà non c'è una vera risposta (come su tutte le cose che coinvolgono la sensibilità musicale individuale). Personalmente, mi definisco un Gabriellano moderato: ritengo il periodo con Peter Gabriel come frontman di gran lunga superiore all'altro, anche se questo non mi impedisce di apprezzare molti dei dischi del successivo, in particolare "A Trick of The Tail", "Wind and Wuthering" e "Duke".

In questo caso, però, si sta parlando della carriera di Phil Collins, non quella dei Genesis. L'album di cui parliamo oggi, "Face Value", è un caso molto interessante. Si tratta dell'esordio solista del polistrumentista Inglese. Va ricordato, quindi, che in questo periodo il nome di Phil Collins non portava alla memoria immagini di canzoni pop o musica sdolcinata: in questo periodo Collins era considerato un musicista di altissimo livello che aveva suonato in album di gente del calibro di Brand X, Brian Eno, Robert Fripp, Peter Gabriel e Steve Hackett. Per cui, questo album, va ancora considerato, tutto sommato, come il disco solista di un batterista, ed è per questo che risulta così interessante anche se da un lato è pur vero che i Genesis stavano progressivamente (concedetemi il gioco di parole) abbandonando il genere progressive.

Non facciamo l'errore, infatti, di dimenticarci che Phil Collins è principalmente un batterista: e che batterista! Il suono di batteria, molto potente, e il drumming, impetuoso, impeccabile e incisivo è una delle attrattive maggiori di questo disco. Si ascolti, ad esempio, il formidabile attacco nella celeberrima "In The Air Tonight", uno dei brani pop meglio costruiti di sempre. Tale entrata, geniale, è sottolineata anche dal fatto che la batteria non entra fino a quasi il termine del brano, con un suono che colpisce in faccia l'ascoltatore. Tale suono, in realtà, non è totalmente farina del suo sacco: Collins, infatti, partecipò alle session del terzo, splendido album, non intitolato di Peter Gabriel. Durante le registrazioni, Gabriel impose ai batteristi di non usare nessun tipo di piatto. La batteria di Collins è udibile nei brani "Intruder" e "No Self Control", e il drumming in questi due brani sarà proprio quello che ispirerà il suono e l'entrata di "In The Air Tonight". Altri brani dove la batteria è particolarmente incisive sono lo spensierato strumentale "Hand in Hand" e l'apocalittica reinterpretazione di quel capolavoro Beatlesiano che è "Tomorrow Never Knows", posta in chiusura del disco. Vale la pena spendere un paio di parole anche su questa cover. Collins, infatti, è sempre stato un grande fan di Ringo Starr, a tal punto da affermare, in un'intervista rilasciata per il libro di George Martin "The Making of Sergent Pepper" nel 1992: "Starr è molto sottovalutato. I suoi fill di batteria nel brano "A Day in the Life" (NDA: brano conclusivo di "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band") sono davvero molto complessi. Oggi, se vai da un batterista professionista e gli dici 'voglio qualcosa come questo' non saprebbe replicarlo". "Tomorrow Never Knows" è, appunto, uno dei brani originali dei Beatles dove la batteria di Starr gioca un ruolo fondamentale, e una cover in un disco di batterista suona abbastanza naturale. La versione di Collins è affrontata ad un tempo più lento e risulta più elettronica. Ciononostante, il brano non differisce più di tanto dall'originale, forse perché già il capolavoro Revolveriano è stato un po' una primissima sperimentazione elettronica. Collins cerca anche di rendere inquietante questa versione inserendo alcuni cori, violini e fiati, rovesciati, rallentati e/o velocizzati, e un accenno finale a mezza voce del classico "Somewhere Over The Rainbow" a fine brano (parlando di questi abbellimenti, sul documentario uscito per la serie "Classic Albums", Collins scherza sul fatto che "nessuna droga è stata assunta durante la creazione del disco").

Altri brani degni di nota sono lo strumentale "Droned", la ballata minimale "The Roof is Leaking" (con la straordinaria partecipazione di Eric Clapton!) e la rockeggiante "Thunder and Lightning", mentre tra le pecche dell'album troviamo una discutibile reinterpretazione del brano dei Genesis "Behind the Lines" e l'incerta "I'm Not Moving".

Si tratta quindi di un disco molto professionale e ben costruito. Non un capolavoro, e non un album al livello di nessuno di quelli di Peter Gabriel, a cui, volente o nolente Collins sarà sempre paragonato (è importante specificare che in realtà, non vi è nessuna rivalità tra Collins e Gabriel, che, invece, sono sempre stati in rapporti di amicizia: come già citato, Collins ha partecipato alle session per il terzo album di Peter Gabriel, e Gabriel ha partecipato come corista alle session per l'album di Collins "No Jacket Required" del 1985). Per la riuscita di questo album Collins ha ingaggiato alcuni nomi da far girare la testa: oltre al già citato Clapton, troviamo anche Shankar, Alphonso Johnson, Daryl Stuermer e i Phenix Horns (la sezione fiati dei leggendari Earth, Wind & Fire).

Infine, concludiamo con una piccola riflessione: a volte Phil Collins è considerato dai fan del progressive, come un traditore (nella migliore delle ipotesi) o come un incapace (nella peggiore delle ipotesi, e francamente, per fare tale paragone bisogna veramente non capire un'acca di musica), e, in genere, il nome di canzoni come "Sussudio", "One More Night" e "Groovy Kind of Love" porta reazioni di disgusto. I gusti personali non si discutono, ma è necessario ammettere che nel suo genere (il pop commerciale), Collins si è dimostrato un professionista in grado di creare canzoni perfette dal punto di vista tecnico (ATTENZIONE: in questa frase NON va letto che, comunque, tali brani siano dei capolavori), oltre ad essere un grande batterista e un cantante tecnicamente impeccabile. Semplicemente, non si tratta di brani progressive, ed è anche abbastanza incomprensibile voler per forza legare Collins al suo passato progressive e fusion. Ma questo è un altro discorso più complesso che affronteremo un'altra volta...

Voto: 7+

2 commenti:

Roberto ha detto...

Bella recensione. Sono molto legato a Face Value, lo comprai "in diretta"! Ciao da... Telescopium!

Anonimo ha detto...

Excellent essay about "About Face," Jacopo. As a drummer myself, Collins was always a huge influence, especially during this era (late-70s to early-80s) when I was a teenager. I was always impressed by how his drumming was only a small part of his solo work, and he proved himself to be an excellent all-around musician...even though his later work paled in comparison to his first two solo albums.

A lot of people can't tell the difference between 80s Phil Collins and 80s Genesis, but there are subtle differences that distinguish them, most notably those Phenix Horns (which did appear on Genesis' "Paperlate" and "No Reply At All," blurring the lines a bit I suppose).

I always thought that "You Know What I Mean" was one of his best ballads, and would've been a bigger hit (like "one More Night") if he released it on a subsequent album. I also love this version of "Behind The Lines," which is different than, but every bit as enjoyable as, the Genesis version.

All in all, a wonderful album by a phenomenal musician, and I really enjoyed your assessment of this record.

Best wishes,
Rich