Un americano e due genovesi con la passione per Clash, Police, Devo e Duran Duran, per citare solo alcuni artisti dal vivaio dei loro ascolti. Li scopre Giorgio Tani, agente di spettacolo e discografico che ha al momento nel proprio roster i Ricchi e Poveri. Questo sono in sintesi i NewTella, anche se sarebbe a dir poco riduttivo definirli solo così. In effetti, la musica di stampo revivalistico o che vuole tributare all'olimpio del rock è spesso scadente o fine a sé stessa, e occorre quindi chiarire perché "Spoon", un disco che rimanda così evidentemente a certi nomi, non sia la clonazione di lavori altrui bensì un efficace opera enciclopedica, una riscrittura in chiave personale di quanto appreso nella propria formazione di musicisti.
Forti del perfetto inglese del cantante (Max Hernandez, nato a Boston), sfoderano un sound internazionale, diversamente da quanto accade solitamente dalla sempre più nostalgica e autoreferenziale scena italiana. I brani sono quasi tutti belli tirati, tosti, arrangiati in maniera patinata, senza mai graffiare troppo. Per questo, si distinguono alcune potenziali hit come "Kaleidoscope", pezzo che richiama subito i Blur o, perché no, gli Stone Roses, altre band che pur nella loro cifra stilistica mantengono viva l'origine beatlesiana. La ritmica è sempre impetuosa, diretta, senza sbavature né esagerazioni, ed è lo stesso equilibrio che permea tutto il disco, il quale di certo non vuole dimostrare le capacità strumentali della band ma "dire qualcosa". Il messaggio forse non è così chiaro, e ci si può perdere nel pensare a quale vecchio complesso possa assomigliare una canzone piuttosto che un'altra, ma ciò non toglie che con gusto, una buona produzione e una cultura musicale adeguata sia possibile rimescolare le carte e azzeccare un bel colpo alla faccia di chi parla di innovazione senza fare nulla di concreto.
Forti del perfetto inglese del cantante (Max Hernandez, nato a Boston), sfoderano un sound internazionale, diversamente da quanto accade solitamente dalla sempre più nostalgica e autoreferenziale scena italiana. I brani sono quasi tutti belli tirati, tosti, arrangiati in maniera patinata, senza mai graffiare troppo. Per questo, si distinguono alcune potenziali hit come "Kaleidoscope", pezzo che richiama subito i Blur o, perché no, gli Stone Roses, altre band che pur nella loro cifra stilistica mantengono viva l'origine beatlesiana. La ritmica è sempre impetuosa, diretta, senza sbavature né esagerazioni, ed è lo stesso equilibrio che permea tutto il disco, il quale di certo non vuole dimostrare le capacità strumentali della band ma "dire qualcosa". Il messaggio forse non è così chiaro, e ci si può perdere nel pensare a quale vecchio complesso possa assomigliare una canzone piuttosto che un'altra, ma ciò non toglie che con gusto, una buona produzione e una cultura musicale adeguata sia possibile rimescolare le carte e azzeccare un bel colpo alla faccia di chi parla di innovazione senza fare nulla di concreto.
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