38 anni, alessandrina, formazione musicale accademica: è questo l'identikit di Chiara Giacobbe, violinista e songwriter già al lavoro con, tra gli altri, Trent Miller, Yo Yo Mundi e Antonio "Rigo" Righetti.
Scendendo nei meandri di "Lionheart" scopriamo subito il talento spaziale della Giacobbe, armata del suo violino suonato con foga circense in "My Mexico" e di un primordiale spirito autobiografico, mutuato da ascolti certamente di alta scuola cantautorale, che emergono con prepotenza e altrettanta matura sincerità nei brani più posati, come la title track e "I Can't Get Over You". Niente strizzate d'occhio al pop moderno, nessun eccesso di tecnica, ma colorazioni blu e gialle, senza troppa allegria, che esplodono in un tripudio di energia ("Let You Breathe") o imbrogliano l'ascoltatore ("Pet Lion") irretendolo in quel bisogno indotto di un cantato che invece il pezzo, strumentale, non intende soddisfare. E funziona, forse, meglio così. Il resto certamente non risulta all'altezza dei brani citati, pur rimanendo in una cornice qualitativa pienamente sufficiente. Qualcuno individua nelle parole di Chiara un exploit di femminilità, l'urgenza di spiegare al mondo cosa e come sente una donna, messaggi che possono arrivare fin dove la musica non sovrasta le liriche e diventa protagonista. La Chamber Folk Band, infatti, composta da musicisti di alto livello come Daniele Negro, Marco Rovino, Luca Bartolini, Rino Garzia e Andrea Chellini, segue la piemontese in maniera fedele e attenta, dando il giusto lustro alla sua voce e al suo modo di comporre, ma in più di qualche occasione predominano, relegando dietro le quinte il contenuto dei brani per portare l'ascoltatore a quella naturale propensione per il semplice approccio melodico tipica dell'italiano medio che non conosce l'inglese. Tornando ai musici, basso e batteria marciano dritti e possenti, dando al folk, al bluegrass, al blues più cantautorale e di stampo americano un accento più rock, mentre sono eccezionali gli altri strumentisti a tentare di conferire cenni di novità stilistica ad un prodotto tanto ben confezionato e costruito, quanto "vecchio", seppur nel senso meno negativo del termine.
Un lavoro pregiato, sartoriale, gonfio di un'eleganza antica ma strafottente, perché è anche giusto togliersi lo sfizio di fare la musica che piace, senza porsi il problema di essere giocoforza innovativi.
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