Fabio Curto, sebbene il nome non dica niente ai più, presenta immediatamente un volto familiare. Da brevi ricerche, figura infatti il vincitore di The Voice of Italy 2015, kermesse televisiva nella quale Facchinetti aveva fatto "annusare" un sicuro successo al giovane. Come spesso accade, però, i talent show si trasformano in trappole, fucine di meteore che verranno ripescate solo per qualche siparietto iniziale nelle edizioni successive, o citate in qualche articolo che parla proprio di quanto i talent non funzionino. Ecco che Fabio scompare dal piccolo schermo e dalle radio di massa e ritorna oggi con questo "Rive Vol. 1", un lavoro che dimostra come la voglia di sfondare già messa sul piatto all'epoca sia ancora ardente, un fuoco che le delusioni della sovraesposizione televisiva non hanno spento.
Dunque, cosa ci troviamo in questo disco? Blues, rock (Timoria?), cantautorato italiano (qualcuno ha detto Battisti?), pop, una serie di elementi forse banali e già sentiti, ma filtrati da una vocalità e degli arrangiamenti di tutto rispetto, che al limite meriterebbero un po' più di focus. Il punto debole del disco sono i suoni, non troppo moderni, ma neanche abbastanza nostalgici, che non riescono a risultare possenti quando serve, e neppure troppo delicati nei frangenti più intimistici. Il resto funziona a meraviglia, a partire dalle ballate "Neve al Sole" e "L'Airone", i due brani forse meglio scritti e che arrivano alla fine con più coerenza di scelte stilistiche e sonore, così come di certo non sfigura il singolo "Mi sento in orbita", catchy forse in maniera non totalmente intenzionale, ma ineccepibile nel mettere nero su bianco quanto una certa scrittura sia in grado di superare le barriere dell'orecchiabilità e arrivare all'ascoltatore anche senza scadere forzatamente negli stereotipi del Ligabue di turno. La più movimentata, in qualche modo anche la più accorata a livello interpretativo, è sicuramente "Un'ora fa", un treno in corsa ma con un'intensità ben graduata, mai troppo veemente né ruvida. E' qui che le influenze blues trovano la loro migliore espressione. Il resto del disco viaggia su livelli simili, e raggiunge picchi di sofferenza notevoli, come in "Fragile", dove il tema dell'esclusione sociale viene trattato come solo chi viene da una delle regioni più sfortunate del Belpaese, la Calabria, può saper fare e tradurre in musica.
La prima impressione, non musicale ma contestuale all'artista, è che non aver potuto proseguire un percorso mainstream contaminato da scelte discografiche pilotate come per altri vincitori di talent lo abbia aiutato a focalizzare l'attenzione sulle giuste dinamiche compositive, scegliendo un sentiero che lo condurrà con tutta probabilità a dare alle stampe dischi di ancora maggior caratura in futuro. Un vero gioiellino, con pochissimi punti criticabili. Congratulazioni.
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