Beppe Cunico, per il suo esordio nel panorama discografico italiano, investe del tempo e rilascia il suo "Passion, Love, Heart & Soul" a tre anni dal concepimento del primo brano. La stesura di un lavoro così sfacciatamente convoluto, lungo, dispendioso in termini di energie sia per la composizione che per l'esecuzione, richiede per l'ascoltatore un notevole investimento di tempo e una soglia dell'attenzione altissima, che solo gli estimatori del prog duro e puro conservano ancora nell'epoca in cui spopolano principalmente pezzi al di sotto dei tre minuti. Sono invece tutti sopra i cinque minuti di durata gli undici episodi di un lavoro che assume immediatamente caratteristiche epiche nelle sonorità, rifacendosi ai suoi numi tutelari, dichiaratamente Steven Wilson (citato nel titolo della traccia numero quattro, "An Evening with Steven Wilson")), i Genesis, i Marillion ("The Beginning"), sicuramente anche i Pink Floyd e la seconda metà della loro carriera ("Silent Heroes", ambientato a Chernobyl). In realtà, ciò che sorprende maggiormente è l'impasto sonoro che si genera grazie alla contaminazione con il pop rock di formazioni come U2 e i The Cure ("Reinvent Yourself", il momento più leggero e orecchiabile del lotto), in particolar modo nelle orchestrazioni e nei frangenti più tranquilli e posati, come la ballad "My Life", doveroso capitolo romantico che risulta, in fondo, il più riuscito. Stupiscono i cambi d'atmosfera, la capacità di usare musica e parole come un caleidoscopio, mettendo in scena tonalità cupe ma anche solari, tragedie e guizzi di speranza e candore, oscurità, malinconia, ma anche gioia di vivere, di esserci, di avere la possibilità di dire la propria con questi mezzi.
Testi, arrangiamenti, pasta sonora, missaggio, interpretazioni strumentali e vocali: tutto quadra, tutto è al suo posto, senza mai uscire dagli schemi. Una perfezione che può risultare quasi un difetto, quasi il mascheramento di un'umanità che invece, ripetendo gli ascolti, pervade tutto l'album e di fatto serve a rappresentare un amore per la musica che solo un compositore come il vicentino Cunico poteva incanalare in una maniera così emozionante, senza mai annoiare nonostante la prolissità e la verbosità di alcuni costrutti. Un album necessario, per capire che la musica non è solo istantanee mordi e fuggi, ma anche elaborazioni complesse, da digerire con cognizione di causa.