La savana degli Appaloosa è un ambiente molto ospitale. Altamente diversificato. Ci possono convivere le specie più diverse, all'interno di alcune condizioni che bisogna riconoscere per la sopravvivenza. L'elettronica, il funk, il noise, l'alternative. Sono le premesse per costruire un sottobosco dai toni vivaci, e la costruzione è iniziata da anni. E in questo loro ultimo lavoro, tra le piante e le bestie di questo strano habitat, fanno capolino nove brani, della durata media di quattro minuti l'uno e dai toni molto, davvero molto vari.
All'interno della complessità della composizione dei brani si denota un filo comune nel basso sempre potente e preciso, che collega tutte le varie sfaccettature del disco con l'orecchiabilità dei riff che proietta dritti sullo schermo piatto degli ascoltatori. La traccia d'apertura, Minimo, ne è un esempio assoluto, con i suoi quattro minuti di follia elettronoise, ballabile al punto giusto da non sembrare troppo pop. Chinatown Panda, sempre con un giro di basso ritmicamente molto coinvolgente, ricrea bene con suoni da vera giungla l'ambiente che questo disco sembra voler rappresentare (come nella title-track Savana, un pezzo gutturale, quasi da soundtrack, dove però i rumori della foresta continuano per tutto il brano, diventando indistinguibile elemento del coriaceo sfondo musicale di questo strano episodio). Il disco è quasi interamente strumentale, con la voce che compare, anche se in maniera piuttosto timida, solo in due brani, tra cui Mons Royal Rumble, dove, lo si può dire anche piuttosto schiettamente, era anche evitabile (la canzone è di per sé completa anche così). Andrea Appino degli Zen Circus presta la sua voce in Glù, piccolo angolino rock del disco, composto di sei minuti di pestone riservati al finale shock che potremo gradire sicuramente anche nelle setlist dei loro live. Ottimi i toni quasi hardcore delle chitarre e della batteria dopo la metà e gli spunti punk del secondo quarto di pezzo (non vi ricorda il Teatro degli Orrori?). Ritmi più sostenuti in Genny, già ascoltabile in anteprima sul loro MySpace da tempo, in cui i livornesi si avvicinano all'elettronica più movimentata di band straniere come gli Holy Fuck, punto di riferimento di molti negli ultimi tempi. Qualche accenno al prog spazza via la prima metà di Tg, prima della sezione centrale che sancisce la calma definitiva del pezzo prima della martellata conclusiva. Il groove, sempre sostenuto principalmente dal basso, parte con una sgommata verso il traguardo in Civilizzare, una vera e propria cavalcata di funk che si accende all'improvviso; l'elettronica riproposta con questi suoni, più grossi e più rock, sa essere veramente interessante. E' forse il pezzo più riuscito del disco.
Gli Appaloosa si sono dimostrati band valida e quantomai indispensabile nel panorama underground italiano già con il lavoro precedente (e i travolgenti live in cui lo hanno suonato), e questo “Savana” conferma la loro accentuata vena compositiva, spietata ed egocentrica, puntuale ed originale (con l'eccelsa produzione dell'ormai collaudatissimo ed onnipresente Giulio Favero). Una band che si potrebbe benissimo considerare punto di riferimento di una scena che in Italia non ha mai avuto un grande sviluppo e che forse potrebbe individuare in loro il ruolo di “iniziatori”.
Tutti in viaggio verso la savana degli Appaloosa.
Voto: 8+
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