Indipendentemente dal fatto che ormai ci siano tanti pregiudizi su questa scena, ci si sente sempre più snob a criticare le copie dell'eredità raccolta da Ian Curtis. Purtroppo siamo di fronte all'ennesimo caso, neanche tanto nascosto, di palese volontà di riprodurre i fasti di una delle uniche band che del post-Joy Division ha saputo fare originale marchio di fabbrica, cioè gli Interpol.
Da Bologna i The Ties and the Lies escono con un repertorio che suona quasi un breve palinsesto televisivo di cover, August is For City Lovers in particolare, per una kermesse di tradizionalisti della new wave, così come ormai l'industria la vuole. Lenta come gli Interpol, poco più pensato dei White Lies, comunque abbastanza scarna. Nell'originalità quantomeno. Musicalmente i quattro ci sanno fare, mettendo a segno un full di ottime sonorità (notevole il suono per essere un EP di una band della scena indipendente) e proverbiali "citazioni", volute o meno, delle band più esperte del settore. Si stacca un po' dallo stanco incedere del quattro quarti lento e straziato dei primi due brani (la già citata e Fall, come un pezzo dei Verve con Paul Banks con pronuncia italiana alla chitarra e alla voce) con Untitled, un brano più dirottato verso le realtà meno ridondanti dell'alternative sempre esperto nel rinnovarsi nonostante gli attacchi dell'industria "uniformatrice". La voce non tradisce, ed ammetto che sulle prime pensavo fosse un riarrangiamento dell'omonimo estratto da "Turn on the Bright Lights", nel convogliare gli arpeggi di devozione quasi post-rock in un abisso di graffiante violenza che raggiunge il suo acme con l'esplosione a metà brano, prima di ritornare all'inizio come una spirale cupa e malinconica, che rende il pezzo il più dinamico e "vario" di questo lavoro (e sul finale si scappa di nuovo in una velocizzazione quasi Casablancas/Albert Hammond Jr. Di rito.). L'album si conclude con un nuovo rimando (o chiamiamolo, dimostrazione di come staccarsi dalle sonorità dei gruppi che ti piacciono di più dopo un po' diventi impossibile se non ti chiami Damon Albarn o Thom Yorke) ai soliti, The Bombs Over Town, su tonalità di triste vocazione curtisiana come ne abbiamo sentite a migliaia. Anche dai Cure.
Tradisce un po' l'idea di "copia" che trasuda da questo disco. Ormai si palesa nella mentalità critica una certa volontà di stroncare chiunque abbia preso questo genere troppo sul serio. Fare new wave alla fine è come fare punk. Sono generi morti e chiusi in sé stessi, con pochi cliché a disposizione, pochi colori sulla tavolozza che ti danno la possibilità di portare a termine poche combinazioni sulla tela. Il progetto definitivo è così sempre inquadrato in un certo numero di formule e connessioni che si possono ampiamente prevedere. Per i The Ties and the Lies il passo falso non è quindi volersi avvalere di questi stessi ingredienti, ma quello di arrivare al centro del tifone di critica per il genere, quella tendenza a non voler più lasciare che queste band facciano il loro corso. Ma qui la pensiamo diversamente: ben vengano band come queste, alfieri di un genere defunto ma armato di una vitalità immensa nel suo portare tristi messaggi dall'impeto rock e, in qualche modo, dark. Non come gli emo, ma come lo intendevano Smith, Curtis e i primi Depeche Mode. L'animo è quello, la musica è un'altra cosa. Un attimo di personalità in più e possono fare il colpaccio. Per ora, discreti.
Voto: 6
Recensione scritta per Indie for Bunnies - link
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