Recensione scritta per Indie for Bunnies
Tracklist
I Baustelle, porca miseria i Baustelle...
Sono anni che ci propinano dischi identici e stanno comunque avendo una crescita non indifferente, portati in trionfo da un generale apprezzamento popolare e da collaborazioni eccellenti come la stesura di testi per Irene Grandi e la colonna sonora per il film "Giulia Non Esce La Sera". La band non è di certo famosa per la sua creatività, ma ha perlomeno saputo consacrarsi come un punto di riferimento per il suo stile caratteristico, inconfondibile, che ha i suoi punti fermi nella voce e nei testi di Bianconi, nelle influenze quasi classiche che risalgono, sforzandosi un poco, anche a Morricone, e nell'alternanza con la voce femminile di Rachele Bastreghi, abile anche alla tastiera nel ricavare suoni di un certo spessore, suoni che ormai possiamo definire a tutti gli effetti suoni da Baustelle. I senesi (montepulcianesi per la precisione) collocano piuttosto spesso il tiro delle canzoni su un tono "storico", parlando di personaggi del passato, letteratura (il titolo del disco è quello di un romanzo di E. Zolla) e qualche volta, politica. Non c'è satira, solo qualche riferimento, cinico e vagamente "spietato" (come sentivamo in "Charlie fa Surf"), nella title-track, che inizia quasi come un plagio di De André per poi accendersi in puro stile Baustelle, come tutte le altre tracce del resto. In apertura il brano L'Indaco, uno dei migliori del disco, fa il verso ai Pink Floyd con una struttura che ricorda vagamente alcuni dei brani più famosi della formazione inglese. Si prosegue con San Francesco, dedicata al santo che Bianconi sembra apprezzare particolarmente, e Groupies, che porta invece in grembo qualche germe elettronico/synth-pop, in puro stile Depeche Mode, con tanto di cori anni '80 a coronare il tentativo di svolta. Le Rane, uno dei brani più commerciali, con un riff già sentito milioni di volte nella musica pop italiana, risulta comunque abbastanza orecchiabile da essere apprezzabile, così come L'Estate Enigmistica, nella quale spiccano le liriche, in puro stile Bianconi dei tempi de "La Moda Del Lento". Rituale che si ripete anche in Follonica, Groupies e Il Sottoscritto. Poco da sottolineare nel primo singolo estratto, Gli Spietati, radio-friendly fin che vuoi ma manchevole di qualche elemento degno di essere ricordato, troppo scontata e identica a centinaia di altri brani dei toscani. Il miglior episodio del disco è La Canzone Della Rivoluzione, cioè anche la più rock, che denota una certa violenza se paragonata allo standard "baustelliano" e si colloca in quel tipo di alternative che la band non rappresenta ma nel quale ogni tanto vuole fare stereotipata incursione.
Il disco dei Baustelle in verità non è particolarmente uguale ad Amen, per esempio. Questo problema forse viene aggravato dallo stile piuttosto banale (ed ultimamente, scontato) di Bianconi nell'inventare linee vocali, mentre musicalmente solo qualche volta ci si sofferma nella copia di sé stessi. Nei vari brani si fondono pop e rock, cantautorale, tentativi di arretramento negli anni '80, synth-pop, psichedelia e alternative in maniera piuttosto omogenea, creando un tappeto di sonorità decisamente interessante da ascoltare. Ma il fatto che anche dopo decine di ascolti la voce ancora sembri rincorrersi ricopiandosi da brano a brano, rovina veramente un disco che poteva essere molto migliore, se interpretato, che ne so, da un Paolo Benvegnù dei bei tempi?
A questo punto, mistici di cosa?
Voto: 7-
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