venerdì 23 aprile 2010
LetHerDive - The Closet (Disco Dada, 2010)
Recensione scritta per Indie for Bunnies.
Tracklist
Un disco trip-hop in Italia. Non ci credevo neanch'io. Eppure è così.
Da Bologna un disco che ha cuore, che a tutti gli effetti ha un suo perché. Non è facile imbattersi in lavori del genere in Italia, parlo del genere e del tipo di atmosfera proposta. Un album che inizia con un'introduzione già di per sé al culmine della tensione, spezzandosi d'istante in istante in momenti di rilassatezza e viaggi unici, un'esperienza che coinvolge quasi tutti i sensi del nostro corpo. Come quando un urlo su Almost tocca frequenze di rado colpite dal ventaglio sonoro di un album trip-hop, quasi una balena che risuona e viene captata da un radar che sono i nostri incudine, martello e staffa, sopra un tappeto di suoni che arrivano addirittura ad inquietare in un brano come The Bravest il quale ricorda, senza copiare, i migliori Portishead (quelli di Dummy, ovviamente). Il cantato femminile tanto caro ai fenomeni trip-hop ed elettronici funziona appieno in questo brano come in Repentance, dove il languore della voce quasi ricorda certi momenti nostalgici degli album più quieti dei grandissimi Radiohead. Cos'hanno in comune con i LetHerDive? Non molto, ma la grande malinconia diffusa da queste canzoni li accosta praticamente in tutti i punti, con la voce che qualche volta strizza l'occhio al buon Thom Yorke, soprattutto nei suoi lavori da solista. Marcette quasi balbettate (Swords) e ballate che mischiano clacson annacquati e scintillanti beat memori della più grande tradizione synth-pop anni '80/'90 (Laka, assurdamente bjorkiana). Ancora tensione in Grace, che a un certo spreca un urlo horror per inserire poi campionamenti indistintamente presi da collezioni di suoni da cinematografo, cigolii di ascensori pronti a scivolare nel vuoto, passi sgraziati che inseguono altri passi impauriti, piatti sintetizzati ad incepparsi quasi come un ingranaggio che non può più girare nel verso per il quale era stato concepito. E arrivati alla fine con Overcome, l'unico pezzo ad avere una struttura radio-friendly, espressione da prendere comunque con le pinze in un disco come The Closet, si avverte un'impalpabile sensazione di sazietà, come arrivati alla fine di una grande abbuffata ingiustificata ma di grande qualità. In effetti è questo il senso di questo album: non serviva perché il trip-hop non si può più rinnovare tanto, ma esplora le strade già percorse in una maniera del tutto personale, aprendo un capitolo tutto italiano che si spera porterà da qualche parte. I suoni e la produzione di ottima qualità troveranno la loro giusta dimensione in live e, aspettando quel momento, si può pregustare questo ottimo disco solo se dotati di un buon impianto. Per non perdersi le piccole sfumature, i suoni più nascosti, le frequenze più celate.
Buona fortuna, LetHerDive.
Voto: 8
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