Reduce da una contestata esclusione da Sanremo 2015, Michelangelo Giordano si presenta con questo esordio discografico possente negli intenti, un'irruzione che suona come un fulmine a ciel sereno sulla scena folk italiana. Armato delle tradizioni della sua terra, seppur trasferitosi a Milano, porta gli strumenti, le sonorità e le tipicità artistico-musicali della Calabria e del Mediterraneo al pubblico in maniera certamente non innovativa ma di sicuro impatto. Con "Le Strade Popolari" si può ballare, sculettare, divertirsi, ma anche abbandonarsi all'ascolto di un disco leggero, che non esagera - come si tende troppo spesso a fare nella scena italiana recente - con la politica, ma segue una via più da cantastorie istrionico, sincero e diretto. La levità nei toni è un escamotage acuto che consente di puntare il dito contro la mafia e l'omertà ("Non Cangiunu Li Cosi"), o di scendere, senza lamentosi e falsi piagnistei à la Barbara d'Urso, nel difficile terreno della cronaca tramite la storia di Natascha Kampusch. Degli undici brani rimangono però impressi nella memoria quelli più ironici, pungenti e mordaci, come "Il Paesino di Periferia", esempio lampante di composizione legata ai propri ricordi e alla propria patria, alla quale dedica con esplicita dolcezza un canto d'amore in "Sutta a Luna" e "Dolce e Amara", tra i momenti più trasognanti ed appassionanti. I pezzi puramente autobiografici risultano invece più oscuri, forse perché poco ancora conosciamo di Michelangelo, ma è palese come la grinta presente in questo album potrà portarlo a maggior notorietà con le prossime pubblicazioni.
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