mercoledì 21 dicembre 2016

Frank Zappa's continuing voyage into the twilight realm of his own secret thoughts




Fintanto che questo blog continuerà ad esistere, Dicembre sarà sempre un mese dedicato a Frank Zappa. Chi segue questo sito sa bene, infatti, che da qualche anno ci addentriamo nella discografia postuma di questo straordinario artista che ha lasciato una incredibile mole di materiale, a volte anche perfettamente compiuto e rifinito, consentendo così ai suoi eredi di poter pubblicare una dose massiccia di documenti postumi, alcuni anche di notevole valore musicale oltre che storico. Dall'ultima volta che abbiamo aggiornato questa lista (Dicembre 2014), oltre ad avere avuto finalmente la pubblicazione ufficiale di due documenti da lungo tempo richiestissimi, sono successi diversi avvenimenti degni di nota.

Ahmet, Gail e Dweezil Zappa
Per prima cosa, in ordine di importanza, sicuramente la morte di Gail Zappa, la vedova di Frank, vero e proprio pilastro dello Zappa Family Trust, avvenuta il 7 Ottobre 2015. Gail spesso  si è resa colpevole di alcune scelte controverse, soprattutto riguardanti la gestione dell'esecuzione della musica del marito da parte di terzi, ma comunque ha sicuramente sempre difeso con grande passione l'integrità intellettuale delle opere di Frank. Lo scettro è passato ad Ahmet Emuukha Rodan, il terzogenito dei quattro figli di Frank. Il decesso della dispotica madre sembra aver scoperchiato il vaso di Pandora perché, nei primi mesi di gestione, sono scoppiati diversi conflitti tra la progenie Zappa, con Ahmet e Diva da una parte e Moon Unit e Dweezil dall'altra. In particolare tra i due figli maschi si è accesa una diatriba riguardante i diritti dell'uso del nome Zappa Plays Zappa, il nome della coverband ufficiale; secondo Ahmet, infatti, Dweezil avrebbe dovuto pagare perlomeno una cifra simbolica per poter usare il marchio. Il primogenito, però, non trovando giusto tale trattamento, ha preferito mutare il nome in Dweezil Zappa Plays the Music of Frank Zappa. La polemica tra i due si è spinta a punto tale da coinvolgere anche i mezzi stampa, rilasciando messaggi al pubblico. In seguito questa polemica si è estesa all'utilizzo in sé del nome Zappa.

Alex Winter
Una iniziativa notevole è senza dubbio il documentario "Who The F*@% is Frank Zappa" ad opera del film-maker Alex Winter, previsto ufficialmente per il 2018. Si tratterà del primo film autorizzato sulla vita del Maestro e, come tale, il primo che utilizzerà documenti inediti provenienti direttamente dalla Vault. Essendo molto del materiale presente nell'archivio in stato precario o, comunque, in formati molto fragili, lo ZFT ha pensato bene di ricorrere all'uso del crowdfounding, promettendo premi e esclusivo materiale a coloro che decideranno di contribuire monetariamente, in modo da poter trasferire in digitale il contenuto di più materiale possibile, prima che si deteriori irrimediabilmente. Sfortunatamente, però, la polemica tra gli eredi di Zappa ha coinvolto anche questo progetto: Moon Unit e Dweezil si sono, infatti, dissociati apertamente, alludendo al fatto che la cifra incassata dal kickstarter fosse ad esclusivo uso e consumo di Winter e che a loro, sostanzialmente, non venisse in tasca nulla da tutto ciò.

Joe Travers
Come prevedibile, queste faide interne si sono ripercosse anche tra i fan di Zappa che, in larga parte, si sono avventati su Ahmet, accusandolo di essere ingordo e affetto da cupidigia quanto la madre. Purtroppo, giudicare dall'esterno queste situazioni non è mai facile, sebbene sia sicuramente molto più facile provare empatia per l'artista Dweezil più che per il manager imprenditoriale Ahmet. Entrambi, nelle loro lettere pubbliche (un po' una mancanza di classe, secondo il parere di chi scrive) espongono dei punti validi e, sicuramente, la verità pura la sanno solo loro due: il consumatore può solo basare la sua opinione solo su congetture e sui dati che appaiono in pubblico, spesso molto diversi dipendentemente dal punto di vista di chi li espone. Tuttavia, è comunque necessario spezzare una lancia a favore del terzogenito dato che, nonostante tutte le premesse, la sua gestione, per ora, è sicuramente più rilassata rispetto a quella della madre. Per prima cosa, tutti i vari dischi usciti per la Vaulternative, precedentemente ordinabili solo tramite il sito ufficiale, ora possono essere acquistati anche su Amazon a prezzi più che accettabili, rendendoli così più facilmente accessibili anche per i fan non disposti a spendere cifre esorbitanti. In aggiunta, altro fattore importantissimo, stando alle parole di Steve Feigenbaum, il fondatore della casa discografica Cuneiform Records che pubblica i dischi della Ed Palermo Big Band, una delle coverband che più si trovò a discutere con Gail Zappa per la pubblicazione dei propri lavori, Ahmet usa una linea decisamente più morbida, autorizzando senza problemi l'uscita di tributi alla musica del padre. Inoltre, all'inizio del suo mandato, il nuovo capo dello ZFT ha dichiarato di avere in programma una lunga serie di pubblicazioni, affermando che "si tratta di un ottimo momento per essere fan di Frank Zappa". In effetti, solo nel 2016 sono usciti ben 7 nuovi CD! Insomma, nonostante i vari problemi, sembra che comunque, lo scolaro Zappiano non ci rimetterà e sarà in grado di ascoltare molte nuove chicche, anche perché, il curatore principale di queste uscite rimane il Vaultmeister Joe Travers che, da circa 20 anni, sta facendo un eccellente lavoro in grado di accontentare collezionisti, i fan più esigenti e quelli casuali.  

Ecco i link per chi, prima di addentrarsi in questo articolo, volesse reperire le puntate precedenti. Le analisi cominciano a partire dall'album "The Lost Episodes", pubblicato nel Febbraio del 1996.





Dance Me This (Zappa Records ZR20018)
Data di pubblicazione: 19 Giugno 2015

Dopo anni di promesse, finalmente ecco una pubblicazione ufficiale di "Dance Me This", un album che Zappa completò poco prima di morire, la cui pubblicazione è rimasta in sospeso per motivi non specifici.  Si tratta di un'opera destinata al balletto moderno e comprendente composizioni realizzate per la maggior parte al synclavier, ma danno anche grande spazio a esibizioni di cantanti Tuvani, creando una sorta di "Zappa World Music". Il fulcro del disco sta nella suite in cinque movimenti "Wolf Harbor", molto poco ballabile, perlomeno nel senso popolare del termine, ma molto vicina alla musica del suo mito Edgar Varèse. Tra gli altri brani interessanti, abbiamo la title-track, che contiene un breve ma intenso assolo di chitarra dello stesso Frank, probabilmente l’ultimo eseguito nella sua vita, "Piano", un lungo esercizio per pianoforte molto lontano dai canoni generali della composizione zappiana e, soprattutto, "Calculus": accreditata anche a Todd Yvega, il tecnico del synclavier di Zappa, la composizione è stata realizzata tessendo degli algoritmi su una improvvisazione dei cantanti Tuvani, in modo da creare una base che andasse automaticamente a tempo con gli inevitabili sbalzi di velocità che avvengono durante un’improvvisazione vocale. Il risultato è estremamente instabile dal punto di vista ritmico, ma sorprendentemente compatto all'orecchio. "Dance Me This", come la maggior parte dei lavori dell'ultimo Zappa, è molto denso e maturo, tanto interessante quanto difficile da digerire ai primi ascolti, anche se sarebbe stato sicuramente meglio se fosse uscito contemporaneamente alle opere coeve e non 22 anni dopo, in modo da potergli dare oggi il giusto peso storico e critico. Sicuramente è un ascolto obbligatorio per lo studioso Zappiano, ma anche per l'ascoltatore generico interessato alla musica colta contemporanea. A chi, invece, viene dal mondo strettamente rock, conviene aspettare un po' prima di decidere di affrontarlo.

Voto: 8


Roxy - The Movie (Zappa Records EAGDV050/CD)
Data di pubblicazione: 30 Ottobre 2015

Nel giro di pochi mesi, i fan di Zappa hanno finalmente potuto gustarsi due opere che sembrava fossero destinate a non uscire mai. Il video della serie di concerti al Roxy Club dall'8 al 12 Dicembre 1973, dai quali venne tratto la maggioranza del mitico doppio LP "Roxy & Elsewhere", è stato annunciato per molti anni, ma mai pubblicato. Il motivo, come si è scoperto più avanti, è che Zappa non aveva mai cominciato nemmeno a selezionare quali fossero i pezzi che avrebbe voluto includere in una possibile pubblicazione e che, soprattutto, non tutto il materiale era selezionabile: pare che i difetti tecnici fossero numerosi e che in molte sezioni le telecamere non stessero riprendendo ma fossero semplicemente appoggiate per terra. Finalmente, un film di 95 minuti, più circa 20 di bonus, ha visto la luce nel 2015, editato e co-prodotto da John Albarian e con i contributi audio del Vaultmeister Joe Travers. Il film in sé è spettacolare: le selezioni sono eccellenti (molte sono le stesse take dell'album originale), le performance straordinarie e la qualità video assolutamente incredibile. Si tratta di uno dei periodi più felici musicalmente per Zappa e poter vedere in azione questo gruppo è sicuramente un'esperienza memorabile. In particolare "Be-Bop Tango", che forse su album poteva risultare un po' tediosa, offre un ottimo compendio tra composizione, assolo e partecipazione del pubblico. Oltre al DVD, la pubblicazione offre anche un CD audio con gran parte della colonna sonora, in nuovi mixaggi di Bruce Botnick. Da un punto di vista musicale, tale CD risulta forse un po' fine a sé stesso, perché la maggior parte delle performance contenute sono le stesse che si possono ascoltare su "Roxy & Elsewhere" e sul CD del 2014 "Roxy by Proxy", sebbene i mixaggi di questa nuova pubblicazione siano superiori. Tuttavia, l'intero packaging risulta sicuramente promosso a pieni voti ed è un acquisto essenziale per chiunque sia anche solo minimamente interessato a Frank Zappa.

Voto: 10 (Movie), 8 (Soundtrack)


200 Motels - The Suites (Universal Music Group International/Zappa Records 00824302001929)
Data di pubblicazione: 20 Novembre 2015

Nell'articolo per il ventennale dalla sua scomparsa, mi auguravo che Frank Zappa potesse presto venire considerato come un compositore vero e proprio e che la sua musica potesse, finalmente, venire eseguita liberamente da tutte quelle orchestre specializzate in repertorio moderno. Questa pubblicazione, l'unica postuma non di archivio, va proprio in quella direzione: si tratta della rappresentazione della Los Angeles Philharmonic Orchestra delle 200 Motels suite alla Walt Disney Concert Hall il 23 Ottobre 2013. Da un lato, il collezionista compulsivo potrebbe chiedersi se sia davvero necessario inserire pubblicazioni del genere nella discografia del Maestro. Dall'altro, un'uscita del genere centra esattamente il ruolo che Zappa dovrebbe avere nel mondo moderno e dà un'ulteriore aura di autenticità a questa immagine. L'esecuzione in sé è brillante e molto ben curata, tanto da poter essere considerata un po' fredda in alcune sezioni ("Strictly Genteel") e la componente umoristica, che nell'originale era per la maggior parte improvvisata e, di conseguenza, molto spontanea, è rappresentata in maniera fin troppo meccanica. Tuttavia, considerata l'attenzione che il compositore prestava in vita alle sue opere, non si tratta, necessariamente, di difetti e l'ascolto dei due CD è comunque decisamente godibile. Inoltre, questa rappresentazione ripristina anche alcuni momenti ("Can I Help You With This Dummy?", molte sezioni di "The Pleated Gazelle"...) esclusi sia dal film che dall'album originale per motivi di tempo. Non è un sostitutivo della versione incisa nel 1971, ma chi è veramente interessato al lato colto della musica orchestrale di Zappa può sicuramente considerare l'acquisto di questo doppio CD, sperando che faccia tendenza tra le varie orchestre più avventurose.

Voto: 8



Road Tapes, Venue #3 (Vaulternative Records VR 2016-1)
Data di pubblicazione: 27 Maggio 2016

Terzo volume dei "Road Tapes", contenente due concerti registrati a Minneapolis il 5 Giugno 1970. Filologicamente, si tratta di materiale di estremo interesse: è da questi nastri che Zappa tirò fuori il brano "The Nancy and Mary Music" contenuto su "Chunga's Revenge". Inoltre, si tratta di due tra i primi concerti dei "secondi" Mothers of Invention, contenenti i due cantati ex-Turtles Flo & Eddie. Tale formazione è nota per essere fin troppo contaminata da scenette comiche e battute volgari sulle groupies tanto che, alcuni fan, definiscono questo periodo in maniera dispregiativa come "the vaudeville years". In questa fase, tutto ciò non era ancora così marcato e si tratta, semplicemente, di un gruppo molto solido con due ottime voci soliste. Il rovescio della medaglia è che, a differenza dei primi due volumi, questo "Road Tape" ha una qualità audio che, effettivamente, potrebbe non essere del tutto digerita dai fan più esigenti: i problemi sono dovuti alla cattiva acustica del posto, ad una cattiva microfonazione delle voci e, per quanto riguarda la prima mezzora, all'uso di un nastro già precedentemente utilizzato, causando quindi disturbi audio di vario tipo. Tuttavia, i fan disposti a sopportare questi problemi, si troveranno di fronte comunque a delle ottime performance, soprattutto per quanto riguarda George Duke (tastiere) e Aynsley Dunbar (batteria). I brani da segnalare sono senza dubbio l'"Orange County" medley, "King Kong", "A Pound for A Brown", "Sleeping in a Jar", "The Return of the Hunchback Duke", una versione in fase di costruzione di "Chunga's Revenge" (qua ancora intitolata "The Clap") e "Justine", una divertentissima cover di un brano rock'n'roll di Don and Dewey del 1958.

Voto: 7,5


The Crux Of The Biscuit (Zappa Records/UMe ZR 20020)
Data di pubblicazione: 15 Luglio 2016

Finalmente, dopo sei anni di attesa, esce il quarto Project/Object che, come suggerisce il titolo stesso, rappresenta "Apostrophe (')", complessivamente il diciottesimo album di Zappa ed il primo ad avere un buon successo di vendita anche presso il pubblico mainstream. La prima parte del CD è costituita da un intero lato alternativo montato da Zappa nel 1973 durante la lavorazioni di "Apostrophe (')". Sebbene tre dei quattro pezzi presenti in questa costruzione siano in seguito stati inclusi nella versione ufficiale del disco, nessuno di loro è esattamente identico. I più interessanti sono "Uncle Remus" che, rispetto alla versione definitiva, presenta una strofa in più, un breve assolo di organo di George Duke e alcune splendide armonie vocali di Tina Turner e le Ikettes in seguito rese inaudibili su disco e la title-track, qua più lunga di ben quattro minuti rispetto alla versione ufficiale. Un'altra sezione di questa pubblicazione è dedicata alla costruzione di una composizione intitolata "Energy Frontier", nella quale è presente anche Jack Bruce. Si tratta di materiale degno di nota, se non altro, perché collega due composizioni di Zappa apparentemente slegate tra di loro: il tema è, infatti, semplicemente una early version di "Down in De Dew" e la sezione identificata come il bridge, in seguito, sarebbe diventata la title-track. In effetti, ascoltando attentamente le due composizioni, si notano diversi punti di incontro, apparentemente inaccessibili se non vengono fatti notare prima. Se da un lato, questa parte del disco è musicalmente un po' sconclusionata e incoerente, dall'altro, l'assolo di Frank nel "bridge" è brillante e andrebbe ascoltato almeno una volta. La versione dal vivo della "Yellow Snow" suite qua presentata, registrata a Sydney il 24 Giugno 1973 e antecedente alle session del disco, invece, è un momento che soddisferà sicuramente tutti. Compariamo questa versione estesa e senza tagli con la "Australian Yellow Snow" che compare su "One Shot Deal", registrata esattamente il giorno prima e rimontata da Zappa stesso. La versione "ufficiale" editata da Frank risponde di più ai requisiti che lui stesso pone in un'intervista presente su questo CD, nella quali definisce l'intera suite come qualcosa che si avvicina molto ad una "comedy routine" e, infatti, si concentra quasi interamente sulle parti vocali improvvisate e sulla storia demenziale narrata nel pezzo, togliendo quasi ogni frammento musicale complesso presente nell'originale. Per contrasto, la versione completa qui presentata, suona di più come una composizione completa e di ampio respiro: si ascolti, ad esempio, la sezione che comincia con "St. Alphonzo's Pancake Breakfast" nella quale l'elemento comico della suite passa un po' in secondo piano lasciando spazio ad alcune mirabolanti performance virtuosistiche che culminano in uno spettacolare e frenetico hard rock cantato dal fiatista Sal Marquez. Questa intera parte è stata eliminata in "Australian Yellow Snow", rendendo, quindi, il tutto molto più statico e difficilmente assimilabile da coloro che non trovano particolarmente buffe le disavventure del piccolo Eschimese Nanook alle prese con la tossica neve gialla. Il disco contiene anche alcuni frammenti di session sparsi che, sebbene siano rivolti soprattutto ai collezionisti più arditi, racchiudono comunque alcuni momenti di grande qualità. Si tratta di una pubblicazione di estremo interesse per coloro che amano l'album, dato che lo integra bene senza raschiare il fondo del barile. La qualità sonora è eccellente: i pezzi mixati nel 2014 da Craig Parker Adams sono stati realizzati con grande cura e il mastering generale lascia respirare molto bene la musica. Il difetto principale di questo CD è, ovviamente, la sorprendente e inspiegabile assenza di "Stinkfoot", il pezzo centrale di "Apostrophe (')", nonché quello che ha dato il titolo a questa raccolta. Per il resto: altamente consigliato!

Voto: 8,5


Frank Zappa For President (Zappa Records/UMe ZR 20021)
Data di pubblicazione: 15 Luglio 2016

Sicuramente, questa è una pubblicazione che mira a rendere chiaro una volta per tutte che Frank Zappa era un compositore e non una semplice rockstar. I brani per synclavier "Overture to Uncle Sam", "Amnerika", "Medieval Ensemble" e "If I Was President",  alcuni presentati qui per la prima volta, sono certamente degli esempi di musica seria e contemporanea che nessun altro a parte Zappa avrebbe potuto comporre e costruire. Il CD contiene anche un paio di pezzi dal tour del 1988, probabilmente inclusi per giustificare il tema politico di questa compilation: "When The Lie's So Big" e un arrangiamento sorprendentemente serio e non ironico di "America The Beautiful". Secondo chi scrive, però, la cosa migliore contenuta nell'intero CD è il remix di "Brown Shoes Don’t Make It", il primo vero capolavoro di Zappa, presente sul secondo album dei Mothers of Invention: "Absolutely Free" del 1967. Questo secondo mixaggio, risalente al 1969, è molto più nitido e dettagliato di quello ufficiale che, invece, soffre di un po' troppa compressione, probabilmente dovuta al fatto che il pezzo contiene un po' troppi elementi che, con le limitazioni tecnologiche degli anni '60, risultano letteralmente schiacciati nell'immagine sonora. Inoltre, l'intero pezzo sembra essere stato ricostruito in molti punti, generando quindi molte interessanti differenze. Una traccia eccellente che consola almeno parzialmente dall'assenza di un Project/Object di "Absolutely Free". "Frank Zappa for President" è diretto soprattutto a coloro che considerano Frank Zappa qualcosa di più di una semplice divinità del rock ma, comunque, anche coloro che si apprestano ad ascoltarlo, devono conoscere già abbastanza bene la sua musica. Inoltre, sebbene il materiale contenuto sia tutto di alto livello, ogni pezzo funziona meglio individualmente che nel suo contesto, rendendo l'ascolto generale un po' stancante.

Voto: 7,5




ZAPPAtite - Frank Zappa's Tastiest Tracks (Zappa Records/UMe ZR 20023)
Data di pubblicazione: 16 Settembre 2016

Semplicemente, una compilation contenente 18 selezioni per avvicinare possibili nuovi adepti al mondo di Frank Zappa. La scaletta, che non contiene nessun inedito, sembra basarsi principalmente su quella della compilation del 1995 "Strictly Commercial", ma offre più varietà, spaziando dalle composizioni più serie a quelle più scanzonate e di satira, mantenendosi comunque su un terreno facilmente digeribile ed assimilabile. Va fatto notare che, con l'eccezione di "Mothermania", attualmente, questo CD è l'unica compilation Zappiana in stampa. Chi scrive non è particolarmente amante di questo genere di operazioni: sarebbe molto meglio addentrarsi piano piano nella discografia e scoprirla cronologicamente. Tuttavia, per un artista così prolifico (persino da defunto), si potrebbe trattare di un'impresa quantomeno titanica, e la scaletta non è per niente male. Inutile, quindi, per il fan sfegatato, ma un buon regalo di natale per chi vuole conoscere il mondo di Frank Zappa.

Voto: N/A



Meat Light: The Uncle Meat Project/Object (Zappa Records/UMe ZR 20024)
Data di pubblicazione: 4 Novembre 2016

In preparazione da anni, questa è senza dubbio una delle pubblicazioni più attese dai fan: per molti, infatti, "Uncle Meat" è da molti considerato il capolavoro dei Mothers of Invention. Questa pubblicazione è suddivisa in tre parti. Il primo CD contiene la versione originale in LP dell'album; quando "Uncle Meat" è stato ripubblicato in digitale, Zappa modificò pesantemente il sonoro dell'album, riequalizzandolo, aggiungendo riverbero e remixando alcune parti e aggiunse ben 40 minuti di spezzoni di dialoghi dal film e la canzone "Tengo Na Minchia Tanta", risalente al 1982 e non in linea con il resto del disco. Queste bonus track non piacquero per niente ai fan, che, in segno di scherno, presto coniarono il termine "penalty tracks". La seconda sezione del progetto, contiene una prima versione del'album, montata nel 1968. Molte delle sezioni del disco nella sua versione finale, sono qua sparpagliate in varie tracce, mantenendo comunque una logica. Per questo motivo, si tratta di una costruzione di estremo interesse che, comunque, oltre ad offrire qualche mixaggio alternativo, include anche alcuni interessanti frammenti dal vivo ("Whiskey Wah""The Whip") che in seguito verranno esclusi dalla versione definitiva. Infine, le ultime 20 tracce consistono in una serie di outtakes varie trovatie nella Vault, tra cui mixaggi diversi, versioni in pre-produzione di alcuni pezzi, field recordings, qualche composizione inedita e varie versioni alternative. Si tratta, probabilmente, della parte più affascinante dei tre CD e, tra le cose da segnalare, abbiamo "Exercise 4 Variant", contenente temi in seguito sparsi per l’intero album (tra cui il "Main Title Theme"), un mixaggio di "Mr. Green Genes" con alcuni bellissimi fraseggi di chitarra solista completamente eliminati nella versione finale e le varie composizioni inedite ("1/4 Tone Unit", "Tango", "Sakuji’s March", "Number 4"). Inoltre, per la prima volta dal 1969, viene finalmente ristampata la versione strumentale del 45 giri di "Dog Breath", nella quale il tema viene eseguito dal sassofono e dalla chitarra. Pur non essendo terribilmente dettagliato, il libretto offre comunque molti elementi di prestigio, tra cui una serie di foto inedite, citazioni sul metodo lavorativo di Zappa e alcune interessanti, ma non molto lunghe, note del polistrumentista Ian Underwood. In definitiva, “Meat Light” è una delle migliori pubblicazioni di archivio di Frank Zappa e, chi ama “Uncle Meat”, sicuramente verrà stregato da questo documentario audio.

Voto: 10



Chicago '78 (Zappa Records/UMe ZR 20025)
Data di pubblicazione: 4 Novembre 2016

Album che racchiude la seconda delle due esibizioni del 29 Settembre 1978 all'Uptown Theatre di Chicago. Oltre a Zappa, la formazione era costituita da Ike Willis (chitarra e voce solista), Denny Walley (chitarra slide, voce), Tommy Mars e Peter Wolf (tastiere), Ed Mann (percussioni), Arthur Barrow (basso) e Vinnie Colaiuta (batteria). Come per la maggior parte delle pubblicazioni Vaulternative, è un concerto che precedentemente non era disponibile ai fan nemmeno tra i circuiti non ufficiali. Si tratta di una performance molto energica che vede uno Zappa particolarmente ispirato alla chitarra e che, per giunta, ha una scaletta piena di rarità, tra cui "21", esercizio ritmico rielaborato l’anno successivo all'interno della versione in studio di "Keep it Greasey" su "Joe’s Garage", "Sy Borg", eseguita pochissimo dal vivo e un bellissimo momento improvvisativo intitolato "Paroxysmal Splendor", nel quale compaiono degli embrioni di "I’m A Beautiful Guy" e "Crew Slut". L’album comprende anche eccellenti versioni di "Yo Mama", "Village of The Sun", "Little House I Used To Live In", "Bamboozled by Love", l’intera "Yellow Snow Suite" e "Black Napkins". Il concerto è presentato in maniera completa, senza alcun tipo di taglio e, a parte alcune brevissimi momenti presi da una cassetta attaccata al mixer, la qualità audio è davvero eccellente, merito anche dell’azzeccato mixaggio ad opera di Craig Parker Adams. Volendo, l'unica critica che possiamo fare a doppio CD è l'inclusione di alcuni pezzi che abbiamo già sentito troppe volte ("Dancin' Fool", "Honey, Don't You Want A Man Like Me?", "Keep it Greasy"), in versioni che nulla aggiungono a tutte le altre. Tuttavia, sarebbe stato scorretto e decisamente non filologico rimuoverli! 

Voto: 8



Little Dots (Zappa Records/UMe ZR 20026)
Data di pubblicazione: 4 Novembre 2016

A distanza di dieci anni, finalmente viene pubblicato il promesso sequel di "Imaginary Diseases", un progetto dedicato al periodo del Petit Wazoo del 1972. La title-track di questo CD era, fino ad ora, l’unica composizione non improvvisata eseguita in quel periodo ad essere rimasta totalmente inedita e, sebbene il suo tema iniziale del pezzo sembri assemblato in maniera casuale e spontanea, la cosa viene smentita dal fatto che venga ripetuto esattamente uguale alla fine del pezzo, e suona molto come qualcosa che non stonerebbe in un repertorio free jazz. La parte centrale della composizione è costituita da jam molto più facilmente assimilabili: in questa versione, tra le varie cose, possiamo gustare un ottimo duetto tra Jim Gordon (batteria) e Dave Parlato (basso) e due eccellenti assolo di Zappa e Tony Duran (slide guitar). Un altro brano significativo di questo tour è "Rollo", le cui varie sezioni verranno in seguito rimaneggiate all'interno di "St. Alphonzo’s Pancake Breakfast" e, esclusivamente dal vivo, come ultimo movimento della "Yellow Snow Suite", con un nuovo arrangiamento cantato. Nel 1972, la composizione cominciava con una sezione cantata mai più ripresa in futuro, per poi proseguire in una versione strumentale dei temi che abbiamo appena citato. In questa esecuzione, il ruolo da leone è senza dubbio di Tony Duran, autore di un ottimo assolo. Una versione di questo pezzo era già stata pubblicata su "Imaginary Diseases" ma, in quel caso, solo la sezione finale era stata utilizzata; questo CD, invece, contiene la versione integrale. Un discorso a parte merita l'ultimo brano, "Columbia, S. C.". Il concerto a Columbia del 5 Novembre 1972 fu uno dei rari momenti in cui Zappa perse il controllo della situazione: qualche minuto prima dell'inizio, il trombettista Gary Barone e il batterista Jim Gordon vennero arrestati per possesso di droga. Invece di annullare l’esibizione, Zappa, con grande spirito di iniziativa, propose a Maury Baker, il batterista dell’artista di supporto (Tim Buckley), di suonare con lui quella sera. La selezione qua contenuta è tratta dal finale di tale concerto e, nonostante le premesse, è di sicuro una delle improvvisazioni più godibili del tour: la prima sezione è molto avanguardistica, quasi un richiamo ai Mothers of Invention degli anni '60, mentre la seconda è molto più melodica e maestosa, con ottime prove chitarristiche di Zappa Duran. Il sostituto Baker, che comunque era già un professionista, se la cava in maniera egregia, offrendo un playing di supporto con molto calore e gusto. Come il suo predecessore "Imaginary Diseases", "Little Dots" è un prodotto che, all'interno del canone Zappiano, risulta forse meno avventuroso e originale del solito ma che, in sé, è perfettamente apprezzabile e certamente di alto interesse per lo studioso. Inoltre, a differenza della maggioranza dei bootleg disponibili di questo periodo, la qualità audio, è straordinaria: non dimentichiamoci che è materiale assemblato, mixato e preparato da Zappa stesso.

Voto: 8,5


A queste uscite, vanno aggiunte le nuove edizioni in vinile di "Cruising with Ruben & The Jets", "Joe's Garage", "Lumpy Gravy", "Weasels Ripped My Flesh" e "We're Only In It For The Money", prese rigorosamente dai master originali analogici e presentate con particolare cura sia nel suono, sia nel packaging. Speriamo in un 2017 altrettanto prolifico, per la gioia delle nostre orecchie e la disperazione dei nostri portafogli!




Potete comprare gli album al BARFKO-SWILL SHOP!



Parte di questo speciale è stato riadattato da alcuni articoli che ho scritto per "Rock by Wild" e "Il Secolo XIX":




venerdì 2 dicembre 2016

Ivan Romano - L'Inventore Saltuario (Arie, 2016)

Approcciare "L'inventore Saltuario" di Ivan Romano non è stato semplice. Un disco colorato, istrionico nella sua propensione al folk, teatrale senza risultare attoriale o artificioso, ma in un equilibrio precario nei toni. Si, perché il cantautore campano sbilancia un po' i toni a favore di narrazioni geografiche, contestuali o di viaggio, come in "Irpinia" e in "Salento", i brani più mediterranei ma anche i più scontati, nonostante la profondità nel riferirsi a terre che sembrano essere parte dell'anima. Tra i suoi riferimenti più evidenti, forse pronosticabili ancor prima di approfondire, si percepisce appena Francesco De Gregori ("Ma è Difficile Farlo", "Vento di Primavera") ma nonostante il carattere forte e deciso di Romano, la sua presenza artistica impetuosa che monopolizza ecletticamente la scena, in un'analisi critica come quella che stiamo facendo non possiamo che spostare l'attenzione verso la musica. In questo lavoro infatti rinveniamo di tutto: blues, musica sudamericana, musica d'autore anni cinquanta, settanta e novanta, jazz e ancora jazz. In ogni cambio di registro gli strumentisti rivelano grandi dinamiche, capacità tecniche notevoli e in grado di liberare il frontman dall'impaccio anche in quei momenti dove la sua voce, per così dire, imbizzarrisce.

Per dare un giudizio definitivo a questa opera, ritorniamo al suo titolo. Chi è un inventore saltuario? E' un lavoratore instabile, malsicuro, in una condizione vacillante, un po' come lo sono tutti i creatori ovvero gli artisti, e in questo periodo un po' tutti gli italiani. Solo collocandolo nel quadro ben preciso della nostra attualità, trova un significato e un'ubicazione socialmente rilevante diventando non solo un disco ma anche una rappresentazione di un mondo.  

domenica 20 novembre 2016

Dedo - Cuore Elettroacustico (Believe, 2016)

Il "Cuore Elettroacustico" di Massimo Dedo è un muscolo cardiaco variopinto, multiforme. Dalle variegate esperienze in tour e in studio con moltissimi nomi tra i più noti della nostra scena (ne citiamo alcuni, Elio e Le Storie Tese, Nomadi, Niccolò Fabi, Arisa) deriva l'eterogeneità, forse risultato delle troppe influenze di cui giocoforza il suo percorso musicale è imbevuto, mentre la precisione chirurgica nel suonare e comporre è senz'altro diretta conseguenza del suo passato da orchestrale, tra gli altri con il maestro Riccardo Muti e al Festival di Sanremo.
Prima di tutto, Dedo - così lo dobbiamo chiamare - è un trombonista, e risulta strano, ma non troppo, che questo strumento non sia l'elemento essenziale del disco. In "Piango alla TV", Faso ruba la scena all'autore principale di questo lavoro, ma uno dei momenti più incisivi di questo album è "Il Ballo del Maiale Ingrifato", conclusione ironica, dalla costruzione tortuosa ma saggia, in definitiva un viaggio strumentale che ha molto da dire. 
Il funk e lo ska, sparsi senza pretese lungo tutto il disco, ci donano le porzioni più divertenti e simpatiche, con una virata surf sferzante e malinconica solo in "Inverno Maledetto", eccellente dimostrazione di caparbietà autoriale. Max Gazzè in "Taggami il Nervo dell'Amore" disperde energie positive con il suo basso e la sua voce, duettando con Dedo in un episodio - di questi tempi immancabile - di satira moderna, con obiettivo i social network e l'uso che se ne fa. 

Non è un disco di cui viene naturale discutere a lungo. Scivola liscio, tra una risata e una lacrima, appena scolorito da una produzione freddina, modernizzata in maniera imprecisa con il risultato opposto. In ogni caso, non si può parlare di un lavoro anonimo, grazie alla presente e pregnante personalità di Dedo, che riesce a lasciare il segno e dare un'immagine sempre più completa del suo essere artista.  

domenica 6 novembre 2016

Pier Mazzoleni - Gente di Terra (autoproduzione, 2016)

Se ci dessimo l'obiettivo di individuare una lista dei mali emblematici del popolo italiano, anche lasciandoci alle spalle gli stereotipi e i pregiudizi da bar, non potremo mai trascurare e misconoscere l'assenza di un'identità comune. La patria esiste solo nominalmente, mentre è indiscutibile la presenza pervasiva di un campanilismo profondo e radicato che sovente sfocia in una sorta di "razzismo interno", tra nord e sud, tra regioni, province, comuni, infine tra quartieri della stessa cittadina. "Gente di Terra" discorre anche di questo, e il cantautore bergamasco Pier Mazzoleni, giunto al suo quarto sforzo discografico, utilizza un italiano accurato, forbito e riverente verso la medesima madrepatria cui molti - troppi - italiani rivolgono un debole o addirittura striminzito spirito di appartenenza. 
Entrando nel merito, l'album è più forte liricamente che musicalmente, e laddove è considerevole l'influenza dei cantautori italiani, lo è invece meno la devozione ad un universo, a un genere ben determinato. Si passa da arabeschi in bilico tra flamenco e farruca ("Dolce Maddalena") al violino Irish su folk toscano (la Bandabardò ha un influsso sicuramente consistente per "Il Terrorista Jo"), senza disdegnare capatine nel pop beatlesiano più etnico, nel jazz in salsa ragtime e infine nei tipici quattro accordi della canzone d'autore nostrana.  Di difficile comprensione la scelta di includere segmenti cantati in altre lingue, come il portoghese della pre-conclusiva "Cambiamento", ma i riferimenti geografici e culturali di questo lavoro sono talmente abbondanti ed eccentrici che tutto viene assorbito come simbolismo, scelta stilistica prodigiosa, frutto di un'erudizione ineccepibile. 

In linea di massima, non è indelicato asserire che di dischi come "Gente di Terra" ne abbiamo sentiti parecchi negli ultimi decenni. Mazzoleni però, contaminato da un terreno musicalmente iper-fertile come la bergamasca, colpisce per l'essere personificazione dell'artista a trecentosessanta gradi, teso a guadagnare la massima ampiezza del ventaglio delle scelte artistiche senza mai uscire da un'identità ben definita e tratteggiata con mano ferma. Lo aspettiamo alla quinta prova con enorme curiosità. 

domenica 23 ottobre 2016

Lisa Giorè - Le Vie dell'Insonnia (Volume Records/Boxtune, 2016)

Volume Records si presenta come una società di servizi, un'etichetta moderna che guarda al futuro, e lo fa - per il disco di Lisa Giorè e molti altri artisti - in simbiosi con la startup italiana di recente creazione, Boxtune. "Le Vie dell'Insonnia" della giovane cantante senese (e bassista "per ripiego", dice lei) prende più importanza anche analizzando il suo contesto promozionale, poiché si tratta di un lavoro di stampo tradizionale e per certi versi rischioso, e di questi tempi molta parte del successo di un disco lo decide come viene lanciato e da chi viene sostenuto.
Entrando nel merito, si tratta di canzone d'autore all'italiana, condita solamente da qualche pizzico di modernità sotto forma di striature elettroniche appena accennate, e trae la sua forza sicuramente da elementi altri rispetto alla musica strettamente intesa. Nonostante i validi musicisti e i tratti folk, swing, jazz, con vere e proprie divagazioni a cavallo tra Bob Dylan e Duke Ellington, stupiscono più le parole delle note, con testi scritti in maniera eccezionale, con una capacità comunicativa, una profondità e al contempo una leggerezza di rare fattezze. In alcuni momenti più eterei può ricordare certi lavori della prima Carmen Consoli, La penna di Lisa svolge in continuazione la tensione come un gomitolo, ricomponendola poi in un'atmosfera trasognante e in sospensione (i due concetti, agli antipodi, sono sintetizzati alla perfezione dal primo e dall'ultimo brano, "Lo Stato Attuale delle Cose" e la ballad psichedelica "L'Effetto del Vento"). Colpisce con foga il testo di "Parlo Di Te", dove le persone diventano "attori tremendi", mentre manca parzialmente di mordente rispetto al tema trattato la cantilena "Aria di Tempesta".

Raccogliamo e diamo un ordine sistematico a quanto detto. Liricamente, Lisa Giorè vince a mani basse sul resto delle componenti del disco. Musicalmente, non spicca nessuno ma gli arrangiamenti brillano comunque di luce propria, seppur mai troppo abbagliante. Nessuno dei dieci brani risulta più debole di altri, in un equilibrio complessivo che non può che impreziosire il prodotto. 
Servirà tempo per racimolare ulteriori energie e fare l'opera "definitiva", ma la cantante toscana ha di sicuro, alla prima mano, delle ottime carte. 

domenica 16 ottobre 2016

Niggaradio - FolkBluesTechno'n'roll...e Altre Musiche Primitive per Domani (Dcave Records, 2016)

E' piuttosto inconsueto, seppur non inedito, che la titolatura di una pubblicazione discografica manifesti così pienamente il contenuto e le intenzioni della medesima. Oltre alle pure e semplici denominazioni di genere, che richiamano l'oggetto della materia trattata (folk, blues e rock'n'roll principalmente, mentre per la techno occorrerebbe rimpiazzare il termine con drum'n'bass e ambient, un connubio più adeguato a ciò che abbiamo sentito nel disco), è tanto interessante quanto spiazzante la dicitura successiva: "Altre Musiche Primitive per Domani", ovvero ciò che contemporaneamente notiamo essere una confessione delle fonti e un auspicio per il proprio futuro. Le ibridazioni sono di fatto l'avvenire della musica contemporanea, e i siciliani Niggaradio prendono da questa lezione la linfa vitale per un processo di sintesi realizzato con precisione chimica e moltissimo gusto. "FolkBluesTechno'n'roll...e Altre Musiche Primitive per Domani", pubblicato da DCave Records (al lavoro, tra gli altri, con i Campo Avvelenato e i Saint Lips) snocciola coraggiosamente undici brani, quasi completamente dominati dal dialetto siciliano, perfettamente incastonato anche negli episodi più ritmici sebbene metricamente molto ostico da padroneggiare anche per un nativo. Blues e folk come nei ritmi più hip-hop di Moby e del primo Tricky, accessi d'ira viscerale che possono richiamare i beat degli Assalti Frontali, il tutto riconfezionato in una salsa elettronica moderna ed esterofila. A ricondurre alle proprie origini un disco dalla forte vocazione globale, oltre che la scelta linguistica, intervengono le collaborazioni (Cesare Basile, gonfaloniere di una tradizione folk catanese ormai divenuta di tutta l'Italia) e i temi trattati, politici come nei 99 Posse e nei Sud Sound System più impegnati, ma anche più giocosi e a sfondo ironico-caricaturale, à la Caparezza per intenderci, appannaggio sempre più sovente e ragionevolmente di artisti di origine meridionale. 
Quello che può, a tratti, far storcere il naso è la compresenza forzata di troppi elementi, sferzate acide e gigantesche costruzioni melodiche, cantati orecchiabili resi pesanti dalle strutture dei brani, in un'operazione che senz'altro si può ascrivere anche ad una consapevolezza nel songwriting maturata da anni di esperienza, perdendo in realtà un po' di vista l'ascoltatore medio. Tuttavia, il vero artista comunica ciò che sente, e non ciò che altri vogliono sentire. I Niggaradio, arricchiti da quel terreno culturalmente fertile che è sempre stata la zona circumetnea, svolgono la loro funzione di catalizzatori di arte e di personali rielaboratori di musiche antidiluviane "per domani", senza cedere a tentazioni radiofoniche. 

lunedì 10 ottobre 2016

Elefanti - Noi Siamo Elefanti (Autoproduzione, 2016)

Francesco Arciprete e Matteo Belloli (pseudonimi "Shamble" e "Teo") debuttano con questo "Noi Siamo Elefanti" sulla scena nazionale la loro visione del rock italiano, filtrata da quel particolare microcosmo musicale che è sempre stata la provincia bergamasca, prolifica e feconda come poche altre zone del Nord Italia. 
Il power duo Elefanti sembra non temere paragoni e confronti, tanto che i vari numi tutelari vengono posizionati sullo scacchiere composto dai sette brani senza celare nulla, rendendo inutile ripeterli in questa recensione. La cifra stilistica degli Elefanti appare subito la distorsione artificiale applicata alla voce, non proprio robotica ma sicuramente metallica. Un espediente che proviene dagli schemi tipici del garage rock, di fatto, né originale né essenziale alla musica proposta, per quanto non risulti noioso nel ripetersi degli ascolti, sinonimo questo di una funzionalità rispetto ai brani che va rilevata fuori dal recinto dei gusti personali. Coerentemente a ciò, i suoni sono tutti sparatissimi, in un corto circuito di veemenza quasi viscerale che in un certo senso investe come un pachiderma in piena corsa. Questa ultima frase può portare fuori strada il lettore, perché è anche vero che si tratta di power pop, con più di qualche soluzione melodica che svela un'innaturale ricerca dell'orecchiabilità. "Un Po' Conta (Se Vuoi)", dal titolo ammiccante ai comprovinciali Verdena, è in realtà un twist che assieme a "Me Lo Dici Sempre" rappresenta il cuore rock'n'roll del disco nella sua espressione più alta e positiva. 
In generale, le sette tracce tratteggiano un esordio più che dignitoso, che necessiterebbe solo di maggiore maturità. Per capirci, meno soluzioni post-adolescenziali e più elaborazione strutturale. Ma in Italia, bisogna dirlo, siamo abituati a vederci propinare i migliori lavori dopo il primo quindi osserveremo con attenzione la parabola - sicuramente crescente - di questi due ragazzi. 

venerdì 7 ottobre 2016

Custodie Cautelari - Notte delle Chitarre (ed altri incidenti) (Aereostella, 2016)

Ettore Diliberto ha cominciato montando i palchi per Edoardo Bennato, lavorato nel mondo del cabaret e iniziato a imporsi come nome fondamentale della scena musicale già negli anni '80. Negli anni ha collaborato, sul palco e in studio, con nomi di ogni genere e calibro, e citiamo tra i più popolari Elio e Le Storie Tese (su disco nella celeberrima "Tapparella"), Eugenio Finardi, Gianluca Grignani, Max Gazzé e Franco Battiato, ma è una sintesi ingenerosa rispetto alla lunghezza del reale elenco che andrebbe fatto. Da vent'anni cavalca l'onda di un discreto successo con la sua band, le Custodie Cautelari, che hanno fatto della collaborazione attiva con molti dei personaggi chiave del nostro panorama artistico una cifra stilistica. Per "Notte Delle Chitarre (e altri incidenti)" le personalità toccano principalmente la scena rock italiana, ma anche quella del cantautorato e del progressive (per l'elenco completo vedere la copertina). 

Cesareo degli EELST svolge un prezioso lavoro ritmico insieme al validissimo Alex Polifrone alle pelli per un pezzo d'apertura al fulmicotone, "Tic Tac (la vita che passa), dove la magnifica voce di Clara Moroni - nota ai più per i tour con Vasco Rossi - si sposa perfettamente con quella di Diliberto. In "Parte della Musica" le atmosfere ricordano un po' il Lucio Dalla degli anni '80, e l'ospitata ripesca proprio da quel periodo, con Marco Ferradini che nonostante il suo timbro riconoscibile e un brano cucito su misura per lui non contribuisce al punto dal renderlo il pezzo più memorabile. Discorso ben diverso invece per il momento più rock del disco, "Aria", con un ritmo incalzante e snervante che con altri suoni potremmo accostare al metal, e un entusiasmante lavoro di riff di Stef Burns, che riescono a dare ulteriore colore ad una canzone già di per sé eccezionale grazie alla grinta del frontman. "Chiudi gli Occhi e Senti" sembra un omaggio al rock più moderno. Riecheggiano qui chitarre à la Edge, i cambi energici dei primi Muse e una costruzione del pezzo molto R.E.M., pur senza fare risultare in alcun modo derivativo il tutto. E' strano ma gradevole l'apporto di Alberto Radius nel frangente più melodico e radiofonico del disco, "Se Poi Dio C'è", forte di momenti soul e gospel che regalano al disco l'ennesima impennata qualitativa a fronte di una moltitudine di generi per cui Ettore Diliberto ha rischiato di pagare il caro scotto dell'eterogeneità. 

Questo lavoro delle Custodie Cautelari trova la sua forza nell'estrema professionalità degli innumerevoli pezzi da novanta che ne sono complici, unica garanzia per evitare che si trasformasse in una sfilata di celebrità e veterani senza capo né coda. E' invece la sintesi perfetta di quarant'anni di musica italiana, con passaggi di straordinaria qualità, nuotate nel mare calmo dell'orecchiabilità ma anche scelte di fatto molto particolari di chi evidentemente ama il rischio di sbagliare ma sa di poterlo affrontare a testa alta. 

mercoledì 5 ottobre 2016

Geddo - Alieni (Autoproduzione, 2016)

Sarà l'aria di mare, la particolare conformazione di un territorio chiacchierato ma in parte isolato, o più banalmente la storia culturale ed artistica della regione, ma l'area ligure dimostra da sempre, anche quando si slancia verso ovest abbandonando il suo capoluogo, una tradizione di musica d'autore che innerva anche chi è orientato ad altri generi musicali. Da Albenga, provincia di Savona, Davide Geddo porta a casa un risultato più che dignitoso tendendo l'ennesimo filo tra Duluth e Roma - dunque tra Bob Dylan e Francesco de Gregori - senza risultare ripetitivo né un clone dell'autore de "La Leva Calcistica del '68". Lo fa con sporadiche incursioni nel folk vero e proprio, ma rimanendo legato ad un suo linguaggio, imparagonabile ad altri nomi, che come già visto nei due precedenti lavori pesca da stili distanti ma consonanti ispirazioni che possano rendere il tutto originale: country (quasi western), blues, jazz, classic rock, synth-pop anni '90 e l'elenco potrebbe continuare per almeno qualche paragrafo. Cosa rende il tutto omogeneo e quindi coeso, compatto, ben amalgamato? La voce di Davide, i testi, la scelta di scrivere in una lingua semplice e d'impatto, ma senza ricercare citazioni politiche banalotte e i classici tuffi nella storia che tanti cantautori italiani ci hanno cacciato in gola facendoci sognare ma poi stancare (De André, Guccini, ecc.). Il contenuto lirico è infatti moderno, e ciò traduce un'opera musicalmente non così contemporanea (che dire dei flauti à la Ian Anderson di "Lampi di Settembre"?) in un organismo sintetico e che vive di luce propria, trovando un equilibrio difficile che chiaramente può non piacere a tutti. Lontano dunque dall'essere pop da classifica, forzato e spietato verso le orecchie dell'ascoltatore disabituato all'analisi musicale e a contesti armonici più elaborati. Si concede anche leggeri virtuosismi, senza eccessi, parlando di social network e dell'influsso negativo che stanno avendo su questa società sempre più neghittosa ("Non Dirmelo"), e momenti di tiepida quanto pungente ironia. 

Un lavoro ben ponderato, che non scade mai nel triviale e nemmeno nel pomposo. Il giusto metro di misura che mancava nella scena cantautorale italiana degli ultimi anni. 

venerdì 26 agosto 2016

Into Deep #13 - Disgusting, depraved, despicable: "Flowers in the Rain" dei The Move

The Move (1966)
Bev Bevan (batteria), Roy Wood (chitarra, voce), Trevor Burton (chitarra), Ace Kefford (basso) e Carl Wayne (voce).

Sebbene in madrepatria siano considerati uno dei gruppi più importanti del Regno Unito degli anni '60, il nome dei The Move in Italia è conosciuto dai più solo come quello degli autori di quella "Blackberry Way" reinterpretata dall'Equipe 84 come "Tutta mia è la città", con nuovo testo di Mogol. Capeggiati dal carismatico polistrumentista Roy Wood, i Move offrivano un certo tipo di pop rock sofisticato e duro, con degli arrangiamenti complessi e raffinati che spesso si scontravano violentemente con testi ironici e sarcastici. Sotto molti punti vista, possono anche essere considerati dei punk ante litteram: se all'epoca i Rolling Stones venivano considerati come dei ragazzacci, i Move sicuramente andavano ben oltre. Ispirandosi alla distruzione di chitarre degli The Who sul palco, il complesso cercava di portarsi ad un livello superiore, spaccando effigi di vari capi di stato e terminando frequentemente i loro concerti con risse. Memorabile la loro prima apparizione televisiva del 1966, nella quale il complesso risponde alle domande della disperata intervistatrice con dei veri e propri non sequitur, accompagnati da facce buffe, balletti improvvisati e canzoncine, per poi finire il tutto con la distruzione di set televisivi.

I Move, però, sono ricordati anche per essere stati il primissimo gruppo rock ad essere trasmesso dalla BBC1, precisamente il loro singolo "Flowers in the Rain", il 30 Settembre 1967. Questo singolo è proprio l'argomento di cui parleremo in questo editoriale; sembra impossibile ma questa orecchiabile e decisamente innocua canzoncina beat è stata causa di una delle più grandi controversie della storia del rock, così forte da tirare in ballo servizi segreti, corti giudiziarie e pure il capo di stato Inglese!

Partiamo dal principio. Dopo aver pubblicato un primo 45 giri nel Gennaio 1967 ("Night of Fear"/"Disturbance"), salito immediatamente al secondo posto nella classifica Inglese, i Move si recano agli Advision Sound Studios di Londra, prodotti da Denny Cordell, per incidere un primo LP e, possibilmente, qualche singolo da mandare in pasto al pubblico. La scelta cade su un pezzo scritto da Roy Wood, come del resto la maggior parte dei loro originali: l'allegra e scanzonata "Flowers in the Rain". Inizialmente, però, il brano non convince Cordell, che sembra ritenerlo senza mordente, tanto che al termine della session decide di accantonarlo. Entra qua in ballo l'assistente di produzione Tony Visconti (in seguito lo storico produttore di David Bowie) che, ben conscio della qualità della composizione e del suo potenziale commerciale, capisce immediatamente cosa ci vorrebbe per ravvivarlo: una bella sezione di fiati e ottoni. Cordell non è ancora del tutto convinto ma a Visconti la canzone piace così tanto da essere disposto a fare il lavoro anche gratuitamente, e si decide, quindi, di fare un tentativo. Il risultato è decisamente bello e canticchiabile, anche per via della diversità delle voci di Carl Wayne e Wood che creano un buon contrasto, e soddisfa tutti ma, per qualche motivo, la EMI decide di annunciare un altro pezzo del gruppo, "(Here We Go Round) The Lemon Tree", come singolo, relegando "Flowers in the Rain" sul lato B. All'ultimo momento, però, Tony Secunda, il manager del complesso, riesce a convincere la casa discografica che "Flowers in the Rain" è una scelta migliore e più commerciale, riuscendo così a far invertire i due lati. 

Roy Wood (1967)
Il 25 Agosto 1967, il 45 giri di "Flowers in the Rain" viene finalmente messo in commercio sotto la Regal Zonophone, una filiale della EMI. Il singolo riceve recensioni contrastanti ma arriva subito al 19esimo posto, per poi salire immediatamente al secondo e rimanere lì per tre mesi consecutivi. La popolarità dei Move fa un balzo enorme, permettendogli di esibirsi alla rinomata trasmissione Top of the Pops e di fare un tour in giro per il paese con molte date che finiscono per andare in sold out. Se aggiungiamo che, come già menzionato in precedenza, il singolo ha avuto l'onore di essere stato la prima canzone rock ad essere trasmessa dal primo canale delle BBC, tutta questa storia dovrebbe essere fonte di gioia per il gruppo, nonché una sorta di traguardo e di apripista per un futuro in discesa, giusto?

Sbagliato, perché, purtroppo, qualcuno ebbe un'idea tutt'altro che geniale. Per aiutare la promozione del singolo e giocare un po' sulla natura controversa del gruppo, Secunda decide di organizzare uno stunt pubblicitario molto particolare: una cartolina illustrata che ritrae l'allora primo ministro Harold Wilson completamente nudo seduto accanto alla sua segretaria Marcia Williams. L'illustrazione, che bolla Wilson come "disgustoso", "depravato" e "spregevole", faceva riferimento ad uno scandalo avvenuto qualche anno prima, secondo il quale il Primo Ministro avesse una relazione extraconiugale con la sua segretaria; da parte sua, Wilson si giustificò definendo tali dicerie con gli aggettivi a lui diretti in questa cartolina. Si trattava, comunque, di un bersaglio abbastanza facile: Harold Wilson non era, infatti, molto amato dalle nuove generazioni, dato che aveva tentato di chiudere le cosiddette "radio pirata" che trasmettevano intorno a Londra e che impedivano alla BBC il monopolio assoluto, dando allo stesso tempo nuovo spazio ai gruppi che i giovani volevano ascoltare. Il fatto che pochi mesi prima ci fosse stato un evento di beneficenza "Free The Pirates",  durante il quale i Move avevano partecipato distruggendo un effige di Wilson a colpi di ascia era come il cacio sui maccheroni. Piccolo particolare: Secunda decide di non prendersi minimamente la briga di informare i musicisti che, nel frattempo, stanno suonando in giro per l'Inghilterra.

Harold Wilson
Le cartoline vengono stampate in fretta e furia e distribuite ai fan, alla stampa e ai media. Dopo qualche giorno, ovviamente, succede l'inevitabile: una di queste finisce tra le mani del Primo Ministro che, come prevedibile, non la prende molto in ridere. Il giorno dopo, Wilson si reca in tribunale e riesce a bloccare la distribuzione di suddetta pubblicità. In tutto questo, i Move sono ancora ignari di quello che è successo e, tornando dal tour, si meravigliano non poco di essere accolti da uno stuolo di reporter e giornalisti. Scoperta velocemente la verità, si confrontano con il loro manager che, però, li rassicura e dice loro che andrà tutto bene se lasciano che sia lui a parlare con la stampa. Il giorno dopo, i Move sono sulla prima pagina di tutti i quotidiani Inglesi: un traguardo che, sicuramente, avrebbero preferito raggiungere in un altro modo. "C'era pericolo che punissero noi per educare tutti gli altri" raccontò il batterista Bev Bevan qualche anno più tardi "avevano chiuso le radio pirata e ne stavano soffrendo le conseguenze: adesso, invece, avevano modo di riscattarsi con l'opinione pubblica". Il 6 Settembre 1967 il gruppo viene convocato alla Gran Corte di Giustizia di Londra, venendo accolto ancora una volta da vari reporter. I cinque, accompagnati da Secunda, si presentano con vestiti eccentrici e parlano ai giornalisti usando il tono spavaldo delle loro personalità da palcoscenico. "Non abbiamo fede nella politica" spiega il cantante Carl Wayne ad uno dei cronisti che lo intervista di fronte al tribunale "se fosse per noi, voteremmo per gente come Frank Zappa o Jimi Hendrix". In realtà, questa messinscena era solo un modo per non perdere la faccia coi loro fan e i Move si rendono ben conto della potenziale gravità di tutta la faccenda. Per il momento, l'ordine di non distribuire il contenuto della cartolina viene confermato ma, qualche giorno più tardi, sicuramente allo scopo di intimidire questi cinque giovanotti arroganti, i Move e il loro manager cominciano a ricevere visite frequenti e pedinamenti da parte di alcuni uomini in nero che, più avanti, si scoprirà fare parte del MI5, l'ente per la sicurezza e il controspionaggio del Regno Unito. A questo punto, band e manager si arrendono e concordano in una risoluzione extragiudiziale della controversia. L'11 Ottobre 1967 le due parti trovano un accordo: il Primo Ministro Wilson ritirerà la denuncia ma, in cambio, i Move doneranno tutte le royalties di "Flowers in the Rain" a delle associazioni benefiche di scelta di quest'ultimo, tra cui la Spastics Society e lo Stoke Mandeville Hospital, entrambe dedicate alla cura di pazienti affetti da paraplegia. In una dichiarazione pubblica di Quentin Hogg, il legale del Primo Ministro, tra le varie cose, si legge che normalmente, Wilson "non avrebbe necessariamente preso le stesse misure in altre occasioni simili" e che il politico "non ha mai avuto intenzione di agire con fare crudele o vendicativo" ma che aveva scelto di ricorrere per vie legali a causa della distribuzione in grande massa della cartolina. In quel momento, il singolo contava qualcosa come 250.000 copie vendute.

Move(LP del 1968)
Il 3 Novembre 1967, la EMI decide di cancellare il singolo successivo del gruppo; "Cherry Blossom Clinic", sicuramente uno dei pezzi più apprezzabili dell'intera discografia, il cui testo, però, racconta la storia di un malato mentale rinchiuso in un manicomio. Le parole in sé non hanno nulla di offensivo ma sono incredibilmente cupe e, essendo sovrapposte ad una base orecchiabile e allegra, si ha il timore che possano generare altra pubblicità negativa. In realtà, la canzone che spaventa di più i legali della EMI è la B-side: un rocker furioso intitolato "Vote for Me" che sembra fare riferimenti indiretti alla controversia riguardante "Flowers in the Rain""Esprimi opinioni in questo posto dove nessuno ascolta/loro prendono precauzioni giusto in caso tu dica una parolaccia/per favore, correggimi se sembra che io stia facendo troppo casino/in questa professione la gente si affretta a rimetterti al tuo posto/votami, insieme governeremo il mondo" si sente cantare nel brano. "Cherry Blossom Clinic", insieme a "Flowers in The Rain" e alla sua B-side "(Here We Go Round) The Lemon Tree", verrà inclusa nel primo omonimo LP del gruppo nel Marzo del 1968, ma per poter ascoltare "Vote for Me" bisognerà attendere il 1998, quando verrà inclusa come bonus track nell'edizione deluxe dell'album.

The Move (1970)
La rinuncia delle royalties di "Flowers in the Rain" provocherà, nel corso del tempo, una grave perdita nei guadagni del gruppo: sarà, infatti, l'unico loro singolo a vendere in grande massa, nonostante i Move continueranno a godere di una certa stima di pubblico e critica. Da canto suo, Wilson poteva ritenersi soddisfatto per la sua vittoria e rimarrà in carica fino al 19 Giugno 1970 per poi diventare capo dell'opposizione. Morirà di cancro al colon nel Maggio del 1995, all'età di 79 anni. Quando la Carlton TV, nel 1998, farà un documentario incentrato sulla figura di Roy Wood, i suoi eredi negheranno i permessi di mostrare la cartolina incriminata. Tony Secunda verrà licenziato dai Move poco tempo dopo la controversia. Il gruppo, invece, continuerà la suacarriera pubblicando diversi singoli e un totale di 4 album in studio. Il punto di svolta avviene nel 1970 quando, inaspettatamente, il cantante solista Carl Wayne lascia, sostituito dal chitarrista e compositore Jeff Lynne degli Idle Race, un amico di vecchia data di Wood. Questa formazione comincerà a fare musica sempre più ardita e sperimentale fino a quando, in modo del tutto naturale, non cambierà nome in Electric Light Orchestra, perdendo totalmente ogni aspetto provocatorio ma guadagnando un maggiore successo di vendita. Ma questa è un'altra storia...



- Fonti e altre letture di interesse -


domenica 21 agosto 2016

Misero Spettacolo - Porci, Pecore e Pirati (Zeta Factory, 2016)


"Porci, Pecore e Pirati" del quintetto nato a Bologna Misero Spettacolo è il terzo lavoro all'attivo e forse quello che più si avvicina ad alcuni dei nomi citati tra le loro influenze. Liricamente sono le venature malinconico-depressive di Luigi Tenco e l'impegno politico di Fabrizio De André a distinguersi di più, anche se con striature più polemiche nell'accezione negativa del termine come piace molto ai compositori italiani degli ultimi anni. Quante volte l'italiano medio è stato già bersagliato nei testi ultimamente? Va da sé che occorre farlo in maniera diversa se si desidera abbattere le mura di diffidenza innalzate ormai di default da critica e pubblico e ci sono inizialmente molti dubbi su quanto i cinque riescano a farlo, perlomeno al primo ascolto. 
Tuttavia, la maturità è evidente nella stesura dei brani, che mescolano stili molto distanti tra loro facendone un calderone originale, divertente, energetico. Possiamo sentire country, bluegrass, jazz, psichedelia, rock anni sessanta e settanta, rock'n'roll, cantautorato, evitando il facile passo falso di rendere il tutto troppo poco omogeneo. La sezione ritmica in alcuni momenti regge il gioco più degli altri, ma è evidente l'intesa tra tutti gli strumentisti abili a creare un collante verosimile e credibile. I momenti migliori sono quelli in cui anche le parole raggiungono il loro punto più alto: molto amara, potremo dire stavolta à la Tenco - o addirittura à la Santercole - "Mia Cantina", brano che parla di una fuga dal mondo rinchiudendosi in sé stessi nella cantina di casa, scappando da tutto ciò che non possiamo mandare giù del nostro paese, i cui problemi, pungenti quanto insopportabili per gli autori, riaffiorano prepotentemente nella splendida "Emigrante", forte di una satira mordace e salace memore di un certo cinema nostrano meno volgare (più Monicelli, meno Neri Parenti, per capirci). 

In sintesi, questo lavoro mette in luce la maestria nel songwriting, una capacità interpretativa del presente sicuramente profonda e d'impatto, e come ciliegina sulla torta la straordinaria virtù della varietà, anello debole della musica italiana da molto tempo. Manca ancora qualcosa per parlare di capolavoro, ma la strada prescelta è quella giusta, indubbiamente. 

giovedì 21 luglio 2016

Silversnake Michelle - Her Snakeness (Autoproduzione, 2016)

Dalla storia recente, si apprende che l'artista olandese Maurits Cornelis Escher si è ispirato ad alcune forme arabeggianti - come quelle del palazzo dell'Alhambra di Granada, in quella porzione di Spagna che fu terra dei Mori - per le sue cosiddette "figure impossibili". Escher e la cultura araba risultano nelle influenze autoriferite anche di Silversnake Michelle, all'anagrafe Micaela Battista, quarantunenne torinese che con "Her Snakeness" presenta un vero e proprio manifesto. Tonalità dark, cupezza a palati, l'abolizione totale della luce. Serpenti, metafisica, una grinta che sa di punk, ancora serpenti. 
Il risultato è un disco quasi rapsodico, solenne, che prende dall'epica quanto certo metal britannico, ma lo riversa su strutture più propriamente classic rock. Difficile inquadrarne gli orizzonti senza capire i punti di vista dell'autrice: tornano spesso i concetti di tempo e di spazio, di viaggio, come anche il sentire dei corpi inanimati (in un brano si immaginano i pianeti avvertire emozioni e sensazioni), e un'erotismo non troppo spinto ma comunque marcato che, sebbene non sia contenuto vividamente nei testi, ha seguito in tutto quello che è l'artwork e il mondo grafico visibile nei social.
Comunque, nonostante gli ottimi musicisti che accompagnano Michelle, l'evidente investimento economico, e la potente dichiarazione d'intenti che tutto il lavoro spara in faccia all'ascoltatore minuto dopo minuto, sembrano mancare almeno due elementi: il mordente, quella componente in grado di fissare la sua musica aggredendo chi ne usufruisce con qualcosa di nuovo e dirompente, e il collante, che tenga unite le sue varie parti. Rimane dunque ai posteri un'opera magniloquente, con un rivestimento argenteo che rischia di lasciarsi invadere dagli agenti esterni senza un sequel che sia in grado di dimostrare chi veramente sia Silversnake Michelle, rivalorizzando anche il suo sforzo precedente.