Edo, giovane cantautore veneto, arriva nel 2009 a pubblicare un “live” registrato in uno storico locale della sua Padova, una raccolta di otto pezzi (sette inediti e una cover) che precede un album che sarà rilasciato entro la fine dell'anno.
martedì 28 luglio 2009
Edo - Booootleg (Autoprodotto, 2009)
Edo, giovane cantautore veneto, arriva nel 2009 a pubblicare un “live” registrato in uno storico locale della sua Padova, una raccolta di otto pezzi (sette inediti e una cover) che precede un album che sarà rilasciato entro la fine dell'anno.
sabato 25 luglio 2009
Tortoise - Beacons of Ancestorship (Thrill Jockey, 2009)
Da sempre frullatori viventi di generi musicali, abili a stordire l'ascoltatore con intelligenti miscugli di ambient, post-rock, jazz, elettronica e psichedelia, lasciano dietro le spalle qualche ingrediente per aggiungere nuove caratteristiche al loro prodotto. La traccia d'apertura, High Class Slim Came Floatin' In, è un intellettualistico viaggione di otto minuti che ci si chiede sotto quale droga sia stato composto. Space rock, elettronica partorita dai Kraftwerk, psichedelia sotto una coltre di sintetizzatori pazzi che spazzano con uno stile che è da pochi i tre quarti di canzone che seguono l'allucinata introduzione. L'album continua con Prepare Your Coffin, ritornano le influenze acid jazz nel drumming ma mancano gli stacchi fantasiosi dei lavori precedenti (chi non ha ancora tolto “Millions Now Living Will Never Die” dallo stereo sa di cosa parlo) ed un accostamento a certi Holy Fuck è d'obbligo. Non un difetto, non una novità. Usciti dalla parte “colonna sonora” nella quale rientreremo, ci imbattiamo in Northern Something, energica manciata di secondi tra synth e marce singhiozzate, corta quanto basta per farti apprezzare Gigantes. Tornano gli Holy Fuck, ma insieme ai Battles. Il piatto è più ricco, mentre la canzone continua nei suoi sei minuti si aggiungono strumenti e livelli di suono, pad che spingono l'immaginazione oltre i gocciolii simulati dei primi minuti e la mano tremante del tastierista giusta protagonista. Con una simil-sigla televisiva, Penumbra, di appena un minuto, introducono Yinxianghechengqi, sorpresa del disco. Bellissima cavalcata drum'n'bass ma dal gusto rockettaro, con una batteria ed una chitarra ossessive fino all'inverosimile, condita da un crescendo che raggiunge il suo climax a metà pezzo, prima di precipitare in una grotta costretta al ripetersi di starnuti di kraftwerkiana memoria. The Fall of Seven Diamonds Plus One è una ballata in cui Gilmour alla chitarra sembra accompagnare portoni che sbattono finché arriva il solito synth a spezzare la tensione. E siamo ancora in vena di musica da cinema. Minors è un riempitivo carino, simile a tante altre, ma sempre di buon gusto. I tempi si sono dimezzati e Monument Six One Thousand parte con un loop incessante che viene senza preavviso lacerato da chitarre crudeli lasciando poi spazio all'ingegno di alcuni suoni quasi casuali ma che trovano il loro significato quando il pezzo arriva al suo finale, in cui i toni si fanno misteriosamente più sognanti. Per sfociare in De Chelly. Organo debole e basso superdistorto per lasciar finire un ottimo disco con l'ingannevole Charteroak Foundation. Le chitarre post-rock non c'entrano niente con tutto il resto, ed è proprio questo a renderla interessante. Un ascolto veramente consigliato.
Perdonatomi un track-by-track che so essere stato troppo lungo, accenno alla perfezione dei suoni, non troppo curati come una produzione non-major vuole e come questo genere necessita. Interessanti per tutti quelli che cercano il punto d'incontro tra elettronica e psichedelia che nessun altro gruppo ha saputo incarnare come loro. Ma attenti: se non lo ascoltate fino in fondo e più di qualche volta, non ci capirete molto. La magia dei Tortoise.
VOTO: 8.5
mercoledì 22 luglio 2009
Placebo Live @ Castello Scaligero, Villafranca di Verona (VR)
lunedì 20 luglio 2009
Subsonica Live @ Sherwood Festival 17 Luglio 2009
I cinque torinesi si fermano in quel di Padova con un'ulteriore data di questo breve tour estivo per coronare la nuova edizione dello Sherwood Festival già gremito qualche giorno fa per la performance dei Prodigy.
* foto di Giuseppe Craca
domenica 19 luglio 2009
Wilco - Wilco (The Album) (Nonesuch, 2009)
I Wilco arrivano con questo omonimo disco dall'ironico titolo al settimo lavoro, con un gran fardello sulle spalle. Il compito è decidere che strada intraprendere, se esplorare qualcosa di nuovo o adagiarsi sugli allori dei successi passati. Dopo la deviazione leggermente mainstream degli ultimi lavori, questo album si propone di tornare alle origini della band, senza però raggiungerne la vera essenza. Il risultato è comunque buono. Nel dettaglio:
Questo disco è un vero miscuglio di musica d'oltreoceano e d'oltremanica, elaborato in maniera genuina come pochi se ne vedono ancora. Contiene le influenze del pop d'oltreoceano, del rock più commerciale, e di alcuni rami del prog; ci troviamo Neil Young, ad esempio, ma anche Bob Dylan, i Beach Boys, e cambiando continente, i Beatles e i Genesis.
Le prime tre tracce del disco, Deeper Down e One Wing soprattutto, ci fanno subito capire di che pasta sono ancora fatti questi musicisti, e tra il pop complesso e il rock citazionale vecchio stampo arriviamo a Bull Black Nova, bel pezzo che tratta la tematica dell'omicidio in maniera “onirica”, giocando sul contrasto musica/parole e combinando melodie più “divertite” ad altre più introspettive e dai toni scuri. Le sorprese continuano con la distesa You And I (featuring con Feist), una beatlesiana Everlasting Everything e soprattutto You Never Know, altro viaggio nel passato molto riuscito.
Il rock degli Wilco non scherza. Variopinto e multiforme, supportato da una tecnica sopra le righe (da apprezzare particolarmente le chitarre che a volte sembrano rincorrersi, creando un effetto di disorientamento sonoro evidentemente difficile da riprodurre) e da testi a volte divertenti ed altre più intimistici, referenziale quanto basta, e non da ultimo autocompiacente. Gli ingredienti per un bel disco ci sono tutti e il modo di disporli all'interno di questo lavoro non dispiaceranno certo gli amanti di tutte le band citate, anche se mancano le novità per chi ha già assaporato e gradito tutta la loro produzione passata, alla quale sono forse troppo legati.
In ogni caso un disco piuttosto interessante, consigliato ai fan per una conferma e ai nuovi ascoltatori per una sana iniezione di rock “classico” suonato da una band del 2000.
Voto: 7+
giovedì 16 luglio 2009
The Prodigy Live @ Sherwood Festival 15 Luglio 2009
domenica 12 luglio 2009
The Mars Volta - Octahedron (Warner Bros., 2009)
Facile ascoltarli. Adesso.
Qualche tempo fa i Mars Volta erano considerati un gruppo per pochi. "Progressive" li, e si, definivano. Cosa ci dice di nuovo questo lavoro? A metà tra la riproposizione di uno stile già cementato dal veloce susseguirsi di dischi di questa iperproduttiva band e la ricerca di nuove vie più "borghesi" ed easy-listening, questo disco è un prodotto dall'alto valore artistico e con sonorità molto diverse tra loro.
Il pezzo d'apertura Since We've Been Wrong estende a 7 minuti di durata il tipico lento tormentone, con un lavoro che potremo definire egregio, e che si presenta come un'ulteriore sperimentazione, in positivo, di quella via intrapresa con altri brani melodici come la vecchia “The Widow”. I soliti Mars Volta sono quelli di Teflon, del singolo Cotopaxi e di Halo of Nembutals . Niente novità, canzoni melodiche ma dotate di riff particolari e l'ottima voce di Cedric Bixler-Zavala che stupisce sempre, anche se la dimensione dell'acuto che dopo lo scioglimento degli At The Drive In sembra averlo ipnotizzato inizia a suonare ripetitiva. Ottimo il songwriting. Forse troppo lunghe ma di notevole interesse le due ballate psichedeliche With Twilight As My Guide e Copernicus, entrambe lunghe più di sette minuti ma molto interessanti. Musica d'atmosfera con un tiro notevole. Parte tale e quale a queste due il pezzo conclusivo Luciforms, per poi gettarsi prima nel solito pezzo alla MV e poi in uno spreco di tecnica finale che comunque si possono permettere, non chiamandosi Dreamtheater (quelli del 2009, si intende).
Ottima la produzione, in linea con i loro lavori precedenti (anche se forse c'è una pulizia leggermente minore a livello di batteria, e questo non è necessariamente un difetto), ed anche la tecnica di questi ragazzi. E non è una novità, sappiamo tutti di cosa sono capaci (compare anche Frusciante degli RHCP anche se la sua presenza è piuttosto marginale per la buona riuscita dei pezzi). Lascia a desiderare la presenza di pochi (otto) pezzi per una durata complessiva di 50 minuti, ma la scelta di fare un album all'anno non poteva certo portare ad altro. Apprezzabile comunque il tentativo di innovarsi, anche se la paura che si stiano spiaggiando su un genere sempre più ripetitivo e sempre meno progressivo è grande.
Ancora un bel disco da questi ragazzi che sicuramente andrà riapprezzato anche in concerto. Ascoltatelo.
Voto: 7-