Da sempre frullatori viventi di generi musicali, abili a stordire l'ascoltatore con intelligenti miscugli di ambient, post-rock, jazz, elettronica e psichedelia, lasciano dietro le spalle qualche ingrediente per aggiungere nuove caratteristiche al loro prodotto. La traccia d'apertura, High Class Slim Came Floatin' In, è un intellettualistico viaggione di otto minuti che ci si chiede sotto quale droga sia stato composto. Space rock, elettronica partorita dai Kraftwerk, psichedelia sotto una coltre di sintetizzatori pazzi che spazzano con uno stile che è da pochi i tre quarti di canzone che seguono l'allucinata introduzione. L'album continua con Prepare Your Coffin, ritornano le influenze acid jazz nel drumming ma mancano gli stacchi fantasiosi dei lavori precedenti (chi non ha ancora tolto “Millions Now Living Will Never Die” dallo stereo sa di cosa parlo) ed un accostamento a certi Holy Fuck è d'obbligo. Non un difetto, non una novità. Usciti dalla parte “colonna sonora” nella quale rientreremo, ci imbattiamo in Northern Something, energica manciata di secondi tra synth e marce singhiozzate, corta quanto basta per farti apprezzare Gigantes. Tornano gli Holy Fuck, ma insieme ai Battles. Il piatto è più ricco, mentre la canzone continua nei suoi sei minuti si aggiungono strumenti e livelli di suono, pad che spingono l'immaginazione oltre i gocciolii simulati dei primi minuti e la mano tremante del tastierista giusta protagonista. Con una simil-sigla televisiva, Penumbra, di appena un minuto, introducono Yinxianghechengqi, sorpresa del disco. Bellissima cavalcata drum'n'bass ma dal gusto rockettaro, con una batteria ed una chitarra ossessive fino all'inverosimile, condita da un crescendo che raggiunge il suo climax a metà pezzo, prima di precipitare in una grotta costretta al ripetersi di starnuti di kraftwerkiana memoria. The Fall of Seven Diamonds Plus One è una ballata in cui Gilmour alla chitarra sembra accompagnare portoni che sbattono finché arriva il solito synth a spezzare la tensione. E siamo ancora in vena di musica da cinema. Minors è un riempitivo carino, simile a tante altre, ma sempre di buon gusto. I tempi si sono dimezzati e Monument Six One Thousand parte con un loop incessante che viene senza preavviso lacerato da chitarre crudeli lasciando poi spazio all'ingegno di alcuni suoni quasi casuali ma che trovano il loro significato quando il pezzo arriva al suo finale, in cui i toni si fanno misteriosamente più sognanti. Per sfociare in De Chelly. Organo debole e basso superdistorto per lasciar finire un ottimo disco con l'ingannevole Charteroak Foundation. Le chitarre post-rock non c'entrano niente con tutto il resto, ed è proprio questo a renderla interessante. Un ascolto veramente consigliato.
Perdonatomi un track-by-track che so essere stato troppo lungo, accenno alla perfezione dei suoni, non troppo curati come una produzione non-major vuole e come questo genere necessita. Interessanti per tutti quelli che cercano il punto d'incontro tra elettronica e psichedelia che nessun altro gruppo ha saputo incarnare come loro. Ma attenti: se non lo ascoltate fino in fondo e più di qualche volta, non ci capirete molto. La magia dei Tortoise.
VOTO: 8.5
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