E anche quest’anno Ferrara Sotto le Stelle ( e immersa nell’umidità) ha dato il meglio di se, invitando un artista di grande livello: Jonsì. A dire la verità ad alcuni di voi potrebbe parere un nome anonimo, ma se vi dico “il cantante dei Sigur Ròs”? Oh là! Bene. Adesso che avete capito di chi parlo, procediamo nella descrizione di quella sberla nel muso di concerto.
Il cantante dall’immensa estensione vocale ha letteralmente “pettinato” il folto pubblico della piazza ferrarese, scatenando applausi forsennati e “whoo whoo” di approvazione. Spiegare com’era composto il gruppo è come cercare di dirvi tutti i 51 stati americani in una parola: impossibile. Il bassista che diventa pianista, il chitarrista che diventa percussionista e il batterista che diventa rumorista, mentre il cantante si destreggia tra chitarra classica e un’altra microchitarra acustica. Un ensemble di pura bravura, che ha eseguito quasi alla perfezione il proprio repertorio. Fantastica atmosfera quando poi si sono sparse sulla piazza le note di “Go do” e “Animal arithmetic”, senza dimenticare quella creata durante le altre canzoni eseguite accompagnate dalle immagini animate sullo sfondo. Un gufo solitario che vola nella notte tra alberi spogli, un feroce lupo che insegue un cervo arrivando ad uno scontro fra i due animali, una esercito di ragni che si dirige verso un luogo immaginario, una pioggia che diventa tempesta scatenando il “panico” tra il pubblico, estasiato dalle note di “Grow till tall”; il gioco delle luci ha poi fatto il resto.
Un ora e mezza, circa, di pura estasi, divisa tra l’iniziale malinconia dei primi pezzi (alcuni inediti) e il furore della parte finale. C’è da dire che in un primo momento la malinconia avrebbe potuto trasformarsi in “abbiocco” ma ciò non è un rimprovero, bensì un aspetto di questo genere.
L’album “Go” del novello Papageno è stato acclamato dal pubblico, specialmente da me, in quanto amante di questo genere. Pare quasi che con questo progetto Jón Þór Birgisson (nome di battesimo di Jonsì) non abbia voluto allontanarsi troppo da quello che ha reso celebre in tutto il mondo i Sigur Ros.
Penso di essere stato abbastanza chiaro nel dimostrare quanto quel concerto sia stato una figata, no?
Il cantante dall’immensa estensione vocale ha letteralmente “pettinato” il folto pubblico della piazza ferrarese, scatenando applausi forsennati e “whoo whoo” di approvazione. Spiegare com’era composto il gruppo è come cercare di dirvi tutti i 51 stati americani in una parola: impossibile. Il bassista che diventa pianista, il chitarrista che diventa percussionista e il batterista che diventa rumorista, mentre il cantante si destreggia tra chitarra classica e un’altra microchitarra acustica. Un ensemble di pura bravura, che ha eseguito quasi alla perfezione il proprio repertorio. Fantastica atmosfera quando poi si sono sparse sulla piazza le note di “Go do” e “Animal arithmetic”, senza dimenticare quella creata durante le altre canzoni eseguite accompagnate dalle immagini animate sullo sfondo. Un gufo solitario che vola nella notte tra alberi spogli, un feroce lupo che insegue un cervo arrivando ad uno scontro fra i due animali, una esercito di ragni che si dirige verso un luogo immaginario, una pioggia che diventa tempesta scatenando il “panico” tra il pubblico, estasiato dalle note di “Grow till tall”; il gioco delle luci ha poi fatto il resto.
Un ora e mezza, circa, di pura estasi, divisa tra l’iniziale malinconia dei primi pezzi (alcuni inediti) e il furore della parte finale. C’è da dire che in un primo momento la malinconia avrebbe potuto trasformarsi in “abbiocco” ma ciò non è un rimprovero, bensì un aspetto di questo genere.
L’album “Go” del novello Papageno è stato acclamato dal pubblico, specialmente da me, in quanto amante di questo genere. Pare quasi che con questo progetto Jón Þór Birgisson (nome di battesimo di Jonsì) non abbia voluto allontanarsi troppo da quello che ha reso celebre in tutto il mondo i Sigur Ros.
Penso di essere stato abbastanza chiaro nel dimostrare quanto quel concerto sia stato una figata, no?
Recensione a cura di Alberto Lucchin
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