lunedì 19 luglio 2010

The Sons - Visiting Hours (Pop Up Records, 2009)



Tracklist:
1. Welcome Home Again
2. Worry
3. Beside the Sea
4. Trying So Hard
5. Prime of Life
6. Safe
7. Intermission
8. Kids With Knives
9. Nightshade
10. Real Life
11. Do What You Feel
12. Geraldine and Me
13. Heroes


The Sons. Inizia il disco e ti chiedi figli di chi? Con quel pop/rock semplice e troppo spontaneo che se fosse una persona si direbbe "acqua e sapone", che se fosse una macchina si direbbe un sulky. E malfunzionante per giunta. L'album però poi scorre veloce, nelle sue tredici tracce, e ti fa capire che i The Sons sono figli dei The Kinks, di David Bowie, della più classica tradizione inglese. E infatti provengono proprio da lì, un po' da Leeds, un po' da Nottinghan, dove forse definire indie un artista non è stupido e modaiolo come qui ma è semplicemente esprimere la propria ammirazione per una produzione indipendente. I The Sons effettivamente dopo qualche ascolto iniziano a dire qualcosa, con quel piglio nostalgico che riporta all'attenzione di tutti una scena sommersa non tanto dal tempo che passa o dal cambiamento generale dai gusti, ma solo dall'abuso che si fa di certi linguaggi. Dopotutto è impossibile considerare originali brani come questi, dopo che si sono ascoltati per anni tutti i rockettari inglesi recenti e le più (ormai)"antiquate" realtà britanniche, eppure pezzi come "Welcome Home Again", con quella bella dichiarazione d'intenti nel titolo e i cori femminili verso la fine ad alleggerire la tensione creata dalla (troppa)quiete che cosparge tutto il brano, e come "Real Life" salvano il destino del disco. Nella sua duplice colpa di essere banale e anacronistico, risulta accattivante e dall'aria quasi selvaggia, un po' cupa, come piace alla piovosa (ma dove?) Inghilterra. Le chitarre non pestano mai troppo e si limitano a leggeri overdrive, il basso distorto (forse un Rickenbacker?) si distingue per la sua sonorità nordica da miglia di distanza. Un sound riconoscibile e personale, coniugati con un songwriting sicuramente abbastanza "individuale", non troppo scopiazzato né sbavato. Sicuramente hanno le carte per fare strada, ma prima si devono liberare della loro provenienza geografica, un mostro che divora tutti quelli che vogliono uscirne. Il problema è che non bisogna andarsene solo per fare date, ma scappare ed ascoltare anche produzioni estere. Allora si che i The Sons sapranno strappare il giusto quantitativo di applausi.
In ogni caso un bel disco di pop anglofono. 

Voto: 7

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