Guido Guglielminetti, in arte Stona, dà alle stampe questo "Storia di un Equilibrista" con un titolo in qualche modo indicativo del suo contenuto. Risulta proprio un equilibrista, un funambolo, l'artista che toccando varie sfaccettature della canzone d'autore riesce a mantenere un delicato bilanciamento tra qualità, originalità e sostanza. Se da un lato la genuinità può passare in secondo piano nei momenti in cui rimandi lirici e interpretativi ricordano questo o quel nome del nostro panorama musicale (Fossati, De Gregori, Tenco, Dalla), risuona invece di una fresca spontaneità il modo di parlare, con velata ma ficcante ironia, di tematiche come la nostra scena popolare ("Mannequin") e la sua personale visione della musica (la title-track). Di questi argomenti Guglielminetti può parlare con con sapienza ed esperienza, in quanto già impegnato con il precedentemente citato De Gregori come bassista e produttore, pienamente coinvolto in molti suoi lavori. Le scelte musicali non stupiscono così spesso, forse per essere un po' troppo altalenanti, ma i momenti che risultano di maggiore impatto sono quelli (rari) in cui si preme sull'acceleratore come "Streaming" (vagamente Subsonica, ma con un cuore depechemodiano) o in cui si strizza l'occhio prevalentemente al mercato radiofonico, come in "Nell'Armadio" e il suo meraviglioso ponte semantico tra un armadio disordinato e le nostre vite scompigliate e disperse in mille rivoli e interessi che non ci permettono di focalizzarci su un singolo obiettivo. E' evidente anche come la selezione di musicisti di grande valore (uno su tutti Elio Rivagli alle pelli) impreziosisca il risultato finale, che si poteva in realtà "spingere" un po' di più per dargli maggiore modernità ma anche colore e "forza d'urto", in virtù delle tantissime influenze che si è scelto di coinvolgere, dal jazz al funk passando per l'elettronica e ovviamente il pop autoriale italiano.
Si potrebbe certo dire che l'eccesso di personalizzazione dei testi, quasi tutti filtrati da un intimismo vagamente ermetico, faccia apparire tutto rivolto a dare sempre il proprio punto di vista piuttosto che narrare qualcosa che possa appartenere alle masse. Di conseguenza, l'oscurità delle parole risulta forse opprimente ai primi ascolti, richiedendo un'indagine più approfondita per poterne attraversare il carapace. Se questo per qualcuno sarà un deterrente, potremmo invece sostenere che l'eleganza e la soggettività di cui tutto il lavoro è pervaso è proprio la cifra stilistica che andava ricercata e valorizzata, forse ancor più di quanto già non lo sia, perché centrale nella lettura del mondo artistico di Guido.