Discutevo proprio oggi con un amico con cui mi piace dibattere di musica, uno dei pochi tra l'altro, cercando di capire chi sia effettivamente un "cantautore". Il termine in origine designava semplicemente chi cantava e scriveva la canzone, diversamente da quanto faceva l'interprete, e non era un vocabolo indicativo di un genere preciso. Il tempo ha però storicizzato alcuni nomi (De André su tutti), rendendo più selettivi i filtri di chi doveva pescare nel calderone per recuperare un nome degno di questa etichetta. Oggi ci troviamo a chiederci chi lo sia, con alle spalle grandi nomi "intoccabili" e di fronte i Calcutta, i Tommaso Paradiso, i Dente, tra i mal di pancia da social di chi non vuole proprio saperne di metterli nello stesso contenitore logico di Rino Gaetano, Lucio Dalla e Luigi Tenco. In linea di massima, ritengo sia un "cantautore" chi scrive e interpreta il pezzo in maniera personale, non - ad esempio - inventandosi di venire dalla strada, né di avere patito chissà quali mitologiche pene d'amore o avventure cavalleresche per conquistare la bella Angelica, piuttosto mettendoci la propria vita, il proprio vissuto, le proprie impressioni, emozioni, opinioni su un fatto storico, un movimento artistico, un'ideale politico, al netto di licenze poetiche, metriche e lessicali che se fatte con gusto possono aiutare al risultato (o uccidere). Potrebbe essere un cantautore dunque Luca Carboni, magari tanto quanto Sfera Ebbasta, se diamo per vere le cose che dice, al di là della qualità, dei gusti, delle mode. Finito questo preambolo, è ora di investire un po' di tempo a parlare di questo "L'Ottimista", fuori da tre mesi per l'etichetta Pirames International.
Come da mio personale pronostico, Andrea Gioè, in questo disco, mette tutta la sua autoanalisi, con un appeal notevole se si pensa al livello della scrittura, alla varietà delle immagini evocate, all'eterogeneità degli arrangiamenti non da vivere come un difetto, semmai come un elemento di esaltazione della sua versatilità vocale. Divertenti ballad uptempo quasi à la Bruno Mars vanno a braccetto con un animo rock dalle striature punk, tra i Sex Pistols e le scelte sonore degli anni novanta di Vasco Rossi (quello di Nessun Pericolo...Per Te, per intenderci), con il cuore rivolto alla tradizione melodica d'autore italiana e la testa concentrata sui grandi nomi che non possono mancare nella formazione di un musicista moderno (Pink Floyd, Genesis, Eric Clapton, Beatles, ecc).
E' un disco che racconta quindi tutto l'universo musicale dell'artista palermitano, e tutta la sua vita, il modo di affrontare le avversità, resistendovi e mai cedendovi, gli alti e i bassi, il ritiro quasi eremitico nei Pirenei, la reazione spontanea e ficcante alle notizie di cronaca del tg quotidiano (in questo caso riferite ai casi della Gambirasio e della Scazzi), con l'ottimismo razionale a fare da argine, da soluzione, da antidepressivo naturale. Lungo tutta la durata di questo lavoro sentiamo spontaneità e genuinità, anche laddove qualche passaggio musicale può lasciare a desiderare, se non altro per la fragilità di alcune "esplosioni" che avrebbero meritato un boost maggiore in termini di post-produzione.
Se devo dirla tutta, questo genere di dischi può risultare molto pesante per chi non è abituato ad ascoltare la musica per le parole e la curiosità nell'immaginario personale degli artisti, ma non è quello il target e non vale nemmeno la pena soffermarsi su questo aspetto.
E' voluta la scelta di non citare alcun titolo, insolita da parte mia. Di fatto, se dovessi scegliere forzatamente i migliori e i peggiori andrei al tilt, per dirla col linguaggio dei talent show, e non per non prendermi le mie responsabilità stile Fedez. Mi piace vedere - e descrivere - questo disco come una pangea, un monolite primordiale che può sprigionarsi in mille direzioni, e che conta come sua virtù cardinale proprio il fatto di funzionare come un'unità inscindibile, un blocco indeformabile, che va preso a scatola chiusa, senza selezionare. E' difficile, oggi che uno swipe ci sposta da un disco all'altro, ma vi invito a farlo.
Nessun problema a dichiarare che di dischi così, nel genere, in Italia, e nel secondo semestre del 2018, non ne sono girati tanti. Andrea può e deve ancora crescere espressivamente, e stilisticamente, ma in questa ascesa a tappe la vetta non sembra più tanto distante, se non in termini di consensi ed esposizione mediatica quantomeno in vera e propria purezza del prodotto. Consigliato.
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