Ci sono voluti sette anni perché i vicentini The Lizards' Invasion giungessero alla pubblicazione del primo full-length, supportato anche da una campagna ben riuscita su Musicraiser, e così Restaino (voce), Mattiello (batteria), Adda e Mazzù (chitarre), Onestini (basso) e Guglielmi (tastiera) possono presentarsi con tutta la loro consapevolezza e maturità artistica già raggiunta negli anni della gavetta, tra contest e primi palchi, con questo "INdependence Time". Anche il titolo può sembrare una dichiarazione d'intenti, e si sposa bene sia come autoproclamazione di un'autonomia raggiunta a fatica, facendosi le ossa per anni, che come rampa di lancio per la narrazione di questo concept album utopico riguardante un mondo parallelo dove gli esseri viventi non sono in grado di provare sensazioni negative, sgradevoli, spiacevoli, ma sono caratterizzati da un animo buono, gentile e sempre rivolto al bene.
Il linguaggio matrice è quello del prog, probabile contesto formativo di più di qualche membro della band, mentre tutta una serie di altri riferimenti ed influenze trovano spazio rendendo il tutto estremamente, forse troppo, vario. Sentiamo Banco del Mutuo Soccorso e PFM in più momenti, in particolare nelle melodie di "INdestructible", anche se l'eccesso di epica la fa sembrare più la colonna sonora di un b-movie wannabe kolossal di Michael Bay coi robottoni che si sparano e contemporaneamente un gladiatore che festeggia lo squartamento di un leone nel tripudio della folla. La voce qui ricorda più i momenti epici degli Iron Maiden con Bruce Dickinson (qualcuno ha detto "Alexander the Great"?). "INvasion" alterna arpeggi quasi Coldplay a un cantato sempre maideniano, altre volte più vicino al Bono Vox degli esordi o a Steven Tyler. "INsider" in qualche modo erige un ponte tra "Mama Said" dei Metallica, i Dreamtheater più melodici dei primi dischi e l'indie inglese moderno. Non uno dei migliori momenti, anche se uno dei più originali.
Quello che risalta di questo lavoro è la sua coerenza al netto di riferimenti molto vari e ampi, ottenuta principalmente per scelte sonore e una voce sempre sul pezzo. Laddove può risultare pesante, viene alleggerito appunto da un'interpretazione accorata e che evidentemente "crede" molto nelle parole, per questo motivo riuscendo a veicolare molto bene il messaggio. Negli Stati Uniti forse sarebbe passato inosservato, ma qui da noi c'è margine per lasciare il segno, anche se personalmente avrei privilegiato la lingua italiana.
Un bel lavoro, da smussare solo in alcuni punti di eccesso di magniloquenza quasi barocca, ma che si fregia di un'identità forte e un sound fresco.
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