martedì 19 ottobre 2021

Yes - The Quest (InsideOut Music, 2021)

Quando, in seguito ai numerosi e continui cambi di formazione, venne chiesto ad Mark E. Smith cosa rendesse una formazione dei The Fall vera e propria, egli seraficamente rispose che "se ci siamo io e tua nonna ai bonghi allora siamo i The Fall". In questo momento, la situazione con gli Yes è abbastanza simile. Con l'uscita dal gruppo di Jon Anderson nel 2009 (per saperne di più potete leggere su questo blog l'intera disavventura all'interno della recensione di "Fly From Here") e la scomparsa di Chris Squire nel 2015, bassista, fondatore, anima e colonna portante del gruppo, nonché l'unico ad essere rimasto in ogni formazione, la band da un po' di tempo sta procedendo senza nessun membro fondatore e sotto il comando dello storico Steve Howe, chitarrista dal 1970 al 1980 e di nuovo nel 1991 e dal 1996 fino ai giorni nostri e presente in tutti gli album classici. Ovviamente, il paragone con i Fall è volutamente esagerato: oltre a Howe, negli Yes attuali sono presenti anche Alan White, batterista dal 1972 e il tastierista Geoff Downes che aveva militato negli Yes di "Drama" nel 1980 ed è rientrato in pianta stabile nel 2011. Questo per sottolineare che, nonostante la totale assenza di membri originali (questa line-up e quella dei primi due album usciti a nome Yes non hanno alcun membro in comune), c'è comunque una continuità con la storia della band. A completare il nucleo ci sono Jon Davison, cantante e frontman dal 2012, e Billy Sherwood, che aveva già prestato i suoi servigi come chitarrista ritmico dal 1997 al 2000 e che è stato eletto dallo stesso Squire come suo erede. Come immaginabile, non tutti i fan accettano di buon grado questi drastici cambi di formazione e la percezione che si tratti più che altro di una coverband di lusso, accentuata anche dai numerosi dischi dal vivo pubblicati negli anni precedenti (ben cinque dall'uscita di Anderson!), non è rara. Non solo, ma il fatto che dal 2016 Jon Anderson, Rick Wakeman e Trevor Rabin hanno legalmente il diritto di esibirsi a nome Yes ha creato una seconda band rivale con conseguenti antipatie tra i fan degne delle più appassionate tifoserie di calcio. Dal punto di vista affaristico, Howe è sicuramente colui che esce vincitore all'interno di questa diatriba: con l'uscita di questo album in studio, questa line-up è stata definitivamente consacrata come valida e canonica e, come se non bastasse, è lui a detenere i diritti sullo storico logo disegnato da Roger Dean e ad avvalersi delle sue splendide copertine. Inoltre, parrebbe che la versione degli Yes capitanata da Anderson, Rabin e Wakeman si sia di fatto sciolta. In ogni caso, le polemiche sull'utilizzo del nome Yes sono tutto sommato sterili: la presenza o l'assenza di alcune personalità chiave comunque non dice molto sulla qualità della musica proposta. 

Rispetto al precedente "Heaven & Earth", "The Quest" è sicuramente un album più devoto alle sonorità e agli stili tipici degli Yes e, in quanto tale, sembra essere studiato al millimetro per compiacere i fan storici. Perlomeno, questa è l'impressione che si ha ascoltando brani come "Dare To Know", che sembra citare direttamente alcuni frammenti di "Tales From Topographic Oceans" e che, pur essendo in sé di fattura pregevole, sembra essere un omaggio agli Yes da parte di qualche nuova leva del prog. Più convincenti sono gli otto minuti di "Leave Well Alone", sapientemente posti a metà album in modo da risultarne l'epicentro: si tratta di un'avventurosa composizione divisa in tre parti che utilizza al meglio questa line-up e che suona bene sia come pezzo degli Yes classico sia come moderno, contenendo soprattutto una interessante sezione centrale nella quale Howe dimostra ancora di essere in perfetta forma. Il fatto che il chitarrista sia chiaramente il protagonista di questa incarnazione degli Yes non sorprende particolarmente: oltre ad essere colui che risalta di più dal punto di vista strumentale, le sue parti in "Future Memories" e nella coda dell'opener "The Ice Bridge" danno credibilità all'utilizzo del nome Yes e sono distanti anni luce dalle noiose e statiche performance del precedente "Heaven & Earth"."Minus The Man" e "The Western Edge", composte dalle due 'nuove leve' Davison e Sherwood sono canzoni interessanti che ben si amalgamano con il resto di "The Quest", la prima più melodica e orecchiabile, nonostante venga resa un po' più intricata dagli arrangiamenti orchestrali di Paul K. Joyce, la seconda più variegata ed energica. Viceversa, il disco è meno convincente nei momenti più saccarini e ruffiani come le conclusive "Music to My Ears", colpevole di utilizzare in maniera martellante ed ossessiva un refrain non troppo bello in sé, e "A Living Island", un po' troppo pomposamente verso l'epico-melodico. L'album contiene anche un secondo CD con un quarto d'ora di musica extra, posto separatamente per sottolineare che si tratta di un post scriptum più che un finale dell'album. L'esclusione dalla scaletta regolare dei tre pezzi ivi contenuti è stata una scelta felice: sono senza dubbio i meno degni di nota presenti nel pacchetto, in particolar modo il goffissimo omaggio Beatlesiano "Mystery Tour", e la lunghezza principale dell'album arriva così a circa cinquanta minuti, durata giusta per questo tipo di materiale.

In generale la produzione del disco è abbastanza buona e dettagliata e l'ascolto risulta gradevole, soprattutto in cuffia. Detto questo, non è esente da difetti: in particolare, le voci soliste di Davison e Sherwood risultano colpite da un eccessivo utilizzo di autotune, cosa che si può notare soprattutto in "The Western Edge". Purtroppo, un discorso simile va anche fatto per Alan White, in passato uno dei batteristi più potenti della storia del rock: da qualche anno le sue condizioni di salute gli impediscono di esibirsi per l'intera durata dei concerti e, sebbene abbia effettivamente eseguito tutte le parti presenti sul disco, molto spesso si ha il sospetto che siano state quantizzate e in momenti come "The Ice Bridge" non riescono a dare alla musica il supporto che meriterebbe. Inoltre, per quanto il bilanciamento dei suoni sia generalmente buono, spesso le tastiere di Downes finiscono per risultare un po' soffocate.

In definitiva, "The Quest" è un album che nonostante tutto riesce a ritagliarsi il suo spazio nella discografia degli Yes. Tenendo in considerazione l'era post Anderson, "Fly From Here", per quanto di buona fattura, non era rappresentativo della direzione attuale della band in quanto composto per buona parte da recuperi di idee composte anni prima e "Heaven & Earth" poco aveva fatto se non dimostrare che Roy Thomas Baker non è un produttore adatto per gli Yes"The Quest" si pone un po' come un ponte tra le due uscite: il recupero di idee passate persiste (a questo proposito, a questo link si può leggere riguardo una potenzialmente imbarazzante diatriba concernente i credits di "The Ice Bridge", fortunatamente conclusasi con un signorile lieto fine da parte di tutte le parti coinvolte) ma sono state contestualizzate in una direzione che certamente ha più senso all'interno della storia del gruppo. Chi è non ha problemi con il proseguimento della carriera degli Yes dopo la scomparsa di Chris Squire o, semplicemente, chi ama Steve Howe sicuramente troverà molto da apprezzare all'interno del disco. Per tutti gli altri, invece, si tratterà perlopiù di un prodotto che probabilmente appare più ambizioso di quanto lo sia effettivamente, ma che in sé non è affatto disprezzabile.


Yes (2021)
Steve Howe, Jon Davison, Billy Sherwood, Alan White, Geoff Downes


"The Quest" è acquistabile su Amazon o Burning Shed.

venerdì 28 maggio 2021

Mauto - Il Tempo Migliore (Acustico) (Eea Publishing, 2021)


"Il Tempo Migliore (Acustico)
" è la riedizione acustica del lavoro già pubblicato sul finire dell'anno scorso dall'artista romano Gianfranco Mauto, un cantautore che ha già saputo dimostrare al pubblico quanto importanti siano le parole, in un paese dove per tradizione la musica di questo genere ha sempre saputo far emergere grandi nomi, mettendo spesso in risalto le liriche rispetto agli arrangiamenti. In questo caso, anch'essi risultano molto curati, sebbene nella semplicità di una costruzione acustica che intende spogliare i brani di tutte le sovrastrutture estetiche per lasciare spazio, appunto, al contenuto. E l'esperimento è senz'altro riuscito, dando maggior lustro a brani che avevano probabilmente bisogno di respirare di più e di convogliare l'attenzione sull'anima dello scrittore, su quello che aveva da dire. 

L'interpretazione notevole di Mauto riesce a consegnare nelle mani (e nelle orecchie) dell'ascoltatore esperienze vissute che impattano subito per la concretezza, il realismo, quell'essere terra terra che quasi richiama il verismo di Giovanni Verga ma anche le lancinanti sofferenze d'amore di Luigi Tenco. Il vero punto forte è infatti proprio la capacità di trasmettere le emozioni suscitate di volta in volta dai vari brani, che parlino di cuori spezzati ("Un Po' Di Te"), di ottimismo sul futuro ("Il Tempo Migliore", quasi una "Il Meglio Deve Ancora Venire" di Ligabue, però scritta da un autore che sa scrivere anche fuori dalle esigenze radiofoniche), fino anche ai drammi legati al morbo di Parkinson ("Le Mani Nel Vento"). Splendida anche la collaborazione con la cantante friulana Miranda Martino in "Nero Bianco e Blu", presente nel disco anche in una versione senza di lei, una vera gemma preziosa, soprattutto per come le due voci si intersecano armoniosamente trascinando chi ascolta DENTRO il pezzo, letteralmente.

Insomma, Mauto recapita al pubblico un lavoro raffinato, curatissimo, emozionante e profondo, contribuendo a richiamare l'attenzione sulla lingua italiana e sul saper scrivere, sul saper raccontare. Virtù, queste, sempre più relegate dietro le quinte. Per questo lo ringraziamo e aspettiamo la prosecuzione di questo viaggio nella sua vita.  

sabato 15 maggio 2021

Alberto "caramella" Foà - Basta Unire I Puntini (Engine Records, 2021)


"Basta Unire I Puntini" è la prima prova da cantautore di Alberto "caramella" Foà, efficace dal primo ascolto nel riportare l'attenzione sulla musica scritta bene. Riflettori puntati non solo sui suoni, sugli arrangiamenti, sulla tecnica e sull'interpretazione ma soprattutto sulle parole, che godono di un'attenzione e di una cura quasi maniacale, come nella migliore tradizione italiana (Conte, Cammariere, Guccini, De André, Pino Daniele, ma se ne potrebbero citare tanti altri). L'abilità di paroliere di Foà è fuori discussione fin dal primo pezzo, "Dimentica le Mie Canzoni", passando per l'ironia di "Mi Sono Dato All'Ippica (e al Ciclismo)", la splendida title-track (perfetta come singolo) e "Volevo Dirtelo Adesso", una delle perle inattese che arrivano come una stilettata al cuore, imprevista, quasi alla fine del disco. Un'altra è senza dubbio "I Ricordi (Come il Cielo)", dove la profondità delle parole si sposa alla perfezione con un'esecuzione sciolta e sentita, coinvolgente, in grado di trascinare tutti nel viaggio che sta effettuando Foà. Anche l'artwork contribuisce, in questo senso, a dare l'idea di movimento e di esplorazione, con un cavallo che tra l'altro farà capolino fisicamente e concettualmente anche all'interno dell'opera

La raffinatezza degli arrangiamenti, lasciati interamente in mano al maestro Massimo Germini, incornicia perfettamente il racconto, sottolineando i passaggi più emotivamente coinvolgenti e quelli più scanzonati e allegri, mantenendo generalmente una leggerezza che in un genere come questo è merce rara. Sì perché questo album sa essere anche orecchiabile, radio-friendly, sebbene sicuramente poco adatto ad un pubblico giovane. Il milanese sa il fatto suo anche quando è il caso di piegare la voce al significato, usando questo mezzo espressivo per dare maggior risalto proprio a quei frangenti lirici ("L'Anima", "Come Le Onde del Mare") dove sentimenti ed emotività hanno bisogno non solo di una scrittura complessa e dettagliata, ma anche di far arrivare il messaggio all'ascoltatore.

Musica seria.
Musica fatta come Dio comanda.
Musica di cui c'è bisogno.
Grazie Alberto. 

martedì 6 aprile 2021

Tallis - In Alia Musica Spero (A New Day Records, 2021)

Al termine di un sofferto tour Europeo tra marzo e maggio del 1980 la formazione classica dei Jethro Tull accusa un momento di stanchezza e depressione. La band stava attraversando un momento di profonda crisi personale, soprattutto dopo la prematura scomparsa del bassista John Glascock nel novembre 1979 a causa di un difetto cardiaco congenito anche se le tensioni personali erano già alle stelle. Con questi pretesti, il leader e  frontman Ian Anderson decide di prendersi una pausa e di incidere il suo primo album solista, chiamando a rapporto i suoi colleghi Tulliani Martin Barre, chitarrista della band dal 1969, e David Pegg, che aveva sostituito Glascock a partire dall'Ottobre dell'anno precedente. L'organico viene completato dal polistrumentista Eddie Jobson, la cui band UK aveva fatto da supporter ai Jethro Tull durante il corso dell'anno precedente, e dal batterista Mark Craney, già al servizio di Tommy BolinJean-Luc Ponty e Gino Vannelli. Il materiale prodotto da queste session soddisfa la casa discografica Chrysalis che decide che dovrà uscire a nome Jethro Tull, rendendo di fatto questa line-up una nuova formazione: l'album, intitolato "A" uscirà nell'agosto dello stesso anno. Purtroppo, a causa di pessime scelte di management, non vengono avvisati i rimanenti membri della formazione originale (i tastieristi John Evans e David Palmer e il batterista Barriemore Barlow) che lo scoprono a mezzo stampa e, come prevedibile, i dissapori non si fanno attendere. 

Barlow formerà i Tandoori Cassette con i quali pubblicherà un 45 giri nel 1982 e presterà i suoi servigi ad artisti come Yngwie Malmsteen, Robert Plant e Jimmy Page. David Palmer (oggi Dee), che oltre ad essere tastierista era anche stato arrangiatore e co-compositore non accreditato di molto materiale classico dei Jethro Tull, decide di dare vita ad un progetto musicale a cui stava già pensando da tempo, che mischiasse rock e classica con utilizzo predominante di sintetizzatori. Evans viene integrato nel progetto e l'organico viene completato dal cantante e bassista Bill Worrall, dal batterista Mickey Barker e da un terzo tastierista, Dave Bristow; come nome della band viene scelto Tallis, in omaggio al compositore rinascimentale Thomas Tallis. Dopo un paio di concerti nel Surrey che destano l'interesse di case discografiche quali EMI, Decca e Virgin, i Tallis si recano negli Redan Recorders Studios di Londra tra il gennaio e il febbraio 1981 con l'intenzione di incidere il proprio album di debutto. Tuttavia, durante le registrazioni del disco Bristow riceve un invito da parte della Yamaha per collaborare alla creazione della DX7, la prima tastiera musicale interamente digitale in commercio. A questo punto, Palmer si rende conto di non essere in grado di gestire le dinamiche di gruppo e il progetto subisce una battuta d'arresto: il materiale viene riposto nel cassetto con l'intenzione di riprenderlo in mano in un futuro che, purtroppo, però non arriva. Il disco rimane così inedito per quarant'anni: solo uno dei brani incisi ("Disturbed Air") vede la luce nel 2001 all'interno della compilation "It's For You!" venduta in allegato alla fanzine Tulliana "A New Day". Il resto del materiale viene presentato per la prima volta in questa nuova pubblicazione.

L'album può essere diviso in due parti: tre brani originali e tre rivisitazioni di composizioni classiche. "Disturbed Air", posta in apertura all'album, è la più riuscita del primo blocco: un pezzo con accenni classici che ben si sposano alla natura rock della composizione, con un arrangiamento che consente ai sintetizzatori di primeggiare senza andare a scapito della sapiente sezione ritmica Worrell/Barker che qua dà il meglio di sé. La successiva "Urban Apocalypse" per anni è stata un po' uno dei tesori introvabili dei Jethro Tull: integralmente composta da Palmer ed incisa durante le session di "Stormwatch", rimase inedita fino al Settembre 2019 con la pubblicazione del cofanetto "The 10 Force Edition" per il quarantennale del disco. Il pezzo era stato comunque eseguito dal vivo nel 2001 da Palmer con la coverband Tulliana Beggar's Farm al raduno del fan club Italiano Itullians a Fidenza ed è in seguito stato incluso nel suo album solista "Through Darkened Glass" uscito nel 2018. La versione qui presentata è cantata da Palmer e, come arrangiamento, è un ponte tra l'originale inedito dei Jethro Tull e la sua rivisitazione di quarant'anni dopo, con qualche accenno alle atmosfere tipiche dell'epoca. Infine, "Worcester Man" è un breve godibilissimo affresco per piano e voce che verrà recuperato ed esteso con il titolo "At The Still Point" su "Through Darkened Glass". Per quanto riguarda le composizioni classiche, i Tallis presentano il loro personale medley di due movimenti di due sinfonie di Beethoven (la prima e la nona), un rondo di Mozart e, soprattutto, il canone di Thomas Tallis che, come atmosfera e arrangiamento, sarebbe potuto benissimo costituire una sezione centrale di qualche brano classico dei Jethro Tull senza sfigurare troppo. In appendice al CD troviamo una sorta di bonus tracks: le versioni strumentali di "Disturbed Air" e "Urban Apocalypse" e, soprattutto, una ottima riedizione del canone di Pachelbel incisa nel 1978 da Palmer, la sezione ritmica dei Jethro Tull Glascock/Barlow e il chitarrista Robert Foster.

Il materiale presente su questo disco non è senza meriti: la musica è godibile, ben arrangiata, eseguita impeccabilmente e presentata con una produzione tutto sommato appropriata, a parte qualche eccessiva punta di compressione nel mastering. Allo stesso tempo, è difficile giudicarlo come un lavoro compiuto dato che, evidentemente, non lo è: la sequenza non funziona molto bene e, a parte "Disturbed Air", i brani suonano quasi tutti come se avessero bisogno di altre rifiniture. Comunque, si tratta di un documento preziosissimo per i fan dei Jethro Tull che finalmente riesce a fare luce ad una parte mancante della carriera di PalmerSoprattutto, però, la pubblicazione di questo album serve a finanziare la registrazione in studio del balletto "The Water's Edge", composto da Palmer, Anderson e Barre nel 1979, presentato dal vivo e mai inciso ufficialmente. In sostanza, acquistando l'album non ci si porta a casa solo un interessante documento d'archivio ma si fa anche un'opera di bene che potrebbe portare alla realizzazione di un importante tassello mancante alla storia dei Jethro Tull

L'album può essere acquistato in copia fisica tramite Burning Sheds, oppure dal merchandising ufficiale di A New Day, e in digitale (flac) presso Alfold Rock-Blues Music.


Tallis (1980)
Dave Bristow, Bill Worrell, Dee Palmer e John Evans

lunedì 5 aprile 2021

Rejecto - Prima, Durante e...Dopo? (Autoproduzione, 2021)

Esordisce così, con questo "Prima, Durante e...Dopo?", il rapper Rejecto, artista senza volto che sceglie l'anonimato per muovere il suo primo passo in questo mondo. Un contesto, quello del rap, sempre più saturo ma non per questo privo di spazio in cui muoversi. Il primo aspetto a colpire l'attenzione è la varietà delle basi, per niente modaiole, con un occhio di riguardo al synth pop, all'electro anni '90, con dei buoni bassi da gustare su un ottimo impianto, mentre la voce (giustamente ben in evidenza rispetto al resto, visto il genere) si presenta come un elemento molto più arduo da digerire, con un timbro poco musicale e l'utilizzo di parole non sempre così semplici che possono rendere il tutto un po' sibillino. Immagini, citazioni e calembour colgono di sorpresa fin da subito con l'ottima "Fastfood", con il rappato di Rejecto che procede sbilenco, storto, con quell'incedere molto cadenzato e per niente scontato che calamita l'attenzione in un labirinto di concetti criptici ed enigmatici. "Rejecto", con un beat e un break/ritornello a dir poco fastidiosi, arriva meno ma contiene uno dei concetti cardine dell'opera ("non rappresento nessuno") e lascia spazio ad uno dei momenti più riusciti di questo lavoro, ovvero "Too Skinny", un pezzo molto club-oriented ma contemporaneamente scuro, oscuro, caustico. "Pretty Vacant" ha il beat più tradizionalmente hip-hop ma un ritornello quasi atonale, per non dire stonato, la rende un po' pesante da assimilare. "Spy" ha lo stesso difetto di molti altri brani, sembrando Fabri Fibra che tenta di rappare un po' sopra le sue capacità, e spesso si presenta al limite delle capacità tecniche. La società dipinta da Rejecto è cupa, perduta, piena di contraddizioni e ci pensano "Lockdown, Odio Casa Mia!" e "I Hate Bill Gates" a sottolinearlo nel modo più arrogante possibile. Ovviamente, nell'accezione positiva del termine. 

Le quattordici tracce finiscono un po' a fatica, se analizzate sul piano prettamente musicale e del facile ascolto, ma dall'altro lato ciò che salva questo disco è la sua collocazione nel panorama rap, il suo significato. Da lavoro evidentemente di protesta, di denuncia, di rottura, rifugge ogni estetica e ogni dettame della contemporaneità per essere di conseguenza un prodotto originale, diretto e genuino, relegando così in secondo piano la necessità di essere orecchiabile e facilmente fruibile. La personalità dell'artista erutta in maniera vulcanica in ogni brano, una peculiarità che gli dona senz'altro fotta, carattere e credibilità come poche volte si è sentito ultimamente. La scrittura, le barre, i riferimenti culturali sono tutti azzeccati, anche quando macabri e triviali, tutti funzionali al raggiungimento del risultato. Certo, siamo lontani dall'efficacia di testi di protesta ben più alti di vecchie glorie come gli Assalti Frontali, i Sangue Misto de "Lo Straniero" e i 99 Posse, o ancor di più del primo fenomenale Frankie Hi Nrg, ma la motivazione non manca e i risultati arriveranno. Un po' di gavetta e una maggiore attenzione a rimanere "in griglia" e questo ragazzo potrà combinarne delle belle. Senza dubbio. 

lunedì 29 marzo 2021

Ysé - Pezzi (San Luca Sound, 2021)

L'esordio della giovane Ysé (all'anagrafe Francesca Madeo) è un EP molto colorato e al passo coi tempi, un tuffo nel pop con un un'impronta internazionale, sia grazie ad un sound fresco e genuino che alla presenza di ben tre lingue diverse (italiano, inglese e francese), a volte miscelate tra loro nello stesso pezzo creando forse confusione ma soprattutto richiamando l'attenzione sulle parole.
 
Le sue esperienze di vita e le personali visioni del mondo entrano a piè pari in un sestetto di brani molto variegato, dove spicca anche una toccante rivisitazione di "Rapide" di Mahmood, ma ciò che risalta è principalmente la voce della cantautrice, pienamente a suo agio in sonorità che ricordano quello che andava nelle radio a inizio millennio, ma con un occhio a quel folk sporcato di indie che sta dominando le classifiche negli ultimi anni. Il brano più riuscito è "Due Stelle In Mezzo all'Universo", un viaggio nel concetto d'amore e la sua capacità di essere pervasivo, di permeare nelle vite delle persone, condizionandole e, in alcuni casi, riempiendole. "Re e Regine (des Erreurs)" si permette di fare un lavoro molto difficile, ovvero narrare la condizione dell'umanità in lotta con la pandemia, mettere in evidenza le responsabilità del singolo, ricordando all'uomo che possiede per natura il dono di plasmare la sua vita e quella del pianeta che lo ospita. Tutto ciò, tra l'altro, rimanendo radio-friendly e senza scivoloni populisti. Un po' di girl power in "Waiting for Me", il capitolo più grintoso in quanto ad interpretazione e forza del messaggio, giustamente scelto come singolo vista la sua leggerezza e la durata al passo coi tempi dello streaming. 

I suoni sono curati, spinti al punto giusto, sempre tenendo presente la necessità di mantenere alta l'orecchiabilità di tutto il pacchetto. Il lessico è vario anche se scontato, ma in questo tipo di musica conta di più veicolare il messaggio in maniera chiara, senza eccedere con la ricercatezza delle parole. Del resto, pure la semplicità va spesso a braccetto con l'immediatezza. 

Che aggiungere? La giovane autrice sassolese è agli inizi ma sembra navigare saggiamente nella sua arte, non uscendo dalla sua zona di comfort ed evitando così di fare la fine di Icaro. Dopo questo EP, si spera in un album che ne articoli meglio le doti canore e di scrittura.  

martedì 2 marzo 2021

Bruno Caruso - Assolutamente (Bruno Caruso & 9 Produzioni, 2020)

"Assolutamente" di Bruno Caruso, nato in Germania da genitori italiani e poi cresciuto in Calabria, esce sul finire del duemilaventi, l'anno che ha stravolto le vite di tutto il mondo ma che non ha, per ovvi motivi, rinunciato alla musica, spostatasi sul web, nelle camere da letto, nelle sale prove dei pochi fortunati possessori di spazi idonei alla propagazione e al concepimento della propria arte. La composizione, in ogni caso, non si è mai arrestata e artisti di ogni genere hanno dato sfoggio della propria creatività, spesso raccontando la propria condizione, in un anno che verrà ricordato, artisticamente, per il ritorno ad una concezione molto autobiografica della musica, fatta di racconti intimi, personali, sentimentali, alle volte anche politicamente e socialmente impegnati. 

Bruno parla di sé stesso, della sua voglia di riscatto, delle sue opinioni su questo mondo e su come trascorrere la propria esistenza all'interno di esso, con un cantautorato prettamente pop/rock, strutture che non rinunciano a far coesistere melodia, ritornelli e aperture di stampo più alto, con una certa importanza riservata, giustamente, anche agli arrangiamenti, oltre che alle parole, vero centro nevralgico di questo lavoro. "Con Un Brivido", "Bisognerà" e "Domani", sono belle esortazioni all'ottimismo e alla scoperta di sé all'insegna del carpe diem e del buonumore, forse i pezzi più sentiti, dove l'interpretazione dell'autore permea il brano superando anche la rotondità e la consistenza delle parole in termini di significato. "M'abituerò" è un pezzo da genitori per genitori, ma non per questo banale né già sentito, forse da curare maggiormente sulle parti strumentali per rendere di più in termini di emozioni, in ogni caso efficace dal punto di vista del contenuto e della resa. "Metamorfosi" spiazza e tocca le corde di chi si sente interprete di vite che potrebbero aver preso pieghe migliori, tra i rimpianti e le nostalgie, la voglia di riscrivere alcune pagine. 

In generale, nulla sorprende per originalità e genuinità, ma l'evidente aderenza stilistica tra il proprio percorso, le proprie liriche e la propria vita rende il tutto un pacchetto omogeneo, riuscito da tutti i punti di vista. Non servono del resto lo shock value a tutti i costi, la ricerca di momenti esplosivi o facilmente trasformabili in meme, quando si ha qualcosa da raccontare che trasuda coraggiosamente, quasi come un flusso naturale e incontrollato, dal proprio io interiore
. Un ottimo album, personale e rifinito, elegante e completo. 

domenica 21 febbraio 2021

Beppe Cunico - Passion, Love, Heart & Soul (Autoproduzione, 2020)

Beppe Cunico, per il suo esordio nel panorama discografico italiano, investe del tempo e rilascia il suo "Passion, Love, Heart & Soul" a tre anni dal concepimento del primo brano. La stesura di un lavoro così sfacciatamente convoluto, lungo, dispendioso in termini di energie sia per la composizione che per l'esecuzione, richiede per l'ascoltatore un notevole investimento di tempo e una soglia dell'attenzione altissima, che solo gli estimatori del prog duro e puro conservano ancora nell'epoca in cui spopolano principalmente pezzi al di sotto dei tre minuti. Sono invece tutti sopra i cinque minuti di durata gli undici episodi di un lavoro che assume immediatamente caratteristiche epiche nelle sonorità, rifacendosi ai suoi numi tutelari, dichiaratamente Steven Wilson (citato nel titolo della traccia numero quattro, "An Evening with Steven Wilson")), i Genesis, i Marillion ("The Beginning"), sicuramente anche i Pink Floyd e la seconda metà della loro carriera ("Silent Heroes", ambientato a Chernobyl). In realtà, ciò che sorprende maggiormente è l'impasto sonoro che si genera grazie alla contaminazione con il pop rock di formazioni come U2 e i The Cure ("Reinvent Yourself", il momento più leggero e orecchiabile del lotto), in particolar modo nelle orchestrazioni e nei frangenti più tranquilli e posati, come la ballad "My Life", doveroso capitolo romantico che risulta, in fondo, il più riuscito. Stupiscono i cambi d'atmosfera, la capacità di usare musica e parole come un caleidoscopio, mettendo in scena tonalità cupe ma anche solari, tragedie e guizzi di speranza e candore, oscurità, malinconia,  ma anche gioia di vivere, di esserci, di avere la possibilità di dire la propria con questi mezzi. 

Testi, arrangiamenti, pasta sonora, missaggio, interpretazioni strumentali e vocali: tutto quadra, tutto è al suo posto, senza mai uscire dagli schemi. Una perfezione che può risultare quasi un difetto, quasi il mascheramento di un'umanità che invece, ripetendo gli ascolti, pervade tutto l'album e di fatto serve a rappresentare un amore per la musica che solo un compositore come il vicentino Cunico poteva incanalare in una maniera così emozionante, senza mai annoiare nonostante la prolissità e la verbosità di alcuni costrutti. Un album necessario, per capire che la musica non è solo istantanee mordi e fuggi, ma anche elaborazioni complesse, da digerire con cognizione di causa. 

domenica 14 febbraio 2021

Boavista - Lì Dove Ci Sono le Stelle (Nutone Lab, 2020)

I bolognesi Boavista debuttano sul mercato discografico con un piacevole pop/rock scanzonato e leggero, senza pretese. "Lì Dove Ci Sono Le Stelle" strizza l'occhio a quella contaminazione tra rock ed elettronica orecchiabile e radiofonica che ha fatto la fortuna di formazioni come i Subsonica, senza tralasciare l'hard rock e il grunge degli esordi di Afterhours, Scisma, Timoria e Ritmo Tribale e un po' di indie britannico, per i momenti più allegri e ballabili. 

In otto brani, c'è modo di sentirli ruggire e pestare in brani più aggressivi ("Alibi"), dare più importanza alle parole pur mantenendo un tappeto strumentale notevole (cosa che, a dire il vero, non capita in tutti i pezzi), come nel splendido synth-pop di "Il Mondo Che Vorrei" e nella title-track, e spiazzare con la visione antitetica dell'uomo e della donna di "Penelope". Liricamente, c'è un bel vocabolario, qualche immagine forte e qualcuna più annacquata, ma in ogni caso risalta un'identità ben distinta e facilmente individuabile, che se non altro fa assaporare originalità e freschezza. Alcuni arrangiamenti fanno forse percepire troppo nitidamente quali sono i numi tutelari e le influenze di questi ragazzi ("Ruggine" e "Vedrai") ma guardando il lavoro nel complesso nessuna canzone suona male, sicuramente grazie anche alle giuste scelte sonore e ad un mastering che rende giustizia. Anche l'interpretazione vocale dona lustro alle parole in maniera ineccepibile, con un timbro che da solo riesce ad arrivare anche dove alcune scelte nel songwriting avrebbero rischiato di impoverire il risultato finale. In tutto questo, il tema del ricordo affrontato in "Come Supereroi" riesce ad emozionare, elevando questo capitolo alla posizione di brano più riuscito e toccante. 

Ci vorrebbe più grinta, ma per questa hanno tempo. Del resto è solo il primo album. Avanti così. 

domenica 7 febbraio 2021

Gregorio Mucci - Non È Un Problema EP (Agnus Records, 2020)

"Non È Un Problema" per il cantautore toscano Gregorio Mucci debuttare in maniera così ambiziosa sul mercato discografico, farlo con un EP coraggioso, breve ma intenso. L'immagine di un artista impavido sovviene alla mente dello scrivente più che altro per la forza che Mucci trasmette con le sue parole, un messaggio di resistenza, di speranza, di sopravvivenza, perfetto contrasto al grigiore del periodo storico che stiamo, e sta, vivendo. 

In verità, le tematiche sono banali, seppur trattate in un modo personale e con un lessico ricco, che permette all'autore di spaziare in diversi umori, non disdegnando nemmeno qualche capatina nel cinismo e nel sarcasmo. L'amore è quasi obbligatorio in un prodotto d'autore di questa risma ("E Aspetto Te", il brano più radio-friendly dell'EP), ma la sua versione più angelicata sorprende meno di quella più generalista, non necessariamente legata ai rapporti di coppia ma più alle relazioni come concetto cardine delle nostre vite, del pezzo che più colpisce emotivamente, forte di un'interpretazione molto accorata e quasi aggressiva negli intenti e nella realizzazione: "Non E' Un Problema", la title-track, mette in chiaro la cifra stilistica di questo artista, dotato di una penna mordace ma chiara, resa vocalmente senza inutili svolazzi e riuscendo a delineare con timbro, intonazione e variazioni armoniche il contesto emotivo/sentimentale da cui ha tratto spunto, con tutta probabilità (noi non lo sappiamo) la sua vita. Sì perché ciò che arriva forte e chiaro di questo esordio è proprio la personalità presente in maniera preponderante in ogni nota, quella sensazione di spontaneità ed autenticità cui il panorama musicale nostrano ci ha disabituato. 

Con un'apertura ("Il Jaguaro") e una chiusura ("Bambola Gonfiabile") forse meno a fuoco del corpo centrale, nasce e muore un'inizio di carriera al fulmicotone, curato in tutti i suoi dettagli, che sfugge alla stravaganza per rimanere con i piedi a terra, nella quotidianità in cui tutti ci possiamo riconoscere. Si può tranquillamente prenotare l'ascolto dei futuri lavori con relativa curiosità, dove si spera il nostro abbia modo di esprimersi in un discorso più articolato, magari approdando al suo primo full-length e con un budget maggiore per dare più lustro anche ai suoni, forse il punto debole di questa produzione. 

giovedì 4 febbraio 2021

Celeste Caramanna - Antropofagico III (Offline Artistic Productions, 2020)

"Antropofagico III" è il terzo capitolo della trilogia concepita dalla cantautrice Celeste Caramanna, artista trapiantata a Londra che si porta dietro chiari ascolti latini, pop e folk da condensare in un prodotto fresco, quantomeno nelle intenzioni. In cinque brani, questo EP ripresenta i tratti giocosi, quasi caraibici, già sentiti nella prima parte, sicuramente levigati e ripuliti da una produzione più limpida e in grado di valorizzare maggiormente le sue capacità canore e di scrittura. Un percorso di miglioramento già intrapreso e commentato dalla critica in "Antropofagico II", di appena un anno più vecchio, a testimoniare che il processo di crescita di questa autrice è rapido ed evidente

Scendendo nel vivo delle tracce, "Fill It Up" osa e colpisce col funk, fa sculettare e quindi funziona. "Hilarious" scaccia la noia e le preoccupazioni dati dalla nostra situazione attuale con un buonumore contagioso, mentre con "Let Me Pray" Celeste si e ci trasporta in un universo parallelo, molto distante dalle altre sonorità del disco con tonalità più buie e travolgenti, per il frangente di intimità più profondo dell'intera tracklist. Meno efficaci gli altri brani, senza comunque togliere niente al risultato finale. 

Fin dalle interviste e dalle presentazioni per la stampa, la Caramanna viene comunque ripetutamente dipinta come un'artista variegata, ed è tipico di chi si fregia di tale titolo voler strafare e fare la fine di Icaro. Non è assolutamente il caso di "Antropofagico III", che chiude (?) una terna divertente, quasi sempre spensierata, ma multiforme come l'anima della sua compositrice. I leitmotiv ci sono, e questo è senz'altro positivo, com'è ovviamente positivo riuscire ad individuare una personalità coerente nel deus ex machina di un progetto artistico.  Rimane un po' da limare qualche volume, anche in termini di mastering, e di songwriting, perché qualche arrangiamento risulta troppo spoglio. In ogni caso, un lavoro di buon livello che grazie anche alla sua breve durata arriva forte e chiaro. 

mercoledì 3 febbraio 2021

Daniele Fortunato - Quel Filo Sottile (Believe Digital, 2020)

Musica e amore. Amore e musica. Un fil rouge unisce questi due concetti da sempre, in tutte le forme artistiche in cui l'uomo ha saputo esprimersi nella storia. Due mondi che riescono ad abbracciarsi e ad assumere molteplici tonalità, filtrate attraverso le sensibilità e gli animi più differenti, incarnando percezioni soggettive con le sfumature che solo esistenze vissute da attori e non da spettatori possono saper dipingere con cognizione di causa. "Quel Filo Sottile, l'ultima produzione del cantautore romagnolo Daniele Fortunato, fuori da Settembre 2020, è un disco totalmente incentrato sui vari stadi del romanticismo, da quando sboccia timido con le prime tenere manifestazioni adolescenziali a quando, dopo aver attraversato le sofferenze e le delusioni più lancinanti, l'essere umano gli attribuisce significati più maturi, tinteggiando ricordi e cimeli con colori più tenui ma non per questo meno brillanti, regalandogli un'importanza che trova una collocazione ancor più individuale, un senso mai replicabile, unico per ognuno di noi. 

Grazie all'apporto di musicisti validi, decisamente sul pezzo in tutte le sette tracce, e la sapiente regia di Daniele Marzi, il nostro Fortunato mischia country (in "Aurora"), pop elegante ("Le Prime Pagine") a tratti sporcato da venature jazz di rara ricercatezza ("L'Intelligenza delle Sfumature"), e tutta la tradizione folk e cantautorale italiana, mantenendo sempre il giusto bilanciamento tra la doverosa centralità delle parole e la presenza di momenti strumentali e più studiati, sia per dimostrare capacità tecniche che potrebbe non essere necessario esibire in un disco del genere, ma anche per donare varietà e policromia al tutto. Il brano con più mordente, stilisticamente, liricamente ma anche in termini di arrangiamento, contenuto e messaggio è "Barafonda", richiamo ad un avvenimento realmente accaduto di una balena spiaggiatasi sul litorale riminese nel 1943, qui descritta dagli occhi di due innamorati che si interrogano sulle conseguenze dei comportamenti umani sulla natura con uno sguardo quasi noir.

Daniele Fortunato non espone niente di nuovo in questa interminabile galleria di dischi d'amore che in tutto il globo permea tanto i vertici delle classifiche quanto le produzioni emergenti, ma si fregia di capacità espressive e di scrittura notevoli, che possono inscriverlo senz'altro sopra quell'oceano sterminato di artisti mediocri, gonfi di stereotipi sporchi di finzione. Il timbro vocale funziona quasi sempre, ed è da segnalare senz'altro anche l'interpretazione, emotivamente trasparente, credibile. Un viaggio in un cuore che ha molto da raccontare, e ne sente l'esigenza. Chissà se il filo sottile che lega le esistenze di tutti noi porterà tanti ascoltatori ad affezionarsi alle sue parole. Qui, per oggi, ha funzionato.