La band capitanata dall'ex Shandon Olly arriva con questo Abracadabra ad un traguardo importantissimo, quello del secondo disco, che a seconda della situazione è la rovina, la conferma, lo spartiacque con l'inizio di un nuovo genere. In questo caso si tratta della prosecuzione logica del primo “Loverdrive”, con i soliti giretti da hard rock da classifica che in America spopolano nelle classifiche di Kerrang e MTV2. Ma il soffio “alternative” che il passato dei The Fire conferisce a questi brani in realtà li risolleva dalla banalità di una definizione. Per questo c'è bisogno di ascoltare il disco per bene prima di giudicare.
In effetti soffermandosi ai primi due pezzi, cioè la title-track e Wasted, ci sembrerà di ascoltare “la solita cosa”, anche se sono comunque due canzoni molto orecchiabili e composte con riff di sicura presa. In particolare però la seconda che ho citato sembra un plagio di “She Hates Me” dei Puddle of Mudd, ma come dicono in molti “le note sono sette” quindi non è il caso di accusarli come si è fatto con i Coldplay o Jovanotti (i due casi più eclatanti degli ultimi anni). Le più belle nel grande marasma di canzoni che si assomigliano risultano Bohemian Burlesque (ottimi ritornello e linee vocali) e Yvonne, molto vicine a quel tipo di sound americano che già si citava sopra. Augurare per loro una carriera nel paese dello zio Sam spesso risulterebbe un comportamento contrario al nostro patriottismo, ma non per il sottoscritto. In Italia non hanno abbastanza pubblico. Nota di merito in questo senso meritano anche Lady Motorcycle e Walk, con dei riff che si marchiano a fuoco nel settore della memoria del nostro cervello quasi a volerci “violentare”.
Sorprese sono una cover di New York New York, di Frank Sinatra ovviamente, rifatta in uno stile più confacente alla band, e la ballad con pianoforte (una novità), Seet Enemy, veramente molto malinconica e che risulta particolarmente triste grazie ad una magnifica interpretazione del cantante Olly. Abbastanza inutili invece Emily e Small Town Boy dal precedente disco, anche se comunque si tratta di due tra i più bei pezzi scritti dai The Fire. Premio banalità a Chevalier, che non convince appieno.
Sorprese sono una cover di New York New York, di Frank Sinatra ovviamente, rifatta in uno stile più confacente alla band, e la ballad con pianoforte (una novità), Seet Enemy, veramente molto malinconica e che risulta particolarmente triste grazie ad una magnifica interpretazione del cantante Olly. Abbastanza inutili invece Emily e Small Town Boy dal precedente disco, anche se comunque si tratta di due tra i più bei pezzi scritti dai The Fire. Premio banalità a Chevalier, che non convince appieno.
Per dare un giudizio su questo disco non serve ascoltarlo tante volte. Si tratta infatti di uno di quei lavori che piace ai fan della band e risulta ascoltabile quasi a tutti coloro che abbiano almeno un po' di familiarità col genere, risultando però indigesto a chi cerca un po' di complessità nella musica. Non è il nostro caso. I The Fire sono un'ottima realtà del nostro paese che ormai punta all'estero, giustamente, per portare qualche bel riff in lingua inglese fuori dallo Stivale. Rimanendo sempre Made in Italy, un po' come i Lacuna Coil. Bel disco da chi non pretende molto per chi non pretende niente.
Voto: 7
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